Muzak - anno III - n.07 - novembre 1975

saldo sui propri ·piedi a darci un prodotto accettabile? D.M. Art Ensemble of Chicago: Tutankhamun {Freedom-Ricordi) Malachi Favors, uno dei componenti l' Aeoc sembra l'elemento catalizzante questo « Tutankhamun », stampato coraggiosamente in Italia, ma già edito nel '74 dall'etichetta Freedom. Favors è uomo silenzioso e ribelle, un partecipante oscuro e misterioso, ma fa del suo contrabbasso una misura per la pazzia lucida della formazione e conduce la musica verso riflessi oscuri e radicalmente neri. Le due lunghe suites che costituiscono l'album seguono il testo ideale di una rivolta continua, musicale e politica, che giunge ritmicamente da Albert Ayler e dalla « illogica » che domina le composizioni, scherzi, dissacrazioni, strozzature del suono. Opera di negritudine, ma informale ed a-storica, Tutankhamun dimostra nella sua prima parte una magia inaspettata, di Ayler e di Cherry se vogliamo, che si apre in Omed in raga, spiritualità trasformata e r.:- sa rarefatta ... poi il jazzismo beffardo, il tocco strano e secco degli strumenti, con Lester Bowie e Roscoe Mitchell ai fiati, con Favors e Jarman nervosi ed iiluminati. La seconda parte, quasi dolphyana si distende in « The Ninth Rooms », giusto a rendere la parola più aperta ed immediata. Elvin Jones New Agenda {Vanguard-Ricordi) M.B. Nessuno meglio di Elvin Jones può esemplificare che differenza ci sia tra l'essere « braccio» oppure « mente » di una idea musicale. E cosl il batterista, che fu impareggiabile partner di Coltrane in quel quartetto che è stato una delle cose più importanti che siano mai emerse dalla black music, messosi da solo a capeggiare svariate formazioni ha mostrato la corda, confermandosi come tecnico di eccezionale levatura, ma dimostrando anche la sua incapacità ad essere guida e « mente» di un gruppo. E moltissima gente ha avuto modo di verificarlo quest'anno nei concerti italiani di Elvin Jones che ha suonato con la stessa formazione di questo recentissimo « New agenda » registrato per la Vanguard e pubblicato in Italia dalla Ricordi nella nuova collana «Jazz idea»: Steve Grossman (sax), Roland Prince (chit.) e Dave Williams (bs. ), oltre ad alcuni altri eccellenti collaboratori come Frank Foster e Azar Lawrence. E proprio a questi ottimi musicisti, ai loro assoli, alle loro intuizioni personali, è affidato il peso di questo album con molte braccia ma senza testa. Mandrake Som Sombossa {EMI) e.e. Finalmente, dopo ann\ di tormentata permanenza 1n Italia dopo vicissitudini di ogni genere tra cui la galera, dopo aver accompagnato la quasi totalità dei musicisti italiani rimanendo nell'ombra degli incompresi, il percussionista brasiliano Ivanir do Nascimiento, meglio conosciuto col nome di Mandrake, è riuscito a fare il suo disco, in cui dirige un gruppo di giovanissimi e bravissimi musicisti italiani. La strada scelta da Mandrake per una giusta ricompensa di popolarità, dopo i lunghi anni di difficoltà, è quella di un jazz-samba allegro e ampiamente collaudato Comunicativa a tutti i costi, insomma, con tanti auguri da parte nostra. Massimo Urbani: Jazz a confronto n. 13 {Horo) e.e. L'etichetta indipendente Horo ha dato spazio, nella sua seconda serie della collana « Jazz a confronto», al più promettente dei nuovi giovanissimi jazzisti italiani: l'altosassofonista Massimo Urbani. Uscito dal grembo gasliniano, nel quale si era già fatto notare, passato per esperienze più o meno fuggevoli del tipo Area e consimili, Urbani, è felicemente approdato, lo scorso anno, all'incontro con Enrico Rava con il 1uale ha formato un quartetto la sezione ritmica era composta da Calvin Hill al basso e Nestor Astarita alla batteria), che ha girato l'Italia con molto successo. Alla fine dell'anno il quartetto ha inciso un LP (il n. 12 della collana « Jazz a confronto » a nome di Enrico Rava. Già in questo la potenza e la precoce maturità espressiva di Urbani venr.ono pienamente alla luce; ma ancora di più, ovviamente, in quello che ha inciso a suo nome per la stessa collana utilizzando la stessa sezione ritmica (Calvin Hill e Nescor Astarita) a lungo collaudata nella tournèe. I tre brani del disco sembrano essere un'unica torrenziale improvvisazione di Urbani, dotato di una sorprendente attitudine tecnica che lo ha portato a bruciare molte tappe della tradizionale escalation alla padronanza dello strumento. Tanto da poter abilmente dialogare col « dato tecnico » fino a superarlo in quella dimensione improvvisativa che spesso nel jazz diventa liberante e liberatoria. E Urbani ci arriva, come raramente accade in Italia, senza modelli rigidamente precostituiti, grazie ad una prorompente e sostanzialmente giusta «umanità». Kelth Jarrett El Juicio (Atlantlc WEA) E' impossibile collocare cronologicamente questo disco nella produzione J arrettiana, mancando sulla copertina qualsiasi informazione a riguardo. Si può presumere, però, che sia antecedente ai tre LP pubblicati ultimamente dalla Impulse, essendo, apparentemente, più datato e inibito di questi ultimi. E' comunque, date di registrazione a parte, il Jarrett che preferiamo, col suo pianismo dal carattere fortemente latino, misto di country e di funky music, con frequenti puntate nelle atmosfere dell'avanguardia degli anni '60 e solo vaghissimamente attaccato al cordone ombelicale della svolta storica di Miles Davis, nel cui ambito per la prima volta si è sentito parlare del suo nome. In « El juicio », è accompagnato da una delle migliori formazioni di questi anni: Charlie Haden (bs.), Dewey Redman (sax) e Paul Motian (batt.), che danno linfa e ,,igore alle sue idee, e che ab50 biamo spesso rimpianto nei troppi concerti a « solo » che Jarrett ha dato ultimamente in Italia. e.e. Taj Mahal: Music Keeps Me Together (Columbia) Da Mo' Roots in poi Taj Mahal s'è dedicato alla canzonetta pulica da vendere con il pretesto del gospel, del soul e del reggae, che sono per fortuna tutt'altra cosa della sua musica. Questo Music Keeps Me Together lascia di sasso chi l'aveva apprezzato nella sua band con Ry Cooder agli inizi, in The Natch'l' blues e nelle tracce da solo, con la voce unica o accompagnata da strumenti essenziali. Si senta When I feel the Sea beneath my Saul o Why ... and We repeat per capire chi sia oggi, musicalmente, Taj Mahal. Vada per i bravi musicisti che lo accompagnano, vada per l'arrangiamento ·dei brani, ma non si prenda la scusa del « nuovo album » per rassegnarsi da acritici a farne un'opera di genio. Nitty Grltty Dirt Band: Dream (U.A.) Un gruppo che già nel '68 si era dimostrato capace di farsi amare dai teenagers americani pur mantenendo la propria musica ad un contenuto ineccepibile, a mezzo fra il tradizionale bluegrass non elettrificato ed il country rock degli anni '60. Più volte la Nitty Gritty ha avuto cambi nell'organico e s'è rivolta di preferenza all'una o all'altra forma. Oggi è una band di quattro elementi più facilina del solito, ha lasciato in disparte il bluegrass per un miscuglio di espressioni che degenerano con frequenza nel « facile ascolto ». Interessanti le parti eseguite con ARP e wind harp, anche se del tutto effettistiche ed acontestuali alle rimanenti parti del disco. Tracy Nelson: Sweet Soul Muslc (MCA) Ex cantante del misconosciuto l!ruooo Mother Earth. la Nelson

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