anche questo mi pare un fatto importante in un discorso su un rapporto meno represso con la sessualità. D'altra parte, chi voglia fare un esempio del ruolo della donna come oggetto sessuale (ma anche della presa d'atto e del rifiuto di questo ruolo) può servirsi utilmente di una canzone diffusa in tutta Italia come «Cecilia», magari mettendo a confronto le diverse varianti. La storia è grosso modo questa: il marito di Cecilia è in prigione (non si sa perché), e il « capitano » promette a Cecilia di liberarlo se lei è disposta a dormire una notte con lui. Cecilia va a chiedere il permesso al marito: questo, in alcune versioni, le impone di rifiutare, in altre la implora di accettare. In un caso e nell'altro, Cecilia antepo~ la vita del marito al proprio « onore », e accetta di dormire col capitano. La mattina all'alba, affacciata alla finestra, Cecilia vede il marito morto; delle volte, il capitano le offre di sposarla o di trovarle in marito « principi e generali», ma Cecilia rifiuta. In una versione che ho sentito cantare in Valnerina, Cecilia uccide il capitano staccandogli la testa e scappa in America. E si potrebbe adoperare anche la stotia della « Bella Fantina » che segue il « cavaliere » fino al castello, ma quando si accorge che vuole abusare di lei lo uccide con lo spillone che porta nei capelli dopo aver fatto finta di starci (che è poi la storia della ballata inglese in cui la ragazza chiede al rapitore di voltarsi mentre si spoglia e gli dà una spinta buttandolo nel fiume). La questione dei costumi sessuali è legata anche ad un altro aspetto più interno, meno di contenuto e più di stile, del rapporto fra la donna e il canto popolare, e cioè proprio il modo di cantare. Secondo Alan Lomax, per esempio, c'è una connessione diretta fra aree culturali caratterizzata da una forte repressione sessuale ed uno stile di canto con emissione di gola, timbri assai acuti, estremamente « strappato ». Lomax fa due esempi che sembrano funzionare: le montagne sudorientali degli Stati Uniti e il sud d'Italia, zone ambedue assai conservatrici sul piano sessuale, dove appunto la musica ha di queste caratteristiche. Il discorso di Lomax è legato ad ipotesi - tutte interne al concetto di « cultura » della scuola antropologica americana - che finiscono per spiegare i fatti culturali non in rapporto ai fatti sociali ma solo in rapporto ad altri fatti culturali, finendo quindi col non spiegare quasi niente; però è un fatto che il suo discorso è sug17 gestivo e gli esempi funzionano. E questo sta a confermare la necessità di un grande rispetto per il rigore stilistico quando si cantano le canzoni popolari: cambiare il tipo di emissione vocale quando si canta una canzone del nostro Sud, per esempio, può voler dire cancellarne il segno della repressione sessuale, cambiarne il valore politico. Altri fatti formali, di stile, sono collegati alla divisione dei ruoli fra i sessi. Per esempio, il fatto che le forme espressive più pubbliche, teatrali, sono generalmente riservate agli uomini: le donne non cantano l'ottava rima, in tante forme di teatro popolare i ruoli femminili sono rappresentati da uomini in abiti femminili. Lo stesso vale per gli strumenti musicali: la zampogna, l'organetto, le launeddas, sono strumenti maschili; al massimo le donne suonano gli strumenti di accompagnamento, le percussionitamburello, nacchere. Da tutto questo esce fuori che un discorso che illustri il ruolo sociale e l'oppressione della donna, soprattutto nella società tradizionale precapitalista, attraverso il canto popolare deve liberarsi subito dell'illusione di trovare belle e fatte canzoni di protesta, canzoni femministe ante litteram. Bisogna fare un lavoro di scavo, sottoporre ad analisi da un nuovo punto di vista, dal punto di vista del movimento di liberazione delle donne, le stesse canzoni che sono servite già ad altri discorsi, ad altre analisi. E questo lavoro le compagne devono farlo da sé. Il canto popolare si presta raramente alla propaganda, si presta assai bene alla conoscenza; se si vuole fare della propaganda, le canzoni bisogna scriversele da sé, ma se si vuole andare a fondo nella realtà gli strumenti ci sono. Con questo non voglio dire che non esistano canzoni esplicite, dichiarate, di lotta in cui le donne sono protagoniste: per esempio, tutte le canzoni delle operaie tessili americane e delle donne delle comunità minerarie degli Appalacchi, scritte da donne come Ella Mae Wiggins o Sara Ogan Gunning, raccontano la lotta di classe anche dal punto di vista delle sofferenze che le donne soffrono in quanto tali, nei rapporti con i figli a cui non possono dare da mangiare; Sara Ogan dice « Odio il sistema capitalistico» per motivi assai personali e precisi, perché le ha distrutto il marito, la figlia, la madre. C'è una splendida canzone di un'operaia del West Virginia che racconta dell'umiliazione che soffrono le operaie che vanno in giro stracciate e sporche e sono disprezzate dalla gente di città: « Ma lasciamogli pure i loro begli orologi, i fili di perle, i gioielli; quando verrà il giorno del giudizio, gli faremo mettere giù la loro bella roba ». Per fare esempi più contemporanei e .vicini a noi, le operaie della Crouzet in lotta a Milano hanno fatto una serie di canzoni in cui di quando in quando affiora un discorso che non è semplicemente il discorso sindacale tradotto al femminile ma l'intuizione di qualcosa di diverso {sulla Crouzet c'è un disco dei « Dischi del Sole » che riporta canzoni, interviste, manifestazioni, momenti di lotta; un altro disco simile sta per uscire con la documentazione dell'occupazione della Filati Lastez di Bergamo, e anche qui ci sono diverse canzoni fatte da operaie e interviste da cui esce fuori come l'occupazione abbia voluto dire per le donne la presa di coscienza della necessità di non lasciare la politica ai loro mariti). E vorrei finire con un'osservazione a proposito della famosa (troppo) « Sebben che siamo donne». C'è chi vede in quel « sebbene » l'accettazione di una inferiorità innata. Io penso il contrario: c'è orgoglio della consapevolezza che poter dire « paura non abbiamo » è un atto di coraggio molto maggiore per una donna che per un uomo, perché è un atto di ribellione più difficile che scuote fondamenta più nascoste e segrete del sistema di potere. Sandro Portelli
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