Autocoscienza Specchiodelle miebrame E' la terza vòlta che tento di vedermi il profilo allo specchio. L'orologio non si muove che con una lentezza esasperante forse non dovevo truccarmi così presto, mi verrà il naso lucido; cipria sudara, un colorito da mummia. \vrei dovuto continuare a studiare, o leggere il giornale o che ne so, farmi i fatti m1e1... impossibile, quando è sabato e c'è il sabato sera, l'appuntamento, la vita si ferma). E' un crescendo di agitazione, i primi sguardi falsamente distratti all'orologio r1salgono alle due di pomeriggio. Sono le otto e quarantadue, lui sarà qui alle nove. Finché ci sono i grandi preparativi va tutto bene: lavarsi i capelli richiede sempre una concentrazione di pomate e massaggi, una tensione verso i risultati finali (mi verrà il riflesso rosso?) che lascia poco spazio al nervosismo. E' una vigilia di fervente attività, tutto il cervello è teso alla preparazione del corpo per l'olocausto serale. La doccia, la lacca alle unghie, stirare la camicetta, lucidare le scarpe, due prove di sorriso allo specchio per vedere di nascondere un incisivo imperfetto. Poi la scelta dei pantaloni e due minuti in apnea distesa sul letto nel tentativo di allacciarli. E adesso è finita, anche l'ultimo ritocco, il perfezionismo, la sistemazione di un ricciolo. Gli ultimi venti minuti sono i più lunghi: hai paura di sgualcirti a muovere un passo, la fine degli sforzi per agghindarti ti lascia un po' svuotata, totalmente passiva, a tendere l'orecchio a tutti i passi per le scale, a indovinare il ronzio dell'ascensore a temere improvvisi contrattempi che vanificherebbero tutta la fervente attività di restauro della giornata, a pensare con un brivido l'umiliazione di un ritardo o, peggio, il disastro di un bidone. E' la quintessenza dell'attesa. Aspetti una persona, aspetti un giudizio, aspetti un complimento, aspetti uno squillo, aspetti di essere presa, aspetti uno sguardo che ti restituisca alla vita, perché è tutto il giorno che ti maneggi come una forchetta d'argento da lustrare per far effetto sugli invitati. Il cuore riproduce l'attesa dentro di te con tonfi aritmici. Il sangue ribolle nervoso e hai caldo e hai freddo alle mani e comunque non c'è un solo golfino adatto alla camicia in tutto l'armadio, quindi, ti concentri sulla sensazione di calore e se hai freddo te lo tieni. E finalmente arriva. Mi precipito verso il citofono scaricando l'attesa di un giorno in una corsa furiosa, ma con la mano protesa al microfono mi fermo, come impietrita: non posso fare la figura di quella che stava aspettando e risponde subito e magari scende le scale di corsa e arriva scodinzolando tirata a lucido come un barboncino da fiera ... Mi impongo un intero minuto di supplizio e poi strascico un « siii? » ingenua imitazione dell'indifferenza. Senza fermarmi a controllare l'effetro mi blocco davanti allo specchio del bagno dove constato con un certo orrore i danni apportati dall'agitazione alla consistenza del mio maquillage: sono appiccicosa come un pupazzo lustro e infarinato. Troppo tardi ( rimedio al peggio con un Kleenex). Scendendo mi ripeto un paio di battute spiritose adatte a parare senza raggiungere i vertici dell'imbarazzo, eventuali giudizi sul mio aspetto: positivi o negativi che siano, mi provocano sempre uno smarrimento mortale, come di una colta in flagrante peccato di vanità (o la bellezza contiene tutta l'indifferenza dei doni di natura _o è umiliazione di una mascherata, testimonianza di obbiettivi arretrati: essere belle invece di essere buona o intelligente o giusta o ricca, tutti obbiettivi santificati dal mondo maschile). Mario è appoggiato al portone, fuma una sigaretta, ha la stessa camicia che aveva sabato scorso e i capelli arruffati di nodi. Mi sento un po' stupida e non mi viene in mente niente da dire, lui, al contrario, parla continuamente, dopo avermi depositato sui capelli un bacio che è un capolavoro di distrazione e aver detto, tirando su col naso rumorosamente, « hai addosso un buon odore. Che cos'è cadonette? », come unico commento a tutti i miei sforzi. Lidia Ravera
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