Muzak - anno III - n.06 - ottobre 1975

te dalla frase country per giungere al gong della vibrazione spirituale, poi da capo da corde limpide divenute sitar ed Oriente sino allo spazio ed alla libertà. Gran parte della sua musica può apparire priva di schemi, disinibita ma è in lei la costante ricerca della perfezione, dell'Assoluto. Radici ve ne sono: Towner ha molti punti di contatto con le menti della Takoma, etichetta alternativa americana che raccoglie il meglio del country sconvolto ed etereo, nomi quali John Fahey, Robbie Basho, Leo Kottke, Billy Faier sepolti oltre l'armonia tradizionale e ad un passo dalla gioia pura. Una luce d'inverno Lo sviluppo completo s1 e avuto in Oregon: tre episodi discografici ( due pubblicati in Italia) del quale preferiamo il secondo, maggiormente comprensibile, più godibile. Oregon è una formazione elettroacustica, tra le prime in America. Non poche le assonanze stilistiche con una famosa formazione dell'avanguardia anglosassone, Third Ear Band: un suono radicale, lanciato verso le radici della terra, del folklore magico, del realismo fantastico fatto percussioni e danze antiche, questo il carattere della banda del terzo orecchio. Misticismo ed una ricerca timbrica più rarefatta portano Oregon verso direzioni meno allucinanti, ma è indubbia la vicinanza stilistica tra i due gruppi. Basti prendere il secondo album, « Oregon » e raffrontarlo alle opere « concept » della TEB per coglierne i contatti ed i respiri unitari, le magie un po' matte e la forza libertaria che li muove; in « Oregon » l'impatto è piuttosto duro, solamente « Aurora », introduzione irreale e metafisica, aiuta a capire la formazione, organico prevalentemente acustico: Ralph Towner, piano, dodici corde, tromba, Collin Walcott, tabla, Paul McCandless, oboe, Glen Moore, violino, flauto, contrabasso, basso elettrico. « Dark Spirit », che verrà ripresa dal leader nel suo « Diary » porta la ricerca verso alchimie bellissime, che annunciano la seconda opera e vanno prese come propedeutiche, malgrado la non poca freddezza comunicativa. « Winter Light » supera di un balzo queste spigolosità e porta Oregon sulla via della musica liberata, frammenti di dolcezza, viaggi imperdibili, « Tide Pool » e « Ghost Beads » per poi concretizzarsi ancora più compiutamente in una seconda parte perfettamente delineata in musica semplice, bucolica, ricca di spiritualità ed incanti, finalmente dispiegata in tinte azzurre, rosse, muschio ed erba. « Fond Libré » è davvero un capolavoro di elettroacustica poetica e distesa, bellezza che svanisce in « Rainmaker » e « Margueritte » ... Towner protagonista, al sitar, ai fiati, alle tastiere, Walcott percussionista di eccezione segue la scena inventando sui timbri di getto, l'organico è definito, la ricerca perfettamente maturata. Si era partiti dal Weather Report per ritornarvi silenziosamente, « Street Dance » qualche minuto ancora di magia nella dimensione free di un suono che respira jazz ed avanguardia e country con la facoltà delle cose semplici e naturali. Per questo, forse, oggi straordinarie. Maurizio Baiata 42 Dischi Pink Floyd Whish You Were Heve Harvest 3C064-96918 Sono passati tre anni dall'uscita di Dark Side Of The Moon, tre anni che hanno visto assurgere ad una certa notorietà musicisti orientati nella ricerca dell'effetto cosmico. In questo lasso di tempo altri artisti ci hanno dato creazioni come Phaedra (i Tangerine Dream), Aqua (Edgar Froese), fino ad arrivare al più recente e commercialotto Autobhan (i Kraftwerk), tutte opere interessanti ma senza l'equilibrio e l'unità che ha sempre contraddistinto i momenti più alti della musica dei Pink Floyd. A riguardarlo a distanza di tempo Dark Side è un disco con molte concessioni all'effetto, realizzato per impressionare ma resta pur sempre un album di grande peso nella discografia psichedelica. Pensando proprio a Dark Side abbiamo atteso con una certa trepidazione questo Whish You Were Here e ora che è nelle nostre mani gli stiamo concedendo un trattamento di favore. In genere un disco si ascolta un paio di volte e poi si ripone a lasciar maturare naturalmente la prima impressione che si è avuta. In questo caso il processo di maturazione del parere è accelerato dalla curiosità di chi ha percorso molta strada insieme agli autori nel passato e non può aspettare per sapere verso quali nuovi luoghi sconosciuti queste nuove piste lo potranno condurre. Il disco è dedicato a Syd Barret, martire della sperimentazione lisergica, che diventa nell'elaborazione poetica di Waters il 'diamante pazzo che troppo presto ha toccato il segreto'. Subito dal preludio a Crazy Diamond (il brano appunto dedicato a Barrett) ci si rende conto che dall'esercizio della psichedelica di tanti anni è rimasta a Waters e agli altri la capacità di creare atmosfere, liriche dal significato ambiguo che lascino tutte le possibilità all'imaginazione dei più ingenui e si applichino anche perfettamente alle esigenze di coloro che nei Floyd amano l'effetto e la maestria nell'incidere e missare i propri dischi. Abbiamo l'impressione che la band sia in ogni istante di questo album conscia di quale vatissimo pubblico la loro opera andrà ad interessare e si barcamena in maniera tale da non deludere nessuno. Quello che nei versi di Cymbaline era l'ingenuità di una curiosità quasi infantile ad osservare il mondo circostante qui diventa poesia fredda e artificiale, cinica (come nelle efficaci Welcome To The Machine e Have A Cigar) e comunque non più collegata a un preciso momento dell'esperienza giovanile. Non meravigliatevi dunque se l'introduzione di Crazy Diamond riecheggia il De Guello di Nelson Reedle dal film La battaglia li Alamo l'evoluzione del gusto cinematografico di Pink Floyd porta in grembo insieme alle atmosfere più riuscite anche questi passi piacevoli e romantici ma sottilmente scontati. D. M. Grateful Dead: Blues for Allah (Grateful Dead Records) on sono più tempi di piena rivolta sulla West Coast, questo si sa. Grateful Dead, fra i primi e più coraggiosi innovatori del '65, ha perso molto della sua coerenza e le idee migliori di questi ultimi tre anni le ha svolte nei rimissaggi di Anthem of the Sun e Aoxomoxoa. Capolavori stesi in origine fra il '67 ed il '69. Jerry Garcia, chitarrista leader del gruppo, prepara nel '71 il « solo» Garcia e l'ex percussionista Micky Hart raccoglie Rollin' Thunder. Muore Pig Pen, figura di primissimo piano nell'economia e nell'equilibrio delle parti. Seguono i tempi duri: Pig Pen s'è visto sacrificato, messo in disparte, sostituito da una coppia che sarà la rovina del Dead: Keith & Donna Godcheaux, di professione « mestieranti del rock». Garcia non pare il lucido folle di prima, ma pazzo o furbo. Lascia che la coppia rimanga da quelle parti, poi si dirige al nefasto Wake of the Flood. Ed il peggior album Dead sarà anche il più venduto. From the Mars Hotel entra nelle classifiche e guadagna il disco d'oro, con una distribuzione indipendente che nasconde non pochi dubbi. Viene alla mente un altro nome, Jefferson Starship. Stessi dischi (Dragonfly, Red Octopus), stessa fine. Contrabbandati per buoni, piacciono come può esaltare l'ultimo disco dei Carpenters. Grateful Dead ha serbato più senno. Prendiamo ad esempio l'opera solista di Phil Lesh (Seastones), o questo Blues for Allah. Se una è decisamente pura e non comromessa, l'altra perde a tratti la lucidità, solo ed almeno quando il piano di Keith si fa fa sentire e la voce di Donna entra con i toni di una session giri cockeriana. « Qualcuno giunge a dissipare il passato / altri si fanno avanti di giorno in giorno / ovunque si

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