fronte. Le migliaia di persone ammasate in baracche prive di ogni servizio igienico, spesso tra fogne scoperte, sotto il sole di piombo, vivono una tragedia di privazioni e di insicurezza e di morte come qualcosa di quotidiano, di tremendamente normale. Le incursioni aeree e marine, gli attacchi dei fascisti, fanno parte di una eventualità che si può verificare ogni giorno, momento dopo momento. Eppure a tutto questo si reagisce, ci si organizza. E sono i giovani a farlo con più partecipazione, con più impegno. Tra di loro, sono tanti quelli che ent:ano nell'organizzazione militare dell'Olp, ma i più sono quelli che affiancano alla loro vita quotidiana il lavoro ( faticoso e mal pagato) indispensabile per contribuire al sostentamento delle famiglie, un'attività serale di « milizia », per la difesa dei campi, per il proprio addestramento militare, per il proprio addestramento politico, e per travasare questa loro prativa nell'esperienza di tutti, tra la gente del campo. Anche le ragazze partecipano a questa attività: sanno sparare, e alcune mi mostrano orgogliore con quale rapidità smontano e rimontano una mitraglia o un fucile; si occupano dei lavori di infermeria, studiano, dibattono, organizzano, le donne in centri di lavoro artigianale. Laila, una compagna di Beirut, mi racconta che il marito è morto in combattimento, qualche mese fa, e che dopo un periodo di sconforto e di solitudine, si è buttata nella lotta perché ha capito che questa è l'unica strada giusta anche per le donne. Mi mostra la sua pistola infilata nella gonna, dietro la vita: « quando c'è stato l'attacco dei fascisti, ho fatto 24 ore su 24 di guardia, ad accogliere e curare i feriti insieme ad altre donne ». A Beiut c'è un ospedale palestinese, ma nei momenti della battaglia bisogna lavorare soprattutto nei pronti soccorsi dei campi, in uno dei quali ho conosciuto un giovane medico italiano, volontario per qualche mese, alle prese in un momento di calma con un massiccio libro di grammatica araba. Continua Laila: « sento che combattendo sono vicina a mio marito; solo, vorrei morire in Palestina e non qui ». Morire in Palestina. E' quello che sperano i vecchi: « nel '46 avevo quindici anni, e guardavo gli ebrei che arrivavano dal mare, stracciati, poverissimi, che aspettavano gli inglesi con sandwich ... si sono presi la mia terra con le armi degli inglesi, e io devo starmene qui, in una baracca, mentre quelli sono diventati i padroni; in Libano siamo considerati ospiti sgraditi, ci viviamo male, ma soprattutto non ci vogliamo vivere, vogliamo tornare a casa nostra, perché è un nostro diritto ». E aggiunge: « cos'è la guerra Io sappiamo meglio di tutti, ed è per questo che noi vogliamo la pace, ma una pace seria, uno stato palestinese dove ci possiamo stare, come succedeva prima, mussulmani e cristiani e ebrei, ma non i sionisti ... ». La terra lontana è il sogno di tutti, il pensiero costante, anche e soprattutto dei giovani che non ci sono nati. Una ragazza di 14 anni, in un centro di lavorazione artigianale, mi dice che la sorella maggiore è nata lungo la strada dell'esilio, che i suoi fratelli sono tutti combattenti, che lei si considera combattente come loro. Alla domanda se sposerebbe un giovane non palestinese, un libanese o un cristiano, risponde senza esitare: « certamente, ma a patto che sia un compagno, e che rispetti i miei diritti e le mie convinzioni ». I giovani che nel campo di addestramento militare attiguo ad un campo interrompono le loro esercitazioni per parlare con il visitatore straniero, insistono tutti su questo punto: terra è un nostro diritto, lotteremo finché non ce la riconosceranno, finché non ci saremo riconquistati la nostra terra. E in tutti, dico in tutti, è insistente questa convinzione: « poiché siamo dalla parte della ragione, siamo noi che finiremo per vincere». Uno dei ragazzi che mi circondano, in una divisa scombinata e parziale, non può parlare perché è ferito alla gola. Gli altri mi raccontano la sua storia. Durante gli scontri coi fascisti, ai primi di luglio, avevano fatto dei prigionieri. Un giovane fa. scista era stato portato nel campo militare e interrogato, e poi rilasciato. Nel suo periodo di detenzione durato due o tre ore, poteva girare per una zona del campo. Ha cosi visto dove erano sistemati dei cannoni e, una volta rilasciato, sulla base della sua giovane età e di una sorta di simpatia che era riuscito a conquistarsi tra Centri di addestramento per I guer• rlglierl palestinesi i suoi « carcenen », dev'esser corso dai suoi compari e aver fatto una pianta del campo con il luogo dei cannoni, perché poco dopo un bombardamento intensivo su quel punto li ha centrati e distrutti. E Il è stato ferito alla gola il giovane che è con noi, assieme alla sua ragazza, che era accanto a lui e che è stata colpita allo stomaco da schegge. « Un fa. scista resta sempre un fascista », commenta un altro giovane. Colpisce la forza morale, più ancora che quella militare, in questi giovani soldati volontari, la loro tensione verso un fine comune, la loro dedizione e il loro coraggio. E anche la loro semplicità, il· loro rifiuto di qualsiasi retorica. E angoscia questo pensiero: quanti, di quelli che in quei momenti di calma e di distensione ho conosciuto alla fine di luglio, hanno perso la vita negli ultimi sanguinosi scontri di questi giorni? Goffredo Fo/i
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