più la sua estraneità alle richieste. I festival presuntuosamente chiamati d'avanguardia o di nuove tendenze si moltiplicano illudendo giovani chitarristi, organisti emersoniani, batteristi frustra ti dai grandi modelli stranieri. Il successo è rapido: nazionalismo culturale, mancanza di contenuti specifici, ripetizione di modelli collaudati, tentativo di uscire per quella strada angusta da una sottocultura tanto impotente quanto becera. Premiata, Banco e epigoni minori vivono una stagione di consenso di massa, senza critica, senza verità. I concerti sono immense ammucchiate di giovani sperduti che non hanno ancora colto fino in fondo la mistificazione. Ma dura poco. Se musicalmente non si avrà un gran passo, il pop mostrerà ancora che se è valido lo è per il pubblico, e per le richieste e i bisogni di questo pubblico. Altrimenti. .. e la Premiata va in America: e il ciclo si conclude. Dagli U.S.A. agli U.S.A. Nasceranno gli autonomi, nascerà una commistione fra musica serie e pop, fra folk e pop, fra jazz e pop. Ma sopratutto nascerà l'insofferenza per ogni tipo di divetto in lustrini. Premiata, Banco, ma anche gli Area, e migliaia di altri gruppetti sembreranno sempre più dischi graffiati: continueranno a ripetere vecchie storie e vecchie frasi, che forse sono state importanti ma che prese a sé, oggi suonano ridicolmente offensive. Aree La musica in platea La ricerca di una musica pop con autonomia dalla « madrepatria americana » sfocia infatti in un recupero non tanto della politica appiccicata sopra una musica tradizionalmente importata o leggermente indurita, quanto in un recupero di alcune tradizioni musicali popolari, di una comunicazione diversa, mediterranea, per lo più meridionale. O magari il pop rimane solo come eco invadendo il campo della musica sperimentale, giocando con la musica, rincorrendone e stallizzati, cioè i non-signifisuperandone i significati cricati. Né inseguire sempre in perenne subordinazione, i modelli autonomi pre-168: lo sperdersi nell'intimismo ermetico da liceali tentando invano di alzarsi alla statura robusta di un Guccini o dei cantautori dei primi '60. Dunque comunicazione e ironia, al posto del divismo compiaciuto e pieno di sé. Cultura al posto della sottocultura imitativa e fabbricata in serie. Forse solo un fiore, fra i cento che devono fiorire: ma nel pubblico, se non proprio novantanove di fiori, ce ne sono abbastanza. Giaime Pintor GliArea dell'autonomia In origine, ancora una volta, il rock'n'roll. Un rock svaporato, nato dalle direttive americane raccolte da Celentano e pochi altri e costretto negli angusti limiti del gusto « sanremese ». La vera coscienza del rinnovamento in seno alla musica angloamericana deve attendere lo avvento dei Beatles per diventare effettiva. Un rock ingentilito, ornato con zazzerette lunghe sul collo e giacche a dodici bott'oni: i gruppi italiani del periodo amano i Beatles senza ritegno e la differenza tra loro e quelli della generazione immediatamente precedente è più nel modo che nel contenuto. Passano quasi tutti per il Piper di Roma, l'unico locale che avesse il coraggio di ospitare loro concerti, e sono nomi che cercano un po' di calore, Bad Boys, Kings, New Dada, Corvi, Equipe 84, Rokes e Renegades, inglesi trapiantati in Italia, Ribelli, Primitives, Rokketti, Nomadi, Quelli, un po' più in là nel tempo, Giganti, Nomadi, New Trolls, Showmen, Camaleonti e Dik Dik. Nella stragrande maggioranza la matrice è Beatles, ma vi sono formazioni che fanno del sano Rythm & Blues come Showmen ed Airedales, altre che si avvicinano alla canzone di protesta di storia Dylan e Guccini, come Corvi e Nomadi, in definitiva comunque la risposta affermativa allo stile angloamericano, che nel contempo ha subito modifiche per l'avvento del « flower oower » dei vari Mamas And Franco Battlato Papas etc., è totale, fornendo soprattutto a due gruppi la possibilità di emergere: Equipe 84 e Rokes, personali e misurati, intelligenti nei testi se non altrettanto nelle musiche. A distanza di dieci anni cominciamo a preferire i primi, per la struttura delle composizioni più aperta, per la bravura innegabile di Vandelli e Go., ma dei Rokes ci resta il fascino delle prime sbornie con Bob Lind e « Che colpa abbiamo noi», tutta roba che ti resta nel sangue e ti modifica quando si hanno quattordici anni. Più avanti di altri erano senz'altro i Corvi, « Un ragazzo di strada », « Sospesa ad un filo », legati al culto dei mods e dei rockers inglesi, ed i Nomadi che con « Dio è morto » e « Noi non ci saremo » guardano ad occhi aperti il mondo e gli gettano in faccia la propria incredulità. Con i New Trolls di Vittorio De Scalzi e Nico Di Palo può dirsi chiusa la prima parte della nostra storia, essendo questi già con un piede nella Londra del '67-'68 e con l'occhio fisso sii Jimi e Dylan. Il loro primo album, su testi di Fabrizio De André, « Senza Orario, Senza Bandiera », con pezzi come « Padre O'Brian », « Ti ricordi J oe » portava a temi già troppo in là per i tempi ed esprimeva una socialità raggiunta o da raggiungere per forza; poi, parallelamente, gli episodi di « Visioni» e « Sensazioni » tesi al culto hendrixiano ed il successivo ➔
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