_Negli ultimi tempi mi è capitato abbastanza spesso di discutere con gruppi di compagne interessate al rapporto tra la donna e il canto popolare ed al possibile uso della canzone popolare come strumento di comunicazione e di analisi del movimento femminista. Vorrei esporre alcune delle idee che sono uscite fuori da queste discussioni, senza pretesa di « dare la linea », ma anche per aiutare le persone interessate a questo discorso a superare la tentazione di « scorciatoie » troppo facili e immediate. Mi pare utile partire da una esperienza diretta. Tre anni fa, una domenica mattina, ero andato a Fumone, un paese di montagna in provincia di Frosinone, all'ombra di un immenso ripetitore radiotelevisivo, per continuare il lavoro di ricerca che stavo facendo da quelle parti. Il paese era del tutto vuoto, per strada non c'era nessuno, bar e negozi erano chiusi. A un certo punto, da una finestra, sento una donna che canta degli stornelli (non male, ma non è questo che conta) dentro casa. Busso alla porta, le spiego chi sono e che faccio, e le chiedo se me li fa registrare; lei mi dice di ripassare fra un'ora, quando ci sarà il marito. Torno un'ora dopo, mi apre il marito e mi dice: Altramusica Cherchelze folk Matrimoni forzati, monacazioni obbligatorie, cura dei bambini, le lunghe ore del cucito._ il fumo della filanda che rovina i bei colori, il pianto rituale della vedova. Percussioni, tamburelli, nacchere: tutti strumenti d'accompagnamento senza autonomia. Questi i temi e i suoni della canzone popolare femminile. no guardi, lei si è sbagliato, mia moglie gli stornelli non li canta e non li ha mai cantati, arrivederci. Naturalmente, non era vero. Ecco, il primo discorso da fare mi sembra questo: che già solo per rilevare quello che veramente succede nel rapporto fra le donne e il canto popolare ci si trova di fronte ad ostacoli specifici, prodotti dalla condizione subalterne delle donne, soprattutto nel mondo contadino. Il fatto stesso che su questo argomento se ne sappia relativamente poco è in sé un'indicazione di come le donne tendano ad essere escluse dai mezzi di comunicazione e di espressione. 15 Che cosa cantano le donne:' Questo dipende, come per gli uomini, dalle cose che fanno, dal loro ruolo sociale. Intanto, esistono alcune forme di canto di lavoro strettamente legate all'uso della manodopera femminile: a partire dalla filanda per arrivare alla risaia, abbiamo due dei filoni più solidi della tradizione del canto sociale in Italia. Ci sono differenze grosse fra questi due filoni, però. Il canto di risaia tende ad essere più direttamente politicizzato, ma spesso in termini non specifici; « noi vogliamo la uguaglianza » si riferisce all'uguaglianza sociale in generale, non a quella fra i sessi, e infatti « ci han chiamate malfattore ma noi siam lavoratore » è una traduzione abbastanza maldestra dal maschile (il che non toglie che siano donne a condurre queste battaglie, ad impossessarsi di questa volontà di uguaglianza, e non è una cosa da poco). Il canto di filanda, sviluppatosi in zone di tradizione « bianca » cattolica, risente meno della tradizione politica proletaria; è spesso più protestatario che politico. Ma a volte proprio per questa minore attenzione alle questioni generali è più attento a quelle specifiche ed abbiamo in queste canzoni descrizioni dettagliate del lavoro di filanda, dei rapporti gerarchici, degli episodi della vita operaia collettiva. Entra quindi un riflesso spesso più diretto del punto di vista femminile. Si incontra cosl il tema della fabbrica che fa sfiorire le ragazze (magari contrapposta alla campagna: non va dimenticato che la filanda si colloca agli inizi della rivoluzione industriale e quindi trae direttamente dalle campagne la sua manodopera). Una canzone inglese dice « come fai a dire che questo è un bel letto / quando dentro non c'è altro che una ragazza di fabbrica? »; e tutti sappiamo la canzone del fumo della filanda e del calore delle caldaia che fanno sparire i colori dalla faccia della ragazza « ma ..
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