Muzak - anno III - n.06 - ottobre 1975

stazione gratuita, rivolta a grandi masse di pubblico. Queste cose non succedono mai negli USA, dove la tendenza è, al contrario, di alzare sempre più i prezzi, mentre i musicisti lavorano in condizioni ridicole, senza la minima assistenza; ma questo fa parte dell'intera condizione razziale che riguarda la gente nera. D - Non a caso il "free jazz" ha avuto successo più in Europa che in America? R - Si, e non solo quello che tu chiami "free jazz", al quale peraltro non mi sento necessariamente legato. Credo, infatti, che sia un termine restrittivo perché crea una divisione tra i musicisti che fanno questo tipo di musica e quello che ha fatto la vecchia generazione. E non è quello che vogliamo perché il marxismo ci insegna che dobbiamo organizzare masse di gente in relazione ai loro interessi di classe e non dei singoli gruppi. D - Nelle tue opere passate è sempre stato molto forte il potere evocativo della figura di Malcom X. Ha ancora valore per te oggi? R - Si, io penso spesso a Martin Luther King, Malcom X, Medgar Evers e John Coltrane, allo stesso modo soprattutto perché erano contemporanei e ognuno si è occupato della realtà dei neri in USA da una prospettiva differente e ognuno di questi ha avuto un'incredibile influenza sulla generazione di oggi. D - Quali sono secondo te i personaggi più importanti della cultura nera, storicamente? R - Io non vedo la storia in un modo così empirico, come una serie di fatti in successione. Non credo che si possa identificare un individuo come la figura più importante. Penso che dobbiamo vedere le cose in una prospettiva più generale. Potrei dire Blind Lemon Jefferson, Leadbelly, che per me sono importanti come Charlie Parker o Mahalia Jackson. Sono tutti importanti culturalmente, persino Stevie Wonder. D - Visto che ora stat insegnando in una università americana, puoi chiarirci quale tipo di ruolo può assumere un musicista nero in relazione all'insegnamento? R - Un ruolo che può avere grandi ripercussioni. Quando io ho cominciato ad insegnare la prima voi ta nel '62 a N.Y., avevo portato con me un certo numero di fotografie di Nkwanah Nkrumah, di Carlo Marx ecc..., e le avevo attaccate al muro. L'assistente principale dell'università le ha viste e ha. detto: « Mr. Shepp, pensò che dobbiate togliere queste fotografie ». Allora smisi di insegnare, pensando che la scuola non era un posto per me e fortunatamente grazie a John Coltrane riuscii ad ottenere un contratto discografico, e cominciai a dedicarmi esclusivamente alla musica. Poi, nel '69, ho ricominciato ad insegnare nell'università di Buffalo e poi in quella del Massachussets, con programmi di cultura nera, e continuo ancora oggi, e credo che sia una cosa molto positiva. Credo che insegnare, specialmente in un paese borghese, possa essere molto frustrante, ma anche molto esaltante perché mi coinvolge in un modo che non è in contrasto con la musica che suono dato che essenzialmente 14 mi fa essere in dialettica con la gente. D - Sei d'accordo con la tesi di Frank Kofsky secondo la quale i musicisti neri sono praticamente colonizzati dallo "show business" americano? R - Sono d'accordo, anche se questa tesi può essere una eccessiva semplificazione del problema. C'è del vero, comunque; c'è sempre stato un tentativo sistematico di colonizzare i musicisti, di appropriarsi del loro lavoro per mantenere le condizioni di sfruttamento. In America, non pubblicherebbero mai che 30.000 persone erano riunite per un concerto come è successo qui a Perugia. Loro nascondono il vero, non vogliono che la gente sappia queste cose. Se chiedi ai discografici dei soldi per il tuo lavoro, ti rispondono che il jazz non vende, se non nelle comunità nere; tu sei un grande musicista, ti dicono, ma col jazz non si fanno soldi. Ed è logico, quindi, che molti musicisti cambino il loro stile per fare più soldi, e io non posso criticarli per questo; è il sistema che va criticato. D - Credi che sia questa la ragione principale del fenomeno di avvicinamento di tutti gli stili in un genere unico che potremmo definire musica contemporanea? R - Penso che in gran parte sia un'operazione economica. Tu capisci qual è il modo di fare più soldi e poiché ne hai bisogno cambi il modo di suonare. -Bisogna sempre tenere conto di questi problemi quando si analizzano i fatti musicali. Negli anni '40, per esempio, c'era una speciale tassa per i locali. Era il periodo dello swing, e la musica era essenzialmente da ballo. Era il momento di Count Basie, Billie Holiday, Lester Young ecc...; ma durante la seconda guerra mondiale resero impossibile ai locali di ingaggiare i cantanti o le big bands perché dovevano pagare una tassa enorme in ogni club dove si ballava, e allora esce fuori gente come Parker e Gillespie che lavoravano in grandi orchestre e che si spezzarono in piccoli gruppi, e la gente veniva ma non ballava, e cosl hai quello che fu chiamato "bebop", che è realmente una musica da "ascoltare" e non da ballare. Questo è praticamente dialettico, ed è l'opposto delle storie che la gente racconta in genere. Esiste sempre una ragione economica. D - Cosa ha significato per te l'esperienza dell'Africa? R - E' molto difficile spiegarlo con le parole. Molti neri americani sono rivolti ali'Africa. D - Come Marcus Garvey? R - Non solo come lui. Credo che Mr. Garbey abbia guardato all'Africa in modo molto sistematico, nel senso di ristabilire una patria e una base economica, anche perché ha capito che diffiçilmente noi potremo avere una base economica negli USA. lo penso che il ritorno all'Africa abbia molte implicazioni di tipo spirituale per il popolo nero. Devi capire che noi siamo stati rubati alla nostra patria, non siamo venuti negli Stati Uniti volontariamente, come molti emigranti europei in cerca di una vita migliore. Noi siamo stati venduti come schiavi, abbiamo perso i nostri nomi e la conoscenza dei nostri esseri originari, e se si eccettua la musica, che io credo venga a noi direttamente dall'Africa, non saremmo sopravvissuti, saremmo stati decimati come gli indiani d'America o gli aborigeni australiani, oppure saremmo stati completamente assimilati come è successo ai neri in alcune zone del sud-america. Ma non è successo né l'uno né l'altro. Siamo cresciuti come popolazione e abbiamo rifiutato di essere assimilati. Noi siamo Neri Americani. a cura di Gino Castaldo

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