Muzak - anno III - n.07 - novembre 1975

annacquamento. Gruppo di punta, New Trolls ha comunque rappresentato un ponte necessario, tra il pop ed il cosiddetto underground italiano. L'esplosione Balletto di Bronzo e Franco Battiato, poi Osanna, Banco Del Mutuo Soccorso, Premiata Forneria Marconi. Ed una schiera di continuatori, inventori, copisti strani, Rovescio Della Medaglia, Trip, Garybaldi, Delirium, e più in giù, Osage, Quella Vecchia Locanda, Blue Morning, Capsicum Red, Phorum Livii, Delirium, Flea On The Money e De De Lind, sino ai casi di Orme e Nuova Idea ... Quanti di questi restino oggi, questo non ha importanza, ma è certo che a gran parte di essi è mancata la forza di provare, la forza magari di esprimersi politicamente: casi rarissimi, gli Stormy Six che di popolare hanno a lungo conservato lo spirito comunista più che la stessa espressione musicale, casi che dovrebbero servire a costruire. Il Banco e la PFM sono per lungo tempo le nostre migliori formazioni, seguite dappresso dai napoletani Osanna, insuperabili questi nel sapere creare atmosfere inarrestabili e casini d'ogni genere, meraviglie elettroacustiche e cacofonie disperate: Osanna sembrano la punta più alta del pop italiano, perché sono napoletani e lo dicono con una chiarezza che già presagisce alla Nuova Compagnia, a Tony Esposito e a Napoli Centrale. La loro forza è anche il gesto, con il quale accompagnano le musiche, cioè la componente visiva, teatrale e quindi umana della propria estrazione sociale. BMS opera diversamente e la ricerca è più sofisticata ed irrealizzata, Francesco Di Giacomo e Vittorio Nocenzi portano la formazione a vertici di poesia, «Darwin» è il loro capolavoro ma potrebbero ancora superarsi se gli fosse concesso da un sistema che li condiziona ancora fortemente. Della « Carrozza di Hans » alla copia crimsoniana si è passati con una certa coerenza a « Celebration » ed il discorso, in quasi quattro anni è divenuto personale. Nel momento più importante, immediatamente, al di là del '70, alla nostra musica pop sono venute a mancare matrici che oggettivamente non abbiamo mai posseduto, quelle rock-bluesistiche, e certe strutture di base, come un'organizzazione discografica autogestita, sullo schema tedesco magari, e la bravura innegabile di molti elementi, Balletto di Bronzo ad esempio, si è stemperata nelle scissioni continue e nei frazionamenti di organico. Un caso a parte è rappresentato da Franco Battiato, musicista della nouvelle vague ellettronica, ma prima uomo sensibile al rapporto con la gente, provocatore accanito e spesso inascoltato, a lui si devono cose rivoluzionarie delle quali è stato scritto tutto, o quasi. Mentre Roberto Cacciapaglia, uscito dall'entourage di una vecchia « Pollution » promette qualcosa di grande e la mantiene, e i Sensation's Fix di Falsini raccolgono per strada un po' di coraggio. Parole ben spese, da qualche tempo a questa parte sono quelle dei Dedalus e del Perigeo, cui si dovrebbero affiancare nomi usciti dal ciclo jazzistico della scuola gasliniana, per i quali vale Gino Paoli 20 il tentativo di arrivare alle masse attraverso il suono libero: i primi collegabili agli Henry Cow della Virgin hanno solo bisogno di spazio, i secondi giocano con i Weathers Report a rimpiattino, bucandoli più volte sulla linea della improvvisazione libera e sinfonica, si lasciano andare ogni tanto ad episodi scolastici che nulla tolgono comunque alla qualità di ogni loro creazione. Il Peripeo, in ogni caso, è con i gruppi napoletani prima nominati e con Franco Battiato, la punta di diamante della nostra musica: «Rosso Napoletano» di Esposito, «Clic» di Battiato, «Abbiamo tutti un blues da piangere» e « Genealogia » del Perigeo, « Campagna» di Napoli Centrale e le uscite della PDU, con Centazzo, Liguori e Cacciapaglia sono quello che ci resta di un passato in molti casi inutile, di una storia che non ha avuto la forza di continuare, e quindi non sono più opere del «Tempo Andato », che non ci appartiene se non in forme ormai emozionali, ma la nascita di una nuova creazione, autonoma e autogestita. Maurizio Baiata Labarricata, lalunaetu E' in pieno fulgore, se non altro quantitativo, l'era dei neocantautori. Quelli, cioè, che hanno tolto, con vigore e prepotenza da «nuova generazione consapevole », il predominio della canzone « intelligente » agli chansonnier del passato, alcuni dei quali per altro ancora attivi sulla scena. Il salto generazionale, dopo un lungo periodo di comprensibile soggezione spirituale, è riuscito, politicizzando la canzone o quantomeno innestandosi nel nuovo sound poetico-musicale che gli ultimi anni hanno richiesto. E a queste conclusioni sono arrivati anche, talvolta con più rigore rispetto alle giovani leve, alcuni big dell'età di mezzo che hanno ammirevolmente cercato di improntare in senso militante la loro attività musicale; Giorgio Gaber e Lucio Dalla soprattutto, e, per altre vie, anche .Jannacci. Imponente, comunque, la schiera dei nuovi cantautori, sorretti e stimolati dalla gigantesca diffusione dei circuiti musicali politici (Pci, gruppi, radicali, alternativi ecc... ), i quali di fatto costituiscono già, una alternativa ai consueti canali promozionali; ottimi, del resto, anche per personaggi un po' datati che aderiscono senza sentirsi in dovere di mutare o rinnovare la loro impostazione di fondo. Esempi recenti: Gino Paoli, al solito uscito indenne anche da questa esperienza grazie alla sua indistruttibile classe; Fabrizio De Andrè, con la sua tardiva e ambigua scoperta del fascino della folla. Ma veniamo ai giovani Claudio Rocchi

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