Le piogge ricominciano e ricomincia la scuola. Pioggia d'acqua, dunque, e pioggia di noia, di stupidità, di riforme fatte a metà, di interrogazioni (parlamentari, s'intende), di libri inutili, qua e là anche di voti, certamente di ricatti, di propositi reazionari e, naturalmente, pioggia negli edifici scolastici, pochi vecchi e ormai inutili alla faccia della recessione e del rilancio dell'edilizia pubblica. Ma pioggia, c'è da credere, anche di battaglie che vedono quest'anno il movimento presentarsi già agguerrito e con molte idee e particolarmente chiare. La scuola, lo è da anni, è ormai una palestra politica, è cioè restituita in qualche modo (e per richiesta e lotta di massa) alla sua funzione di formazione civile. Ma riprende la sua led ta funzione ad onta dei professori, dei programmi, delle riforme, della « cultura » così come viene generalmente intesa. Ma lo è interamente? Dato per scontato che da anni ormai la scuola non serve più come momento selettivo, come preparazione di tecnici, come ricambio della classe dirigente borghese, ha forse in pieno ripreso la scuola cosi com'è la sua funzione di crescita poli tica, di formazione di quadri, di intelligenze non meccanicamente selezionate sul sapere ma cresciute nel loro complesso sull'agire con consapevolezza? Certo, da un lato la scuola, per sua struttura, permette un ricambio notevole, una mobilità continua. D'altro lato l'imEsenonserveanessuno celaprendiamno i potenza (non del tutto da sconfitti beninteso) degli organi istituzionali consente veramente alla scuola di divenire una palestra di democra: zia reale, di lotta politica, di crescita civile, senza intralci burocratici, senza una repressione particolarmente palese (ma c'è, c'è ancora, ed . è naturale). Ma rimane sempre il dubbio che questa « scuola cosi com'è » non sia del tutto disfunzionale a questa « società cosi com'è ». E infatti la selezione c'è ancora, ma è meno visibile perché è rimandata a dopo: a quando una schiera di giovaManifestazione degli stuaenu aavan~ ti alle Flat contro la disoccupazione. ni verrà gettata in università senza nessuna capacità formativa o sul mercato del lavoro a rafforzare considerevolmente la già altissima schiera dei disoccupati. E' chiaro allora come questa società, e chi la governa, cerchino di allontanare sempre di più il momento dell'utilizzazione della forza lavoro giovane: con una scolarità inutile ma di massa con un'università altrettanto inutile e altrettanto di massa, con il servizio militare e (perché no? in casi estremi estremi rimedi) con la droga pesante e la morte, la delinquenza e le carceri. Ecco perché non c'è né da gridare allo scandalo per la morte del sapere, né alla vittoria per la morte della scuola selettiva: è la società stessa che si occupa ora della selezione. E quella scolarità di massa che qualcuno sbandiera come vittoria democratica e popolare è in realtà l'ennesima vittoria del capitale ormai teso solo a ridurre i costi sociali della recessione-disoccµpazioneche è la sua condizione cronica (almeno per i prossimi tempi). Il piano non è nemmeno tanto ingegnoso o m~chiavellico: i padri spirituali di questo tipo di scolarità massiccia, di uso, alternativo al lavoro, delle nuove forze produttive, sono, come sempre, gli Stati Uniti, paese dall'alta scolarità e, dunque, dall'alta recessione (o il contra rio, se preferite). Come far saltare questo progetto? Come cioè contrapporre alla « loro » riforma della scuola, quella funzionale alle « loro » esigenze di profitto e di pàce sociale, con le« nostre », quelle di un uso diverso degli strumenti che ci mettono a disposizione? Qualcuno, tempo fa, poneva l'abolizione tou t-court della scuola. Ma pensiamo, che al di là del paradosso anche utile per il dibattito, non servirebbe a molto e non sarebbe una parola d'ordine particolarmente recepita. E allora, come abbiamo detto, l'uso nostro della scuola non può che essere quello di far si che essa serva alla maturazione civile (e dunque politica). Non con i vecchi e sputtanati corsi di educazione civica, certo. Né meccanicamente sostituendo Marx a Manzoni o Gramsci a Croce, o la rivoluzione bolscevica ai moti del '48. Ma molto più nella lotta sui temi quotidiani che i giovani hanno costantemente di fronte. Nella battaglia dentro e fuori la scuola, ma soprattutto dentro (e non certo solo con i decreti delegati) come luogo ideale di scontro, confronto, maturazione. Non ci interessa stabilire se è negativo molto o poco uscire da anni di studio senza sapere un'acca di Dante: ma è certamente molto negativo se usciti dagli istituti scolastici i giovani ·non sapranno avere la capacità critica, la coscienza e la conoscenza del mondo che servono anche a capire Dante. E capacità critica, coscienza e conoscenza del mondo sono alla faccia del ministro Malfatti e dei suoi trucchetti, un modo vero e creativo di far politica. G. P.
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