Muzak - anno III - n.07 - novembre 1975

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Collettivo redazionale • Via Valonzlanl, 5 • 00198 Roma • Tol. 4956343· 3648. Glalmo Plntor (direttore]. Lidia Ravera (vico direttore]. Carlo Rocco (capo redattore), Danilo Moronl (capo servizi musica), Maurizio Batata, Marcello Sarno, Collettivo di via Anfossl di MIiano, Fernanda Plvano. Roberto Silvestri. Renzo Coschl, Antonio Bolmonta, Gino Castaldo, Sandro Por• tolti, Mauro Radico, Danlel Calmi. Gianfranco Binari, Agnese Do Donato. Coordinazione odltorlalo: Lydla Tarantini - Impaginazione Diana Santoauoaso • llluatrazlonl: Lauri Cretara. Copertina di Ettore Vitale Posta Pier Paolo Pasolini I festival dell'Unità Intervista a Darlo Fo Folk - .Donne e popolo Pop Italiano Intervista a Antonietta taterza Autoritratto di Don Cherry La canzone nel sud degli Usa Storia del Jazz lii ••• Hanno collaborato: Corrado Sannuccl, Goffredo Fofl, Mario Schifano, Simone Dessi. Roberto Ronzi, Marco Danl. NI• no Vento, Bruno Mariani. Jacques Borrolli. Foto di: Agnese Do Donato p. 15-16-17-23. Carlo Rocco p. 12-13-14-38-62. Sandro Becchetti p. 10-11-24,25-31. Tano D'Amico p. 32-34-35-37. Piero Tognl p. 9-20. Giovanni Sagrati p. 57. Speciale scuola Inchiesta nelle scuole romane: il sesso Speciale scuola Spazio aperto Il Jazz-rock Dibattito sulla critica musicale Recensioni e schede Fumetti Renato Calligaro Cinema Lite slze e Shampoo Libri - Lenz L'asino • Il leone Miti e riti - Lo spinello Canzoni politiche • Le lattine Planet Waves HI-FI • La mostra del suono a Roma Campra vendi & Informa 3 Edizioni: Publlsuono • Via A. Valen• zlanl, 5 00184 Roma • Tel. 49563433648 - Amministrazione: Patrizia Ot· tavlanl - Pubblicità Lydla Tarantini - Segreteria editoriale: Elvira Sallola - Direttore responsabile: Luciana Pensutl - Abbonamenti (12 numeri) Liro 5.500 çcp n. 11155012Intestato a: Pu• blisuono • Via Valenzlanl, 5 • Roma. Un numero Lire 500. arretrato Lire 800. Diffusione: Parrlnl & C.• Piazza Indipendenza, 11/b • Roma • Tol. 4992. Linotipia: Velox • Via Tiburtina, 196 • Roma - Fotolito o montaggi: Cfc • Via degli Ausoni, 7 • Roma - Stampa: Sat • Roma. 6 Glalme Pintor 9 Gino Castaldo 10 Lidia Ravara 12 Sandro Portelli 15 18 22 24 Mauro Radice 26 Gino Castaldo 29 31 38 Bruno Mariani 39 44 45 Simone Dessi 53 54 Goffredo Fofl 56 57 58 6 Danlel Caiml 62 64 Muzak non accetta pubblicità rodazlo• nale. Gli artlcoll, le recensioni, le Immagini e le foto di copertina sono pubbl leste a unico o Indipendente giudizio del collettivo redazionale. Registrazione Tribunale di Roma numero 15158 del 26-7-1973. Avviso fondamentalo: Abbiamo cambiato sede, Il nostro nuovo Indirizzo è Via Valenzlanl, 5 - Roma. Potete telefonarci al 49.56.343 oppure 49.53.648. Per me si va... Slamo In edicola In ritardo, però abbiamo affrontato rargomonto sesso. Abbiamo fatto un'Inchiesta lunga, dallo spoglio non facile o dal risultati, cl sembra, significativi. Se non altro abbiamo ottenuto, In una dello scuoio (un liceo classico In un quartiere alto). un'assemblea straordinaria di genitori preoccupati della moralità del loro figli (ma perch6 I genitori al preoccupano della moralità del loro figli solo In occasiono dello Inchieste? Forse credono che I figli slaoo asessuati. fino a che non leggono su un questionarlo che Invece 11 sesso ce l'hanno e lo usano? Le risposte sono state accurate, meditate, senza forzature, nella maggior parte del casi, comunque anche alcuni luoghl comuni sono duri a morire: cosi, per dirne uno solo (ma Importante) quasi nessun maschio dice di aver problemi con Il suo sesso. Frutto evidente non di una • razza sana • ma di una virilità malintesa... Per la ricchezza di Implicazioni di questa Inchiesta, sul numero di dicembre continueremo con un commento particolare su alcuni dati. Lo speciale scuola (Per chi suona la campanella?) continua, e continua anche grazie al vostro contributo ricco e articolato. Per motivi puramente tecnici di spazio non abbiamo potuto pubblicare un esame dello tre leggi di riforma allo studio del parlamento (Pcl, Psi, Dc): abbiamo comunque disponibili I testi e rimandiamo al numero prossimo l'analisi comparata. Per Il teatro Inauguriamo con Darlo Fo una serie di Interviste che sostituiranno le solite vecchie recensioni. Proponiamo con alcuni dirigenti del Pcl. un bilancio dello feste dell"Unltà o tentiamo anche un bilancio del pop Italiano di fronte alla svolta, alla ricerca non più colonizzata di strade autonome. Con l'apertura di un dibattito sulla critica e con un saggio sul jazz-rock di Bruno Mariani, nuovo acquisto della nostra scuderia critica continuiamo nella ricerca • un nuovo modo di parlare di musica •. Dicono che novembre è Il mese del morti: tentiamo d'essere vivaci.

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come femminismo come controinformazione come denuncia come lotta perché la donna sia sempre più consapevole del proprio sfruttamento della propria emarginazione della propria sessualità negata effe per combattere unite le battaglie che sono nostre e che nessuno combatterà per noi efre e m edicola con un numero monografico di denuncia della violenza sulle donne effè è un mensile autogestito per questo ha bisogno dei vostri abbonamenti effè effè efre effè effè

Posta Sono un vostro lettore dal dicembre del '73. In quel tempo avevo idee un po' balorde sulla musica: inseguivo gente come Jethro Tull, Genesis, Santana, King Crirnson che ci venivano scientificamente propagandati dal sistema. Poi cominciai a leggere Muzak e conobbi l'altra faccia della medaglia; dapprima fu una serie di scoperte, poi, fatto un profondo « mea culpa », feci mie e mi feci io stesso portatore di quelle idee che venivano fuori dal gior.. nale. Questo penso sia stato il primo effetto che voi della redazione avete ottenuto su chi, come me tanti altri, aveva voglia di affrontare le cose diversamente, ma trovando sulla sua strada i vari « 2001 » non sapeva realmente dove sbattere la testa. Certo all'inizio il giornale era un vero e proprio groviglio di gente e di idee più o meno giuste che si contendevano lq spazio per gli articoli, creando altrettanta confusione da parte dei lettori. Poi dopo varie « epurazioni » e nuove entrate si giunse ad una linea più definita che fece inorridire tutti coloro che non volevano «politica» nella rivista, ma invece sapere quanti luccichini aveva Emerson nel suo vestito. Si operò quindi anche una selezione di lettori, e questo fu un bene per tutti, per chi comprava e per chi scriveva. Ma sul più bello la rivista cessò le pubblicazioni lasciando tutti no; che ormai andavamo formar un nucleo sempre più compa nel dubbio atroce che Cefr avesse ingoiato la « pericolosa » rivista, il che non avrebbe meravigliato nessuno. . Ma, finalmente, abbiamo ritrovato nelle edicole un nuovo Muzak che questa volta, fregandosene delle critiche precedenti, ha preferito mettersi con le spalle al coperto e si è saggiamente «legato», se cosl si può dire, alle edizoni Suono, ché mettiamocelo bene in testa: oggi un giornale non può sostenersi se non piglia soldi dalla pubblicità. Ci sono stati parecchi miglioramenti nuova impaginazione, prezzo contenuto, meno foto « divistiche » con più spazio per gli articoli, un linguagiliO più concreto e immediato che viene più chiaramente recepito dal lettore meno sofisticato, una ben definita scelta politica. Ma la scelta nuova più importante è stata al creazione di un giornale che non parli solo di musica ma, affrontando temi come la droga, l'aborto, l'emancipazione femminile, e unendoli con problemi più strettamente musicali (feste liberate, autogestione ...), rappresenta le idee e la volontà non solo dei suoi lettori, ma anche di tutti quei giovani che il 15 giugno hanno espresso cosl chiaramente ciò che volevano (e non è retorica elettorale). La forza del giornale deve consistere in un dialogo continuo e responsabile tra tutti noi: voi che scrivete e noi che leggiamo, e i problemi devono essere posti in modo cosl chiaro e diretto che nessuno possa sfuggire alle proprie responsabiltà. Muzak non deve essere solo un giornaletto d'evasione ma una partecipazione diretta e costante ai fatti musicali, culturali e sociale che avvengono quotidianamen te intorno a noi e una ferma risposta alle insidie del sistema. Piccoli suggerimenti: più spazio alla posta, maggiore frequenza in edicola, le « pagelle » non servono a niente, le critiche cinematografiche fatele su film più « costruttivi », continuate con i Muzakoncerti. Scusate la prolissità. Mauro Chialastri Via Sestili, 2 - Roma Pubblichiamo questa lettera, come regalo per il secondo muzakcompleanno, gratifcante fino a far dubitare dell'autenticità. Sono un vostro abbonato ma penso proprio che non lo sarò più: apri Muzak e trovi depenalizzazione di qua, depenalizzazione di là... già che ci siete perché non promuovete una campagna per la depenalizzazione dei sequestri di persona e degli assassinii, visto che siete così permissivi? Scrivete delle assurdità che raggiungono e oltrepassano l'idiozia: l'elevazione dei « defunti rossi ad eroi, io potrei elevare allora Falvella, Ferrari, Ramelli e tanti altri. Voi scrivete « i fascisti hanno licenza di uccidere », ma se un ragazzo è sospettato avere idee di destra e dà uno schiaffo a un comunista 6 finisce dentro subito e gli assassini rossi (Valpreda) sono in libertà elevati a eroi nazionali. Voi vorreste condannare il carabiniere che guidava il camion che ha investito Zibecchi (non gli hanno ancora intestato una via a Milano?) Naturalmente Zibecchi stava facendo la magia, vero? Non è che stava buttando sassi e bottiglie contro le forze dell'ordine? Solo sui fascisti possono e devono sparare le forze dell'ordine. Se non sbaglio Almirante ha chiesto davanti a milioni di telespettatori nonché cittadini italiani, che le Forze dell'ordine abbiano il permesso di non sparare! E poi apro Muzak settembre 75, posta, in risposta a una lettera di un anticomunista convinto (a proposito, perché non ti sei firmato?) e le cui parole condivido, avete di nuovo oltrepassato l'idiozia, e in più invitate all'odio e alla violenza fisica: « parole poche, sprangate tante » Del resto non c'è da stupirsi: voi ragionate con le spranghe e coi bastoni. Ma ricordatevi che non sarete certo voi di Muzak ad estinguerci ... Spero che dal momento che vi definite democratici pubblicherete questa breve ma signifcativa lettera. Luca Personemi, Bergamo simpatizzante dell'Msi Dopo aver letto quell'assurda lettera apparsa su « Muzak 5 » non ho resistito ed ho scritto queste righe, rispondendo a quel « babbeo » che si definisce « un anticomunista convinto » ma che non è altro che un fissato che non ha capito nulla della vita. 1) Muzak non fa nulla di antidemocratico e non incita affatto all'odio, o meno che parlare dei problemi dei govani e degli errori della società è un incitamento all'odio ...!!! 2) Questo tizio ci vene a parlare di Almirante (gulph ! assurdo) che in TV chiede la pacificazione nazionale e poi incita allo scontro fisico e ad anche peggio i suoi «camerati»-!!! 3) Il fascismo è morto? Cosl dovrebbe essere, ma purtroppo ciò non è vero e tutti ormai conoscono la triste realtà. Infine, se Muzak è una rivista musicale che non gli va a genio, che non la comprasse, sarebbe meglio!!! Un compagno di Roma Marco '58 Vorrei rivolgere a « un anticomunista convinto » le mie più calde e convinte congratulazioni per la sua lettera pubblicata sul n. 5 di Muzak. Almeno qualcuno ha avuto il coraggio di ammettere che la politica è un « cesso » (cosa giusta), e non un qualcosa da lodare osannare o che altro. Non so le sue idee politiche, ma le mie condannano fermamente la politica (di parti ti) e i suoi sostenitori. Io credo nell'amore e nella pace. non nella politica. Non firmo per paura di qualche spranga rossa o nera in testa. Un altro anticomunista convinto Love + Peace P.5. - Spero che voi politicanti siate gli ultimi esemplari di una razza in estinzione sulla terra. La risposta « Parole poche sprangate tante », formula liquidatoria per una lettera anticomunista ha raggiunto il suo scopo: scatenare un dibattito aprressivo e stimolante sulla faccia della democrazia. Bisogna discutere e convincere chi scrive che Va/preda è un « assassino elevato a eroe nazionale» o bisogna aspettarlo sotto casa e caricarlo di legnate? lo non so rispondere: le lettere dei lettori mi hanno costretta a rivedere le mie posizoni « violente» (ad ascoltare gli impulsi immediati, lo confesso, imbraccerei più che altro un paio di fucili davanti ai casi disperati: dubitare dell'innocenza di Pietro Va/preda può essere solo malafede, fascismo, follia). Ciononostante le lei/ere mi hanno turbata, non tanto per i contenuti, quanto per la calligrafia (alludo ali'« anticomunista convinto » che si firma « Loue + 11eace ») infantilissima (Terza media?), per l'ingenuità grave ma patetica che contrantJone l'amore e la pace alla politica, per quel vibrante « voi politicanti » che riconosco come pesante retaggio di un'educazione borghese, fatta di padri che vietano la lettura del quotidiano e che si scandalizzano quando il giornaletto di musica parla di comunismo. Davanti a tanta inconsapevolezza, poso volentieri la spranga e poiché « anticomunisti convinti » a 15 anni non lo si è mai ( non tanto perché non si possa essere convinti, quanto perché la convinzione anticomunista ha poco della convinzione e molto della menzogna, dell'interesse, del falso funzionale, cosa, spero, di altre età), invito « Love+ peace » a pensare, spogliandosi il più possibile dei luoghi comuni, dell'idiozia ereditaria, delle balle che gli hanno raccontato. Questo aggiustamento della mia posizione lo allargo anche all'anticomunista della prima lettera, quello a cui ho risposto con tanta violenza: « Chi ti scrive una lettera si mette in posizione di dialogo con te, non puoi rispondergli a sprangate», mi ha fatto notare un amico. E su questo mi autocritico. Diverso, molto diverso, il discorso per Luca Personemi, che scrive per insultarci e dirci che hanno fatto bene ad ammazzare Zibecchi visto che stava in piazza contro le forze dell'ordine, che si firma simpatizzante del Msi. La sua non è una lettera ma un manifesto missino, una propaganda delinquenziale, la stessa che sta dietro la morte, le bombe, la strage.

Davanti a questo la democrazia si ferma. Del resto, io credo, democrazia non vuole dire non avere dei nemici. Io la penso così: il diballito continuerà sul prossimo numero con un'inchiesta sulla violenza e, spero, altre lei/ere. Lidia Ravera Leggo con un certo stupore nell'articolo su Licola (Muzak 6) otto righe che mi riguardano e che riporto integralmente: « dal palco centrale Tony Esposito risveglia gli entusiasmi sopiti da Pierino Nissim del Teatro operaio autore ed esecutore del volenteroso quanto ridicolo « Tié Fanfani » ( il verso seguente suona circa così: « affanculo ti manc1erò » ). Rispondo brevemente (sul primo non lo volevo fare} perché mi sono sentito offeso. Offeso! ullallà, parole grosse. Certo, offeso e anche amareggiato (umiliato no, se no scriverei un romanzo peraltro già edito) per la maniera scorretta, gratuita e anche superficiale con la quale vengo criticato, se di critica si può parlare. Tanto per cominciare questo sopore generalizzato durante le mie canzoni sinceramente non mi risulta (e chi canta è il primo che si accorge della attenzione o no di chi l'ascolta, della « presa » sul pubblico, se ne accorge come percezione fisica, palpabile). A meno che l'articolista distratto non abbia preso l?er sonnolenza il silenzio rabbioso della gente durante canzoni che parlavano di due compagni morti (ci sono anche loro, certo, e sono morti scomodi, ma per i padroni non noi. Mai, in nessuna circostanza credo, nemmeno a Licola). Quanto alla canzone « Tié Fanfani » è una canzone nata durante la campagna per il Referendum e faceva parte dello spettacolo « Processo alla DC » che il Teatro Operaio ha portato in giro nei paesi del sud in quel periodo. La canzone chiudeva lo spettacolo sintetizzando un po' i temi toccati. Le strofe (perché ci sono anche le strofe - qualcuno dirà: « volenterose quanto schematiche - ») suonavano pressapoco cosl: « La DC deve pagare sei milioni di emigranti / li ha divisi tutti quanti senza farli divorziare » ... deve pagare per la violenza che subiamo, per lo sfruttamento, la miseria, insomma la DC deve pagare. Il ritornello poi era appunto « tié Fanfani affanculo ti manderò » che piaceva molto, ma proprio molto, tutti ridevano, lo cantavano, lo scandìvano con le mani, bambini, vecchi braccianti, donne proletarie, e tutti avevano l'aria divertita e soddisfatta perché ascoltavano da noi quello che volevano esprimere loro (eh, purtroppo il popolo è fatto così, facilone, ci metti la parola un po' azzardata, un po' sconcia e ride subito, come per le barzellette ...). Non vedo in tutto questo, né nella canzone, niente di velenoso né tantomeno di ridicolo, a parte il personaggio - Fanfani -, ma non era a questo che Muzak alludeva. Purtroppo. Dunque una canzone datata, che ha avuto una sua « funzione » e una sua storia e in questo spirito l'ho presentata e cantata· a Licola, ma nell'articolo questo non compare. Un'aggiunta per gli - esperti: la canzone in causa non l'ho seritta io, ma Enzo Del Re. Io la sottoscrivo, come la sottoscriverebbe il compagno Fortunato, di Ururi, se non fosse morto pochi mesi fa. ~Chi era Fortunato? Un compagno eccezionale, un giovanotto di settantadue anni, sveglio, tenace, proletario comunista. Fate bene attenzione, non una Luigina da mitizzare e imbalsamare, ma un rivoluzionario, militante di Lotta Continua, alla testa delle occupazioni delle terre nel dopoguerra, poi emigrato in Francia (ha vissuto pure il Maggio), e che si alzava all'alba per andare con i compagni ai picchetti davanti alla Fiat di Termoli. Sono stato a ritrovare Fortunato nell'aprile scorso, ma purtroppo per la malattia e per l'età non si ricordava più di me. Ma un po' alla volta si ricordava delle nostre canzoni e gli ribrillavano gli occhi e me le ricanticchiava con gusto: « ministro dei trasporti è Guido Corbellini / se magna li binari, la stazione, i treni e tutti li traversini » (le aggiunte sono sue: l'aveva rimpolpata ...) e poi ancora: « Tiè Fanfani, referendum voterò no! ». Come vedete non ho seri 110 una arringa, una difesa strettamente personale, ma una « difesa » del mio lavoro, delle cose che faccio e soprattutto di coloro che di questo lavoro fruiscono, migliaia di proletari, giovani e anziani, che hanno assistito in decine di paesi ai nostri spettacoli, attenti, critici, ora commossi ora divertiti. In verità mai sopiti. E sinceramente non ritengo giuste 7 che su tutto questo, su me e su loro, ci sputi sopra con tanta leggerezza in otto righe uno scribacchino anonimo (o l'articolo è del collettivo redazionale? Nel qual caso « affanculo anche Muzak »). Piero Nissim La lettera di Piero Nissim giunge a proposito. Sul prossimo numero di Muzak, infatti, ci sarà un ampio dibattito sullo stato e le prospettive della canzone politica. Il nostro disaccordo, comunque, con l'ultima produzione di Nissim è, ci spiace dirlo, totale. E ci sembra un excusatio non petita, come si dice, ricordare l'importanza squisitamente politica della tournée meridionale del Teatro Operaio in occasione del referendum sul divorzio. Conosciamo Pierino da tempo e sappiamo quanto egli ha dato al movimento come militante e come cantante di battaglia prima del Canzoniere Pisano, poi con con il Teatro Operaio e in generale nella milizia politica nella sinistra. Tutto ciò, tuttavia, non ci impedisce di affermare che le canzoni da lui cantate a Licola sono decisamente e senza speranza quantomeno arretrate e al limite della dignità musicale e politica. Troviamo indegno, per esempio (e proprio per il rispetto di quei morti che Nissim mette a paravento delle critiche), rifare l'elenco sbiadito e umiliante degli ultimi compagni assassinati sulla musica di Morti· di Reggio Emilia, sostituendo meccanicamente un nome con un altro quasi che questi compagni non meritino una creazione artistica originale. Troviamo scorretto il riferimento al proletario Fortunato, maschera troppo comoda, vecchio vizio da combattere e sradicare in tanta sinistra perché dietro c'è solo il populismo e fra populismo e disprezzo delle masse il passo è breve. « Il popolo è fatto così, facilone, ci metti la parola un po' azzardata, un po' sconcia, e ride subito ... » Scrive Nissim. Una frase scivolosa, che vuole ironizzare e i:zvece scopre il vero gioco: non far crescere questo mitico « popolo », non farlo maturare ma continuare a dargli la peggior sottocultura da caserma, quella sottocultura che la borghesia gli ha imposto per secoli. Se questa, secondo Nissim, è la funzione de/l'artista allora il nostro non è solo disaccordo ma antagonismo. Se poi egli è solo un comiziante con chitarra, crediamo che anche la maturazione politica passi per altre prese di coscienza che non la battuta (diciamocelo ormai scontata e fatta propria anche dai qualunquisti) contro Fanfani. Né musica, né politica, dunque: da qui la nostra non critica (per questo solo poche righe...) ma la nostra profonda insofferenza. o c ~ Q) ~ c ·- - - «i "C Q) .e o c ns a> U) o 0. o "C ns :a c - - Q) a>- ~ C) nsc c N •- •- N ·- c C•- .,2 o o-e oc ns .. .. Q) ~ cu "C c cu ~ ~ ~ c a> Q) cu > ~ o o "C ·- "C c f6 c ~ o= oc ns c ~ ~~ ~ Q) a,_ a,m 0. C) 0. ·- w z o :::e c.. o >< e :i:

La Pioneer mette questo spazio a disposizione di chiun- ---------------------------------. que abbia qualcosa da dire sul problema della comunicazione musicale. Inviate i vostri interventi a: Spazio Libero Pioneer-Audel • Via Ximenes 3, 20125 Milano « LA MUSICA PORTA ALLA ROTTURA DEGLI SCHEMI, DEI FILTRI E DEI GIOCHI DI PRESTIGIO... » Continua il dibattito sulla musica, scriveteci le vostre opinioni, verranno pubblicate sul numero successivo. Da quando nei primi anni '60, ai tempi dei Beatles, la cosidetta musica giovanile, per i gio• vani, come la volete chiamare, ha fatto ingresso prepotentemente sul mercato dei dischi, sconvolgendo e mutandolo profondamente, si è sempre legata questa musica, altre musiche da quella popolare al free jazz, ad un senso di liberazione, senso politico, di intervento sulla realtà per mutarla. Una volta si svisceravano testi e suoni dei gruppi rock inglesi o di quelli della West Coast, a ricercare qualche parola impegnata, politica. Si prendeva Dylan come profeta ideale di una generazione. Adesso, dopo quindici anni si comincia a definire lucidamente il fatto che il rock in ogni sua forma è sempre stato prima di tutto, anche se non esclusivamente, un grosso affare. Ci interessa prima di tutto il paese in cui viviamo; il passaggio da una economia agricola all'industrializzazione è stato cosl pieno di contraddizioni, intoppi, miserie, carenze di pianificazione, rapine su vasta scala a tutti i lavoratori che, oggi, 1975, nell'area dei paesi • sviluppati " capitalisticamente l'Italia è forse l'unico in cui è ancora possibile la correzione di questo sviluppo verso l'inte• resse delle masse popolari, Questo grazie alla forza dello schieramento operaio, della sinistra tutta. Il punto, allora, è uno: usare la musica per il progresso, per andare avanti. per contribuire a questo processo che, se non è rivoluzionario, come minimo, va avanti per migliori condizioni di vita di tutta la collettività. Ma la musica è poca cosa; di fronte, per esempio alla vertenza Leyland-lnnocenti. C'è qual• che cosa che la musica può fare, come strumento di lotta per far si che la British Leyland non metta sulla strada 1500 metalmeccanici milanesi? rana in Italia, che si vogliono porre a diretto servizio della classe operaia. E nessuno può avere ragioni per dirgli di non fare in questa o quella fabbri· ca occupata concerti di can• zoni politiche; un modo per aumentare la tensione emotiva della lotta e per contribuire economicamente a mantenere la lotta stessa. Ma in un'ottica più vasta cosa può fare la muslca per mutare i rapporti f.!:!_la gente, i rapporti fra chi detiene potere di informazione e detta modelli di comportamento, e chi subisce potere e modelli? Molto, certo, e penso sia la chiave di volta della possibilità di intervento. Oltre, ben oltre le rapine economiche, quello che lo sviluppo del capitalismo porta via a tutti, proletari e borghesi, è il contatto di ognuno con la propria esistenza e con quella degli altri. Tutto passa attraverso reificazioni, quantificazioni, svilimenti pratici quotidiani. L'uomo, la donna, non sanno più nulla perché nulla vivono come esperienza diretta, fisica, non mediata. Tutto passa attraverso grahdi modelli, sensi generali, regole, funzionali alla struttura di sfruttamento della società capitalista. Quello che la musica può portare è la rottura di questi schemi, filtri, giochi di prestigio operati dal sistema di informa• zione dello stato borghese. Giochi di prestigio perché quel· lo che è realmente stupefacente è il fatto che ci sia gente, tantissima, tutta in pratica, che di fatto accetta di lavorare una vita per poco più del pane; senza casa, senza nessuno spazio per sé. E ulteriore in· credibile gioco di prestigio, basato sul condizionamento del• l'informazione, è che una buona parte della popolazione dia fiducia, elettorale e quotidiana, ai suoi stessi boia. E la musica? La musica può essere, uno dei pochi mezzi di comunicazione non passato attraverso la logica, le parole, le vanificazioni verbali che giocano intorno alle cose senza mai toccarle per quello che sono. Può essere qualche cosa nella misura in cui NON usa nulla della sotto-logica borghese e occidentale del • tutto definito », • tutto chiaro e risolto • a priori. Può essere qualche cosa ogni volta che si pone come diversa dal pacchetto di emozioni già confezionate e risolte, carosello emotivo indifferentemente per massaie o intellettuali di sinistra, dove cambia• no le parole d'ordine, i cardini di identificazione (da piange il telefono alla morte di questo o quel compagno) ma il meccanismo, il finto scambio rimane lo stesso. Scardinare la logica borghese, il senso del già del• to e già fatto. Ogni volta. Senza •logica"· Ma■slmo VIiia Ho sedici anni, frequento la terza media. Scrivo da anonimo per non farmi criticare dai miei paesani che vanno pazzi per • Yuppi Du •, ecc. lo sono d'accordo con Battiato che un di· sco del genere andrebbe bene per i cani. Purtroppo al mio paese saremo una trentina a ragionare in questo modo, alla gente cretina e truffata non si può far capire che tipi come Battiato o Eno, per esempio, si rompono il c... a introdurre l'intelligenza nel· l'elettronica, e poi magari la gente ha anche la faccia di cri· ticarli. Il popolo di oggi preferisce andare nel passato e non nel futuro. Questo tipo di musica è un'espressione superintelligente, che non è cosa per l'800/o degli italiani, dilettanti. • Per fare della musica ci vuole almeno un po' di intelligenza... ». Ma ci vuole solo quella? Allora è stupido colui che non riesce a farne perché • non è entrato nel giro•? E se c'è l'intelligenza e mancano i mezzi? E se dentro si hanno le idee, e si ha la capacità di svilupparle meglio di quanto non facciano i Pooh, i Camaleonti, le Orme, i Sensation's Fix, ecc.? E se, tristissima condizione, ci si trova in una città in cui NON ESISTO· NO locali in cui suonare e fare i soldi per l'amplificazione? E dopo avuta l'amplificazione, dove andare? A Catanià, a Palermo ... A Roma... Ecco la meta, l'ideale, il sogno irrealizzabile, perché i treni costano, gli indirizzi mancano, e la scatola chiusa non fa fruttare l'industria discografica. Bisogna essere a Roma o poco di più, per essere P.F.M. oppure B.M.S. o... Sensation's Fix? È BELLO FARE MUSICA CON INTELLIGENZA, ma avere intel• ligenza vuol dire comprendere come è difficile (dopo aver tentato per anni) far ascoltare della musica a qualcuno ... Giorgio Carena, Enna. {V} È una ipotesi di lavoro su cui si muove una certa parte dei musicisti democratici che ope• --------------PIONEER

Contrappunti ai fatti IlteoremadiPasolini Sui quotidiani, sui settimanali, in televisione e chissà ancora dove, la morte di Pasolini è stata già analizzata, pianta, interpretata, detta in tutti i suoi risvolti. Un uomo, un poeta, un regista, un coerente intellettuale. O magari avversario degnissimo, polemista paradossale, reazionario di fatto. Non è certo la morte, lo sappiamo, appianatrice, ma non ci sembra neanche che la morte di Pasolini, proprio ora che le sue risposte, nel bene o nel male, le ha già date, possa di nuovo servire a riaccendere le polemiche sulla televisione e la scuola dell'obbligo, l'aborto o la delinquenza di massa e senza classe che egli ha ultimamente teorizzato. Molti hanno ricordato che pochissimi giorni fa in un articolo sul Corriere, Pasolini negava una matrice di classe al delitto del Circeo, attribuendo la violenza alla perdita dei valori della società « consumistica », allo smarrimento di ogni possibile analisi delle classi in un generico « ambiente criminaloide di massa » di cui i giovani sarebbero la punta emergente. E molto si sono stupiti di questo parallelo fra l'analisi della violenza giovanile e le condizioni della morte dello scrittore. L'assassino: un giovane sottoproletario, tipico « protagonista » dei libri e dei film di Pasolini, tipico esponente del sottoproletariato romano. Il luogo squallido: fra le baracche e i grattacieli di quell'Ostia in cui si infrange tutto il bisogno di consumare vacanze della popolazione essenzialmente sottoproletaria di Roma. Un delitto, dunque, la cui sceneggiatura Pasolini non avrebbe potuto scrivere più degnamente. Persino il particolare dell'anello d'oro, ultima prova a carico del giovane assassino, sembra essere uscito dalla sua fantasia. Una dimostrazione in più di quale attenzione Pasolini mettesse nelle sue descrizioni d'ambiente romano. E di quale amore. Ma, appunto, negli ultimi tempi il primitivo amore per la Roma sottoproletaria di « Ragazzi di vita » o di « Accattone » si era trasformato in odio. Odio per i giovani, odio per un mondo che non gli corrispondeva più, per un sottoproletariato mutato « imbastardito » rispetto at'. l'ingenua apparenza che Pasolini ne aveva, con molta poesia e poca acutezza politica, colto. Un sottoproletariato che egli vedeva, giustamente, ormai impestato dalla amoralità della borghesia (l'immoralità è un'altra cosa) ma a cui proponeva soluzioni false e impossibili: la regressione, il ritorno a una mitica purezza che non esiste e non è mai esistita come dato storico. E cosl la violenza inumana, di cui il diciassettenne assassino è egli 9 stesso vittima, imposta dalla borghesia a chi non ha né valori, né coscienza, né ruoli, né corpo. La violenza, l'amoralità, la perdita di umanità e di « pietà » ( per usare un termine caro a Pasolini) non sono un portato oggettivo del « progresso », ma un dato segnato dalla classe che questo progresso gestisce in nome del profitto e dello sfruttamento. Le « scoperte >> e le « intuizioni» che molti (nuovi amici postumi, intellettuali gestori della crisi dell'ideologia borghese su cui fingono lacrime, vedove inconsolabili della cultura, prefiche dell'ultim'ora) attribuiscono a Pasolini sono scoperte e intuizioni solo per chi con la realtà di classe in Italia non ha mai voluto fare i conti. Non c'è nulla di eclatante nella considerazione che i senza-storia non hanno neanche una cultura propria ma mutuano, per imposizione, quella della classe dominante. E il cambiamento, la degenerazione presunta della « cultura » sottoproletaria non è nel passaggio dalla purezza al colonialismo consumistico, ma parallelo all'evoluzione della cultura borghese: dalla falsa morale deagli anni '50 ( funzionale alla ricostruzione capitalistica nell'Italia post-bellica) alla moralità di oggi. Quella amoralità che, gestita in prima persona dalla borghesia prepotente e fascista, significa Rosaria Lopez e l'orrore e l'ignominia di quel crimine; trasportata al sotto-proletariato significa Pasolini e lo sgomento di fronte alla morte violenta e, contemporaneamente, di fronte a un « assassino » doppiamente vittima: prima storicamente privato di tutto ( compreso il corpo), poi costretto a farsi strumento di una violenza, non casuale, che nasce altrove. Giaime Pintor Pier Paolo Pasolini

Feste EvvivafUnità... nelladiversità Circuiti alternativi e politici hanno ormai sostituito, in Italia, i concerti menageriali: non si paga il biglietto, si sta tutti insieme, si ascolta e si parla di lotta di classe. Stanno cambiando anche i festival dell'Unità. Benché i tempi in cui andare ad un concerto pop significava prepararsi ad una battaglia, che culturale era solo di riflesso, vissuta al livello del duro scontro fisico siano ormai lontani, gli orgaizzatori privati hanno de-

finitivamente lasciato da parte le pur lucrosissime aggregazioni di massa, e continuano ad operare, ma dissociati da quella loro immagine pubblica che stava diventando leggendaria, emblematica, come se i giovani musicofili avessero finalmente trovato i loro veri nemici con tanto di nome, cognome e faccia da riconoscere e da combattere. Zard e Mamone, che hanno osato speculare sulla libertà acquistano una faccia più cattiva di chi quotidianamente specula sul lavoro operaio. ·« La beffa di Santa Monica» e « La strage di Lou Reed » sono tra le tappe di questa marcia musicale anticapitalistica. Alla fine sembra perdere il grande circuito speculativo e il totale appannaggio della musica « giovanile » rimane, come una patata bollente di enormi proporzioni, in mano ai circuiti politici, tra i quali spicca, per gigantismo politico-organizzativo, quello del Partito Comunista. E come ha raccolto questa difficile eredità il PCI? Quale è stato il riflesso di questa nuova situazione nell'immenso circuito delle feste de l'Unità e delle altre manifestazioni legate al PCI? Alterno, disunito, in fin dei conti problematico, con gli scrupoli, le prudenze e anche con le lacune che il Partito Comunista ha sempre dimostrato di possedere come caratteristica endemica nel complesso della sua politica culturale dal dopoguerra ad oggi. Oggi, la direzione del Partito appare profondamente divisa tra due linee di tendenza: quella di raccogliere e continuare le pressioni che da più parti hanno spinto affinché il PCI diventi la forza egemone di un rinnovamento progressista nella cultura ( ..e vengono tristemente alla memoria tutte le occasioni mancate in questi ultimi trenta anni, bruciate da dispute sull'ortodossia e la libertà dell'artista) e quella contraria, che tende a svalutare e minimizzare la portata politica degli incontri culturali basati sulla musica. Malessere che è espresso chiaramente dalla FGCI romana che ha organizzato a Roma un festival (quello del Pincio) in cui, con tutte le riserve possibili, in pieno travaglio da reclute della cultura, è stato tentato un abbozzo di discorso organico. « Con il festival del Pincio abbiamo tentato di formulare una proposta, che fosse riflessione e insieme indicazione rispetto a quanto si è agitato e si agita all'interno delle nuove generazioni », dice Gianni Borgna, segretario provinciale della Fgci romana « generalmente gli stessi « Festival de l'Unità » non si pongono questo problema, e risultano molto spesso momenti di incontro e di intervento molto importanti, ma disorganici, strutture riempite in modo più o meno casuale. E non basta più neppure la cosid- • detta politica di qualità, il proporre nomi e spettacoli di prima grandezza, al posto dei vecchi festival molto simili alla sagra paesana ». E' questa l'ambiguità, la spaccatura che ora pesa al Partito e che dovrà essere risolta per la continuazione del discorso. La dimensione paesana, che è la matrice originaria delle feste de l'Unità, non è assolutamente più sufficiente, tanto più che oggi nessuno, e in particolar modo i giovani, si accontenta di musica tout court, senza attributi di carattere politico o di intelligenza creativa. « La questione fondamentale è comprendere che le grandi masse, in particolare giovani, sentono di stare assieme, e che questo bisogno si esprime in forme direttamente politiche », aggiunge Borgna « Le grandi aggregazioni che si realizzano oggi intorno alla musica sono momenti di espressione della aspirazione ad una società e ad una vita diverse: del resto, dal momento 11 che noi diciamo che l'attuale crisi del capitalismo è crisi politica, economica, ma anche morale, implicitamente diciamo che oggi la politica si intreccia indissolubilmente con la vita, con i nuovi valori da costruire, con i modelli di comportamento e di rapporto interpersonale che è necessario indicare. Questo significa, in particolare nel momento di approccio con le nuove generazioni, superare ogni schema tradizionale e « liturgico » di intervento politico e, nello stesso tempo, prospettare precise linee di scelta e di tendenza ». Responsabilità tanto più grande se si pensa all'enormità del circuito del PCI. Quest'anno migliaia di festival si sono svolti in tutta Italia, in ogni paese e città, da quelli più piccoli di quartit:- ri a quelli cittadini fino ~I gigantesco nazionale di Firenze, con una partecipazione di pubblico quantitativamente incalcolabile. Responsabilità, quindi, verso un pubblico sempre più assetato di risposte culturali, verso i musicisti, molti dei quali quasi interamente gestiti dal PCI, e infine verso la situazione politica, nei confronti della quale la musica si sta sempre più chiarificando come strumento di lotta o comunque di emancipazione: A questa domanda manca una risposta organica e coerente. Per questo, e anche per effetto del decentramento organizzativo delle strutture del PCI, la proposta culturale dei festival si è risolta in un gigantesco calderone, ricco di squarci interessantissimi, ma disunito e informale nelle linee generali; e soprattutto si è sentita la mancanza di un ripensamento sulla nuova situazione, sui nuovi rapporti che la realtà impone. Quest'anno si è visto di tutto, dai Locomotive Kreutzberg agli Henry Cow, da Archie Shepp a Don Cherry fino a Raffaella Carrà e Gianni Morandi, oltre i soliti Dalla e Venditti: rifiuto di scelte coraggiose o volontaria e consa• ...

pevole tolleranza? Come al solito la risposta non è una sola. La conflittualità è tra l'autonomia delle federazioni locali nelle scelte artistiche e il grosso onere manageriale svolto verticisticamente dal Partito attraverso l'associazione «Amici de l'Unità», emanazione della sezione « Stampa e propaganda ». Ed è per l'appunto dagli « Amici de l'Unità », che è partito un interessante espe• rimento che in un certo senso è nato in opposizione alla linea generale del decentramento organizzativo: quello del festival di Salci, minuscolo paesino umbro in cui da Roma, nella totale assenza di strutture locali, è stata organizzata e gestita una manifestazione a carattere musicale e teatrale durata due giorni, allo scopo di creare uno stimolante rapporto, partendo praticamente da zero, tra i pochissimi abitanti del luogo e i compagni dei dintorni, accorsi con entusiasmo e partecipazione. Il festival nazionale di quest'anno ha clamorosamente evidenziato pregi e contraddizioni interne al circuito dei festival del PCI. Ha mostrato da un lato la imponente capacità di mobilitazione del Partito e, allo stesso tempo, ne ha denunciato i pericoli di gigantismo: « La dimensione mastodontica del Nazionale di questo anno richiede un ripensamento organizzativo: una manifestazione di quella portata rischia di diventare una realtà difficilmente controllabile. Pone, per esempio, dei gravi problemi di territorialità, cioè di rapporti con la gente e i luoghi in cui si svolge il festival », dice Riccardo Donnini, segretario dell'Arei di Firenze. Una frattura è stata notata anche nel settore culturale. In quest'ultima edizione, la dimensione fortemente legata alla sagra paesana e l'apertura culturale, sono coesistiti: senza trovare un punto di fusione. Abbiamo lottato per una forma complessiva di proposta che ha avv1cmato musica classica, jazz, canzone politica ecc. ... cercando la massima apertura dei generi espressivi: una rassegna dell'esistente con criteri selettivi molto ampi e generali. Ma questa ampiezza selettiva non significa mancanza di scelte. E' risultato evidente lo spazio egemone che è stato dato alle nuove generazioni e quindi al « nuovo » che ha decisa~en~~ emar~inato gli aspetti pm tradizionalisti della cultura » ha detto Donnini. Molti sono i dati emersi: la conferma della dimensione diffusamente popolare che si sta creando intorno al jazz, per esempio, e più in generale, la constatazione di una domanda perfettamente rispondente all'offerta. Anzi, su un dato gli organizzatori sono stati concordi: « Più veniva offerto, più ci veniva chiesto ». G.C. Cultura intrn istr Ilteatro?Unmisterobuffo « Si crede che » il teatro sia recita;:ione, ma non è vero - ci dice Dario Fo uomo di teatro e uomo di sinistra - teatro è rappresentazione. Qui sta la differenza fra il teatro popolare e quello borghese: uno è epico, cioè racconta, l'altro è naturalistico, cioè l'attore esegue e lo spettatore viene relegato nel ruolo di voyer. Alcuni dicono che basta scrivere in stampatello su un pezzo di cartone « poliziotto », appenderselo al collo e farsi vedere dalla gente. Altri sono convinti che ci vuole la musica, la luce soffusa, il sipario, il palcoscenico, la voce impostata, le poltrone di velluto e la magia. Altri ancora sono convinti che l'avvento dei mass media, capillari come penetrazione e osDarlo Fo sessivi come metodo, l'abbiano definitivamente soppiantato e che sopravviva soltanto come status simbol, privilegio inutile, vetrina sciocca per signore eleganti e finti intellettuali. Ma che cos'è il teatro? Arte, prodotto culturale, spettacolo, rito o insopprimibile bisogno di comunicazione e coinvolgimento, necessità organica alla natura umana e al suo essere

sociale? Muzak l'ha chiesto a Dario Fo, uomo di teatro e uomo di sinistra, anzi uomo di sinistra che ha sempre usato il teatro per sensibilizzare il pubblico alla politica e alla storia: dai fatti di cronaca ( Morte di un anarchicodefenestrato, ad esempio), a momenti specifici di lotta politica (pensiamo a Non si paga, non si paga, sull'autoriduzione e contro l'aumento dei prezzi), alla cultura popolare ( Mistero buffo). Muzak: il Teatro, tutte le altre forme della cultura borghese ritenute sacre e indiscutibili, è stato criticato, stravolto e ridefinito, prima in America e poi, nel '68, anche in Italia, dagli studenti e dai giovani rivoluzionari, in quel fervore di comprensione e di conquista che ha accompagnato le prime lotte di massa, come un principio di rivoluzione culturale. I suoi luoghi sono stati violati, le sue complicate regole ridotte a scarne indicazioni, i copioni ridotti a volantini. E' stato perfino trasferito nelle strade. La sperimentazione ha cancellato il « birignao », sostituito i costumi con i bluejeans ... Ci sono state ·cose brutte e cose belle. Soprattutto cose brutte perché la gente ha perso la paura e ha tirato giù il teatro dall'empireo dell'arte per il più concreto cielo degli strumenti. Ma qualcuno ha detto che quello non era più teatro. E' possibile definire che cosa è teatro e che cosa non lo è? Dario Fo: Teatro è il bambino che rifà il grande. E' il rito disinibitore di spogliarsi e fare il bagno con il fratellino. Teatro era mio nonno che andava alla domenica con il cavallo e il carrettino a vendere in paese verdura e fiori: urlava, lanciava delle provocazioni, sapeva tutto di tutti e raccontava a ciascuno i fatti del suo -vicino. Tutti si affacciavano a farsi la risata. Era teatro quando ci si riuniva in stalla d'inverno e c'era sempre uno che raccontava, e uno o due che suonavano. Si crede che il teatro sia recitazione, ma non è vero: teatro è rappresentazione. Qui sta la grande differenza fra il teatro popolare e quello borghese: uno è epico, cioè racconta, l'altro è naturalistico, cioè l'attore esegue, non indica un personaggio, ma fa finta di essere un altro e lo spettatore viene relegato nel ruolo di vojeur. E' come se venisse su un vetro nero, davanti alla scena, una quarta parete, a cui il pubblico si affaccia, separato e acritico, pronto a identificarsi, a piangere, a commuoversi, ma non a pensare. Muzak: Ma allora avevano ragione quelli che hanno strappato al teatro la « magia », l'hanno chiamata truffa, roba per distrarre il popolo dai suoi bisogni reali e per divertire con qualche emozione la borghesia annoiata. Hanno fatto bene a scen13 dere in piazza, con quattro cartelli e una scacciacani, per rappresentare la polizia che uccide uno studente, per esempio, o la guerra nel Vietnam.. Dario Fo. Certo. Però hanno creato confusione e non perché hanno fatto quello che hanno fatto, ma perché hanno detto che esisteva solo quello, che era l'unico teatro, che tutto il resto, tutti gli altri modi erano palle. Negli anni cinquanta, noi abbiamo inventato tante cose: avevamo addosso tute nere, ci scambiavano i ruoli continuamente perché il pubblico non potesse identificarsi, abbiamo inventato il rigore, abbiamo buttato a mare il capocomico.. ma non ci siamo messi a teorizzare che il nostro modo di fare teatro era una verità definitiva. Muzak. Ma perché tanta voglia di fare teatro? Viene quasi per tutti un giorno in cui si pensa di fare l'attore. Dario Fo. Già, soprattutto quando si è ragazzi: è la voglia di fare il grande, di inventare la vita ... Muzak. Infatti l'adolescenza è caratterizzata proprio da questo: sono finiti i giochi, ricchezza dei bambini, e ancora non è incominciata la vita-vita, quella degli adulti, che si immagina piena di eventi. E' una situazione di attesa, sembra che non succeda niente, e allora fingersi diversi è uno sbocco all'insoddisfazione, al senso di incompletezza dei sedici anni. Dario Fo. Si fa teatro anche per darsi coraggio: una volta alle fiere gli imbonitori ripetevano mille volte da soli i gesti che poi avrebbero rifatto e questo gli dava sicurezza. Poi si fa teatro per esorcizzar~ qualcosa che abbiamo addosso, qualche paura. Per mettere in mutande il potere: nel teatro i rapporti rovesciano. Si fa teatro per vendicarsi, per ridicolizzare il re. Muzak. Morirà il teatro? In una società atomizzata come la nostra, in cui il popolo, espropriato della sua cultura e della sua tradizione, è diventato massa telecondizionata? Dario Fo. Il teatro è una forma che non può cadere perché è legata al fatto di parlare e di gestire. Ma l'alienazione ormai è drammatica: l'operaio non ha più il suo teatro, il caffè. Il supermercato ha sostituito con un muto dialogo fra la massaia e le scatolette, la società del negozietto. Sono finite le corti ... Il teatro era l'unica forma di cultura_non borghese: la borghesia non ha inventato una sola forma teatrale, è tutta roba rubata. La « vaudeville », la commediola licenziosa, prende il nome da un personaggio del teatro popolare, il« vitello di città »... poi si è trasformata in quella sorta di storia sporcacciona per gente per bene ... Adesso invece di derubare al popolo il suo teatro e stravolgerlo alla classe dominante non in- ➔

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