Intervista VivaMarx, vivaLeninv,iva ArchieShepp Pòlltica è musica e musica è politica: s'intende, questo è vero solo per i neri. Archie Shepp lo racconta con orgoglio a Muzak: « Un sassofonista nero e quindi malpagato non va a chiedere al suo boss un aumento di stipendio, non lotta per sé, ma quando canta e suona, esprime tutti i contenuti della sua lotta politica ». Il calderone musicale proposto nei festival di questa estate impone una riflessione sui tempi e le modalità in cui bisogna avviare un discorso sulla gestione culturale. Ci domandiamo, infatti, che senso può avere organizzare dei festival con musicisti di ogni specie senza un minimo di chiarimento sugli indirizzi e sulle tendenze, senza qualificare culturalmente quello che viene offerto ad un pubblico che pitt è di massa più allontana l'agghiacciante asetticità degli ' addetti ai lavori '. Al festival 'Umbria jazz', in questo pressapochismo della gestione culturale, un musicista, soprattutto, ha avuto un successo chiaro ed inequivocabile: Archie Shepp, che non a caso è uno dei musicisti più lucidi e consapevoli del ruolo sociale e culturale della musicista afroamericana. « Il jazz è uno dei più significativi contributi sociali ed estetici dell'America. Certi la accettano per ciò che è: un contributo significativo, profondo, per l'America in quanto è contro la guerra; contro quella del Vietnam; perché è per Cuba, è per la liberazione di tutti i popoli. E' questa la natura del jazz. Senza andare a cercare molto lontano. Perché? Perché il jazz è una musica nata essa stessa dall'oppressione, è nata dall'asservimento del mio popolo». Archie Shepp Shepp è certamente uno dei musicisti più discussi tra i jazzisti dell'ultima leva e soprattutto per una aspetto, le cui implicazioni ci riportano ad un dibattito di ben più ampia portata; quello dei rapporti tra musica e politica. Shepp, infatti, superando quella conflittualità che rimane tuttora uno dei grossi e irrisolti problemi della cultura occidentale, ha sempre creato un linguaggio musicale che è la 12 diretta emanazione di una personalità nella quale la coscienza dei problemi sociali e poli tici si fonde senza pretestuose fratture, con la visione globale del ruolo e della funzione dell'arte. In una sola parola la musica di Shepp si fonda su un' « ideologia ». Ma, come sottolinea lui stesso nell'intervista, a differenza della tradizione culturale occidentale, in cui arte e politica hanno vissuto sempre, o quasi, in zone nettamente separate, il mondo spirituale afro-americano ha sempre posseduto questa visione unitaria, e per comprendere le motivazioni di questa connessione, è sufficiente leggere la storia del popolo nero negli Stati Uniti. Ma se la « consapevolezza », in quel senso unitario che gli abbiamo dato, è sempre esistita nella Musica Nera, lo è stata spesso in modo latente, a volte addirittura istintivo. Il merito di Shepp è, invece, quello di avere, in linea con il movimento politico afro-americano, isolato ed « ideologizzato » la sofferenza e I'istinto alla ribellione che il popolo nero ha espresso in reazione allo schiavismo prima e allo sfruttamento classista e razzista poi. Non a caso, quindi, la tematica di Shepp coincide in gran parte con quella del movimento afro-americano degli anni '60. Le sue opere più famose ed importanti sono esplicitamente dedicate ai grandi leaders di colore, oppure all'Africa, oppure al recupero in chiave moderna di vari aspetti della tradizione culturale afro-americana, o infine sono state delle provocazioni stridenti e rabbiose tout court, ma anche qui le implicazioni po· litiche sono altrettanto evidenti. All'Umbria Jazz Festival, Shepp ha lasciato perplessi molti dei suoi più prevenuti e accaniti detrattori, ( coloro cioè che inorridiscono a sentir parlare di ingerenza della politica nel- ]' arte), suonando in modo profondo e suggestivo, spostando l'ago della sua bilancia espressiva più sul terreno del recupero storicopoetico della tradizione, che non su quello della provocazione. Interessati ai risvolti di questa ulteriore evoluzione di Shepp, ( non involuzione come qualcuno ha voluto suggerire) abbiamo voluto incontrarlo e il risultato di questo colloquio ha confermato la straordinaria lucidità di un musicista come pochi è pienamente consapevole del contesto in cui l'attività musicale deve essere inquadrata per svolgere la sua funzione di impegno. D - Si è molto discusso sul rapporto tra linguaggio musicale e contenuti politici che è sempre emerso dalla tua musica. Qual è la tua posizione attuale? R - Sono certamente d'accordo sul fatto che nella « Black Music » ci sia un rilevante numero di implicazioni politiche e ovviamente questo non è cominciato con me, ma è storicamente preesistente. Se noi torniamo indietro agli Spirituals afro-americani, possiamo vedere che molti di questi come « Singin'with a sword in my hand », « Nobody knows the trouble I've senn » e tantissimi altri, sono originali, creati dalla gente nera e sono stati i primi canti di protesta politica. Essi coglievano la sofferenza e l'agonia del popolo, ma ne mostravano anche la capacità di affermazione e la volontà di superare l'oppressione. Quella che viene chiamata musica jazz nasce precisamente da questo. D - Non pensi quindi che ci sia un conflitto tra il linguaggio musicale e quelpolitico? R - Non credo che ci sia mai stato un conflitto del
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