sociale? Muzak l'ha chiesto a Dario Fo, uomo di teatro e uomo di sinistra, anzi uomo di sinistra che ha sempre usato il teatro per sensibilizzare il pubblico alla politica e alla storia: dai fatti di cronaca ( Morte di un anarchicodefenestrato, ad esempio), a momenti specifici di lotta politica (pensiamo a Non si paga, non si paga, sull'autoriduzione e contro l'aumento dei prezzi), alla cultura popolare ( Mistero buffo). Muzak: il Teatro, tutte le altre forme della cultura borghese ritenute sacre e indiscutibili, è stato criticato, stravolto e ridefinito, prima in America e poi, nel '68, anche in Italia, dagli studenti e dai giovani rivoluzionari, in quel fervore di comprensione e di conquista che ha accompagnato le prime lotte di massa, come un principio di rivoluzione culturale. I suoi luoghi sono stati violati, le sue complicate regole ridotte a scarne indicazioni, i copioni ridotti a volantini. E' stato perfino trasferito nelle strade. La sperimentazione ha cancellato il « birignao », sostituito i costumi con i bluejeans ... Ci sono state ·cose brutte e cose belle. Soprattutto cose brutte perché la gente ha perso la paura e ha tirato giù il teatro dall'empireo dell'arte per il più concreto cielo degli strumenti. Ma qualcuno ha detto che quello non era più teatro. E' possibile definire che cosa è teatro e che cosa non lo è? Dario Fo: Teatro è il bambino che rifà il grande. E' il rito disinibitore di spogliarsi e fare il bagno con il fratellino. Teatro era mio nonno che andava alla domenica con il cavallo e il carrettino a vendere in paese verdura e fiori: urlava, lanciava delle provocazioni, sapeva tutto di tutti e raccontava a ciascuno i fatti del suo -vicino. Tutti si affacciavano a farsi la risata. Era teatro quando ci si riuniva in stalla d'inverno e c'era sempre uno che raccontava, e uno o due che suonavano. Si crede che il teatro sia recitazione, ma non è vero: teatro è rappresentazione. Qui sta la grande differenza fra il teatro popolare e quello borghese: uno è epico, cioè racconta, l'altro è naturalistico, cioè l'attore esegue, non indica un personaggio, ma fa finta di essere un altro e lo spettatore viene relegato nel ruolo di vojeur. E' come se venisse su un vetro nero, davanti alla scena, una quarta parete, a cui il pubblico si affaccia, separato e acritico, pronto a identificarsi, a piangere, a commuoversi, ma non a pensare. Muzak: Ma allora avevano ragione quelli che hanno strappato al teatro la « magia », l'hanno chiamata truffa, roba per distrarre il popolo dai suoi bisogni reali e per divertire con qualche emozione la borghesia annoiata. Hanno fatto bene a scen13 dere in piazza, con quattro cartelli e una scacciacani, per rappresentare la polizia che uccide uno studente, per esempio, o la guerra nel Vietnam.. Dario Fo. Certo. Però hanno creato confusione e non perché hanno fatto quello che hanno fatto, ma perché hanno detto che esisteva solo quello, che era l'unico teatro, che tutto il resto, tutti gli altri modi erano palle. Negli anni cinquanta, noi abbiamo inventato tante cose: avevamo addosso tute nere, ci scambiavano i ruoli continuamente perché il pubblico non potesse identificarsi, abbiamo inventato il rigore, abbiamo buttato a mare il capocomico.. ma non ci siamo messi a teorizzare che il nostro modo di fare teatro era una verità definitiva. Muzak. Ma perché tanta voglia di fare teatro? Viene quasi per tutti un giorno in cui si pensa di fare l'attore. Dario Fo. Già, soprattutto quando si è ragazzi: è la voglia di fare il grande, di inventare la vita ... Muzak. Infatti l'adolescenza è caratterizzata proprio da questo: sono finiti i giochi, ricchezza dei bambini, e ancora non è incominciata la vita-vita, quella degli adulti, che si immagina piena di eventi. E' una situazione di attesa, sembra che non succeda niente, e allora fingersi diversi è uno sbocco all'insoddisfazione, al senso di incompletezza dei sedici anni. Dario Fo. Si fa teatro anche per darsi coraggio: una volta alle fiere gli imbonitori ripetevano mille volte da soli i gesti che poi avrebbero rifatto e questo gli dava sicurezza. Poi si fa teatro per esorcizzar~ qualcosa che abbiamo addosso, qualche paura. Per mettere in mutande il potere: nel teatro i rapporti rovesciano. Si fa teatro per vendicarsi, per ridicolizzare il re. Muzak. Morirà il teatro? In una società atomizzata come la nostra, in cui il popolo, espropriato della sua cultura e della sua tradizione, è diventato massa telecondizionata? Dario Fo. Il teatro è una forma che non può cadere perché è legata al fatto di parlare e di gestire. Ma l'alienazione ormai è drammatica: l'operaio non ha più il suo teatro, il caffè. Il supermercato ha sostituito con un muto dialogo fra la massaia e le scatolette, la società del negozietto. Sono finite le corti ... Il teatro era l'unica forma di cultura_non borghese: la borghesia non ha inventato una sola forma teatrale, è tutta roba rubata. La « vaudeville », la commediola licenziosa, prende il nome da un personaggio del teatro popolare, il« vitello di città »... poi si è trasformata in quella sorta di storia sporcacciona per gente per bene ... Adesso invece di derubare al popolo il suo teatro e stravolgerlo alla classe dominante non in- ➔
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