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Collettivo redazionale - Via Valenzlani, S - 00198 Roma - lei. 49563433648. Gialme Pintor (direttore). Lidia Ravera {vice direttore). Carlo Rocco (capo redattore). Danilo Moronl (capo servizi musica). Maurizio Baiata, Angelo Camerini, Collettivo di via Anfossi di Milano, Fernanda Pivano, Roberto Si lvestrl, Renzo Ceschi, Antonio Belmonte. Gino Castaldo, Sandro Portorelll. Mauro Radice, Danlel Calmi & Gianfranco Binari. Coordinazione editoriale: Lydla Tarantini - Impaginazione e grafica: Ettore Vitale - lllustrazlonl: Laura Cretara. In copertina Archle Shepp Rosaria Lopez Contrappunti ai fatti La festa di Licola Intervista a Archie Shepp E' morto il pop, viva il jazz Bob Dylan Gli Who Storia del Jazz Musica e droga Speciale scuola Gli Oregon Dischi Schede Lucio Dalla La pagella Libri Fumetti - Chiappori Cinema Miti e riti - Che Guevara Hanno collaborato: Corrado Sannuccl, to, Goffredo Fofi, Nancy Ruspoll, Mario Schifano, Simone Dessi. Roberto Renzi, Elena Croscieiky. Foto di: Agnese De Donato pag. 57 Carlo Rocco p. 37-34-62 Tano D'Amico p. 37-39-34-35 Sandro Becchetti p. 29-58-59 Claudio Grappelll p. 9-10-11 Silvio Di Fazio p. 12-13 Piero Tognl p. SO lsio Saba p. 45 Margherita Paolini p. 60-61 Autocoscienza - Specchio delle mie brame La masturbazione Viaggi - la Palestina Planet Waves Compra vendi & informa Posta 3 Edizioni: Publlsuono • Via A. Valenziani, 5 - 00184 Roma - lei. 49563433648 - Amministrazione: Patrizia Ottavlani - Pubblicità Lydia Tarantini - Segreteria editoriale: Elvira Sallola - Direttore responsabile: Luciana Pensutl - Abbonamenti (12 numeri) Lire 5.000 ccp n. 1/55012 intestato a: Publlsuono - Via Valenziani, S - Roma. Un numero lire 500, arretrato Lire 800. Diffusione: Parrini & C. - Piazza Indipendenza, 11/b • Roma - lei. 4992. Linotipia: Velox - Via Tiburtina, 196 - Roma - Fotolito e montaggi: Cfc • Via degli Ausoni, 7 - Roma - Stampa: Sat • Roma. 6 Giaime Pintor 9 10 Gino Castaldo 12 15 Sandro Portelli 18 Mauro Radice 20 23 Danilo Moroni 26 29 Maurizio Salata 41 42 45 Simone Dessi 50 Carlo Rocco 51 Giaime Pintor 52 Simone Dessi 53 54 56 Lidia Ravera 57 Agnese De Donato 58 Goffredo Foti 60 62 64 66 Muzak non accetta pubblicità redazionale. Gli articoli, le recensioni, le Immagini e le foto di copertina sono pubblicate a unico e Indipendente giudizio del collettivo redazionale. Registrazione Tribunale di Roma numero 15158 del 26-7-1973. Avviso fondamentale: Abbiamo cambiato sede, Il nostro nuovo Indirizzo è Via Valenzianl. 5 • Roma. Potete te• lefonarci al 49.56.343 oppure 49.53.648. Per me si va... Eh già: fra la perduta gente. Cioè fra gli studenti disorientati e che sarebbe bene, una volta entrati nelle patrie scuole. lasciassero ogni speranza di uscirne culturalmente migliori o, peggio. pronti ad essere Inseriti nel mercato del lavoro ... una mini-Inchiesta sulla scuola Italiana, una speciale scuola che ambisce a divenire appuntamento mensile. Prevista, fra l'altro, I 'istituzlonallzzazlone di uno spazio • aperto e autogestito •, In cui pubblicheremo lettere, bestemmie, gride e grida, sdegni, commenti. norme di autodifesa dello studente: Insomma tutto quello che riguarda Il • quotidiano scolare • che vorrete mandarci. Chiusa In bellezza dalla festa di Llcola, è terminata quella che passerà alla storia come • la lunga estate del '7S •: da Parco Lambro a Llcola, da Perugia a centinala di piccole feste s'è espressa una richiesta di tipo nuovo e una voglia di dibattere, riflettere e discutere che sta già dando i suol frutti ... matureranno. Cosl come impone riflessione Il boom tutto particolare del Jazz: Castaldo, • corporativisticamente • soddisfatto, si è fatto una scorpacciata di Archle Shepp, Intervistandolo In stato semi-ipnotico per ore ... Il ritratto che ne esce è quasi epico. Ma certo Il pop non è morto, soprattutto perché è stato capace. bene o male, di far cultura e creare un'Ideologia: qual'è il rapporto fra droga e musica pop? E, ancora, che cosa hanno espresso. cosa hanno rappresentato gl I Who nella storia della • cultura pop •? Viaggi: fra Il Marocco e l'India geograficamente, senonaltro) c'è Il medlorlente. Dopo l'accordo fra Israele e Egitto e lo scoppio della guerra civile In Libano, qual 'è la situazione, quali sono l,e speranze e quant'è ancora forte la volontà di lotta del giovani palestinesi? DI ritorno dalla Siria e tlai campi profughi ce ne parla Goffredo Fofi. SI riprende Il luro lavoro, con la prospettiva di scrivere ancora per un anno prima delle prossime vacanze, passiamolo almeno In buona armonia fra noi. chissà che non ne esca qualcosa di buono ...
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Massacrate, violentate, chiuse nel bagagliaio di una macchina, una ancora viva abbracciata al cadavere della sua amica, ammazzata per gioco, per noia, per violenza, per degenerazione. Agghiacciante. Ma è cronaca nera... che fai, adesso, te la prendi con gli assassini? Ti commuovi e strilli che vuoi la pena di morte? Attorno a me, altra gente legge il giornale, partecipo alla loro indignazione, una volta tanto sono d'accordo anch'io con la gente della strada, col maresciallo e col piccolo borghese del terzo piano, con l'edicolante, con il dentista democristiano ... Mi avvolge una specie di benessere: il piacere dei buoni sentimenti collettivi, che a me, femminista, comunista, sostenitrice della dissoluzione della famiglia ecc; guardata con sospetto dal cittadino medio perennemente in minoranza, era del tutto sconosciuta. Ma perché un delitto mi sconvolge tanto? In genere la reazione è fredda, razionale: viviamo in una società che si regge sulla violenza quotidiana di una classe contro l'altra. Nessun delitto è una sorpresa, non è il gesto terrificante di un anormale, ma una specie di incidente sul lavoro, una verifica dell'ingiustizia e della miseria del nostro tempo. La forza del sesso debole RosariaLopez ...Pauranonabbiamo I figli della ricca borghesia fascista hanno ucciso una ragazza di borgata. Giochi di massacro e amori ancillari: non è da sempre che i signori violentano le loro serve? Ma siamo stufe di compiangerci e subire. E' ora di organizzare la nostra difesa. Ma questa storia di Rosaria Lopez è diversa: cerco di diradare rabbia ed emozione a colpi di ragionamento. Dunque: l'hanno ammazzata i figli della borghesia ricca. Gli annoiati playboy romani. Viziati coi proventi della speculazione edilizia. Ecco, lo dicono tutti i giornali: erano tutti fascisti, squadristi coperti dall'impunità del fascismo e dall'impunità del denaro. Tutto regolare: picchiavano gli studenti di sinistra. Rubavano per sfizio. Se, in più, aggiungi l'arancia meccanica, cioè gli scoppi di violenza organici al sistema, l'irrazionalismo, dedenerazione di una classe 6 che sopravvive alla sua funzione storica finita, in nome della logica disumana del profitto... tutto è spiegato, lasciamo l'orrore alle vecchiette e a chi vuol trasformare Rosaria Lopez in una moderna Santa Maria Goretti, militante della verginità. Eppure, no, questa volta non funziona, leggo e rileggo i resoconti dei festino sadico nella villa del Circeo e il panico, il disgusto viscerale. rimangono. Anzi, si aggiunge anche un crescente disagio: Rosaria era una ragazza di borgata... lo dice anche Paese sera, anche il Messaggero, per gli assassini, apparteneva alla categoria disprezzata dei pezzenti da usare in nome della superiorità morale del denaro. Che schifo: con le levigate ragazzine dei Parioli, 'future mogli, non usavano gli stessi metodi. Ma non è solo questo: Rosaria era una donna. Una giovane donna con la testa piena di sogni tutti uguali, di tutti quei sogni organizzati dai mass media e dai fotoromanzi che sono il corredo di quasi tutte le ragazze proletarie: un ragazzo ricco ed elegante, ~er essere dominate. Un padrone da sposare. Una scalata sociale, l'unica consentita alle· donne. Questa è stata la prima violenza e va al di là della cronaca nera, capita tutti giorni e non finisce sul giornale. Incomincio a capire le radici emotive del mio sgomento: Rosaria sono io, ogni donna è una potenziale Rosaria. Lo è quando aspetta il principe azzurro che la sollevi dal suo « nessuno » all'agognato « moglie di », « fidanza di », « ragazza di »... e vince chi ha il marito più grosso. Non basta versare un po' di pietà sulle ragazzine di borgata, ansiose di evadere: il male è più grande, è nella cultura di questa società odiosa che ci nega di esistere se non attraverso i simboli del suo po-
tere. Per gli uomini il denaro, per le donne il denaro degli uomini. Essere corteggiate, cercate, accompagnate per noi è un imperativo categorico, non si sfugge. Una gita al mare, in macchina, con i rampolli della Roma bene, è stata una tentazione troppo forte per Rosaria e Donatella, lo sarebbe stata per il 90% delle loro coetanee. Essere invitate, vuole dire essere accettate, essere accettate vuol dire esistere, e tutto questo è essere donne. Si potrebbe continuare a compiangere il nostro sesso, la debolezza, anzi l'abitudine alla debolezza più della debolezza stessa, per cui siamo preda facile alla prepotenza della forza altrui, vittime storiche, vittime designate. Ma non ne ho voglia: la commozione di subito, la rabbia, e il disagio, la paura. Sono stufa abbastanza di questi sentimenti « femminili », sterili e perdenti. Mi tiro su, dritta sulla sedia e alzo gli occhi e alzo la testa, mi sento addosso la voglia di fare un comizio e devo avere uno sguardo un po' esaltato perché una signora seduta Il vicino sente il bisogno di dirmi che lei ha due figlie e che ha detto loro fin da piccole di non eccettare passaggi dagli sconosciuti. Il rimprovero alle « sbarazzine assassinate » è sottinteso, la signora in questione ha un cappello piuttosto complicato, e l'aria di sapere il fatto suo, è molto per bene. Probabilmente le sue figlie sono costrette a truccarsi gli occhi in ascensore e a uscire accompagnate dal fratello... ma noi non dobbiamo sempre difenderci. (Mi ricordo tante sere, perso l'ultimo autobus, camminare infreddolita per mezza ora, tirando dritta a tutte le offerte di passaggi, a tutte le macchine che rallentano, a tutti gli sguardi che sporgono untuosi dal finestrino: paura). Glielo dico: siamo stufe di avere paura, di non poter rispondere a un sorriso, perché li dietro si nasconde il pericolo di essere toccate, violentate, picchiate, disonorate, insultate, uccise. Il suo sorriso di smorza, mi guarda gelida: « Cara signorina, il mondo è cattiva, bisogna sapersi comportare. « Eccola la morale della fa. vola: i fascisti dei Parioli sono dei mostri (cioè delle eccezioni, prodotti guasti di una società sana) e le vittime sono due innoventi vanesie, che « non hanno fatto attenzione ». Mi alzo irritata. Non mi piace, non mi è mai piaciuta la parte della vittima. E preferisco l'odio alla paura. Un tizio mi lancia un'occhiata valutativa da un momento all'altro potrebbe mettere mano al portafoglio, o al coltello, o aprirmi la porta della macchina, o sbottonarsi i pantaloni o porgermi un anello... Nel dubbio lo insulto. Una cosa tipo « và a nasconderti vecchio bavoso ». E' una sciocchezza,ma sto subito meglio, mi godo come una bibita ghiacciata la sua espressione sbalordita: essere nella parte dell'aggressore (è un nome difficilissimo da declinare al femminile) mi tranquillizza. Forse il nostro di lamentarci, piangere le nostre vittime, e subire, non è un destino, e allora si può cambiare. Mi viene in mente che dovremmo organizzare un grande servizio d'ordine femminile, una ronda armata, che batte le strade della città, controllando che gli uomini non facciano violenza alle donne, una specie di volante antitupro, antipalpeggiamenti casuali sull'autobus, antivolgarità gratuite e umilianti, un gruppo di autodifesa femminile. Sarebbe libero e volontario, gestito dal movimento di liberaione della donna e magari finaniato dallo stato, tutte imparerebbero che si può non avere paura, vendicarsi, vendicare le altre donne ... Lo chiamerei GARL Gruppo Armato Rosaria Lopez. Lidia Ravera
Abbonarsi a Muzak è g1a, di per sé, un regalo. In più aggiungiamo, a scelta, un libro o un disco. L Ce n'è per tutti i gusti. Rimettere l'ordine a: PUBLISUONO ., E .. ., Via Valenziani. 15 • 00187 Roma • Tel. 4956343 Cl) Cl) ti) ti) ~ Cl) o. ti) ti) Cl) Cl) ti) ti) Cl) Cl) ... ... o. o. E E o o u u ~ ~ Cl) Cl) ... ... ::i ::::i o o o o ~ ~ Lf) (Il (Il o ro (.) .!: ti) Cl) -o (.) ti) o (Il o ... cii ..0 Cl Cl) ... + N + ·;: Cl) ·;: E Cl) ... E- ::i- Cl) e: Cl) ::, Cl) o. e: e: e: NO o o _. 'N '<I' 'p:;j .... ~-- N ·- e: o -o ~-o Cl) Cl) E e: Cl) e: o. e: o. e: ti) (Il (Il ti) (Il e: o ..0 --o N-0 .e o o (Il (Il o. o ... ::, ·.:. w ·e o ... :::, Cl) ·.:; .... ti) (Il w .... Cl') Cl) Cl) ... ::i ... ::i o o o o ~ o o C\i (Il (Il o o (Il (Il Cl Cl Cl) Cl) ... ... + + ·;: ·;: Cl) Cl) E E ::, ::, e: e: N N - ~ o o e: e: e: e: (Il (Il o o o z o :::, Cl') :i C0 :::, Cl) c.. cii (Il .... ti) o o o. .... (Il .... .!!! ti) Cl) Cl .... (Il e: > N o o Lf) Lf) ---- - o ·;: z (Il (.) Cl) e: (Il cii ..0 .... ti) o o e: o. Cl Cl) u ti) ----ti) u (Il o o w ~ o z c.:, o u o w N N w oc ~ ci o z z > o a: c.. <t: ~ a: u::: J Se Hl Il tlPo lreak avrai: Ma l'amor mio non muore... , ed. Arcana: è una storia degli anni ruggenti, dal 1966 circa al 1970, passando per Il sessantotto, naturalmente. TI Insegna a coltivare marlhuana sul balcone di casa e a costruire molotov per tutti gli usi. L'ha scritto un vecchio sltuazlonlsta. Gian Emilio Slmonettl, e forse è per questo che di storia In fondo ce n'è poca. Ma è divertente. Fre■k brother1, ed. Arcana: è Il famoso fumetto americano col tre capellonl perennemente In cerca di fumo. Molto underground. Fuga, ed. Arcana, racconta le rocambolesca fuga del carcere di Tlmoty Leary. santone della generazione psichedelica. L'ha scritto per l'appunto Tlmoty Leary e c'è chi avanza dubbi sull'autentlcltà della narrazione. Attenti e non !asciarvi affascinare della Cle. Se Hl il tlPo Folk: La canzone popolare In amarica, ed. De Donato. E' la storia ragionata della musica popolare americana, del suol miti, del suol eroi. I Cavalli DI Troia • Dischi Del Sole. E' un trentatrè giri di ballate trascinanti. di musica e di parole. Le canta Paolo Pletrangell: bellissimo , Anni Sessanta Nati Dal Fracasso•, In cui le sua storia personale si Intreccia continuamente con la storia di questi anni. Contocan■ le 70 • Dischi Del Sole. Una riedizione bene arrangiata delle vecchie canzoni di movimento. Le canta Giovanna Marini. Padre e Padrone, ed. Feltrlnelll. E' la storia di un pastore e del suol rapporti con Il padre. L'ha scritto In prima persona Il protagonista. Non è un letterato di professione, ma un • franco narratore ,. come dice Il titolo della collana è un modo abbastanza nuovo di fare cultura. Se sei un po' intellettuale: La Settima Sinfonia di L.W. Beethoven, La Voce Del Padrone. Non occorrono commenti: a te le gioie di Shroeder. Controstorl■ a fumetti, Ed. Savel• Il. E' la storia del mondo Illustrata attraverso I fumetti da quattro com• pagnl svedesi: più completa e Intelligente di quella del sussidiari, tiene sempre presente e spiega bene che la storia è storia di lotta di elesse. Da leggere assolutamente, da regalare a fratellini e sorelline, da far vedere e studiare a memoria al professori. Cent'anni di solitudine, Ed. Feltrlnelll. L'epopea di un popolo raccontata con tutta le ricchezza della ragione e della Immaginazione. Il più suggestivo e stimolante degli approcci alla grande letteratura latino-americana. l'ha scritto Garcle Marquez. Se sei un po' Politico: C'era una volta la DC, Ed. Savelll. E' un libro tutto da vedere, tutto di Immagini: la raccolta completa del manifesti della DC. che vanno dal dopoguerra al 1953. Sono Immagini che parlano da sole. L'anticomunismo volgare e grot• tosco è materia di divertimento e disgusto. La faccia fascista della Dc. I manifesti sono a colori e molto belli. LI ha raccolti Paolo Scabello e II pre• senta con un Introduzione storico-politica Nlcola Gallerano. In caso di golpe, ed. Savelll. E' un manuale di clandestlnltà militante. Come agire senza farsi notare. Come continuare e lottare, nel caso che, In Italia, succedesse come in Cile. Conviene leggerlo, poi magari Impararlo a memoria e Ingoiarlo. Se Hl un po' femminista: Dalla parte delle bambine, ed. Feltrlnelll. E' un saggio fondamentale per tutte quelle che non vogliono credere di essere dolci. timide, fragili, Insicure, oppresse e sfrutt~te per natura. Spiega I meccanismi di riproduzione del prlnclpl0 lemmlnlle a partire dall'Infanzia. I condizionamenti che faranno della bambina una madre, una massaia, una che si ,uu~rlflr.hArA fl!emore. L'ha scritto Elena Glanlnl Belletti.
Licola non è stata una festa senza contenuti, né soltanto un'esplosione di gioia e di voglia di divertirsi. Ma non è stata nemmeno la noiosa sommatoria di comizietti e dibattini, di parole d'ordine e slogan. E non è stato, infine, nemmeno un ferreo e militaresco contarsi delle forze rivoluzionarie, una semplice constatazione della forza del movimento degli studenti. Per quattro giorni, e chi s'è impegnato nell'organizzazione lo sa bene, a Licola s'è mosso qualcosa che, nelle feste precedenti, non era stato capace di mettersi in movimento: un'unione stretta fra soddisfazione dei bisogni e lotta. Una lotta, cioè, che s'è inserita con piena dignità nei bisogni dei giovani, non s'è posta come momento separato ma come momento interno, come tensione reale e non posticcia. Per quattro giorni il campo, sabbioso e particolarmente difficile da vivere per disfunzioni organizzative anche gravi, è stato invece « vissuto» con intensità, e non solo in funzione del concerto serale. Forse, per la prima volta, una festa giovanile « non è stata palcocentrica » come ha detto uno dei partecipanti per definire il fatto che non si aspettava soltanto la musica e basta. Il proletariato giovanile è riuscito a vivere - ha aggiunto - momenti reali di socializzazione, mangiando, dormendo, cantando, ascoltando, dibattendo: lo spettacolo musicale della sera era importante, ma non esauriva la fe. sta » Molti episodi hanno dimostrato, mi sembra, la verità di questa affermazione. La disposizione delle varie aree, prima di tutto. Estremamente decentrata, la festa di Licola, offriva, in contemporanea, molte attrazioni oppure la possibilità di starsene soli. Il palco, posto dietro le stru ttu re centrali ( radio, direzione, cucina, infermeria), non imponeva la sua presenza, come invece è accaduto, a Parco Lambro. La musica, non di altissimo li_- Contrappuntia fatti Datecipane,madateci ancherose Giaime Pintor vello e, soprattutto, senza grossi nomi è stata vissuta ugualmente in modo critico (a volte persino troppo) con partecipazione e voglia di confrontarsi. La radio interna non è stata una semplice sequela di musica e annunci ma si è articolata in dibattiti, iterventi, notiziari. Il palco libero, dapprima solo timidamente calcato da qualcuno più sicuro, è stato poi assalito, da cantanti dilettanti, che volevano intervenire nella festa con la loro musica. I dibattiti, come quello sulla musica, che per la prima volta hanno funzionato realmente non limitandosi ad essere il palchetto privato di comizianti smaliziati, ma coinvolgendo centinaia di persone nel tentaLlcola • lo spulo libero per I dibattiti tivo di far chiarezza su questa « nuova cultura » che vorremmo si creasse: musica, droga, femminismo, sessualità, condizione giovanile, il problema di Napoli, scuola, etc. Gli stand e la cucind (che sembrano problemi marginali e che invece sono forse una spia della diversa concezione su cui Licola è nata ed è cresciuta), i primi non aggressivi e folkloristici ma discreti e di « riferimento » ( con mostre fotografiche, materiali, informazioni, etc.), la seconda centralizzata, cosl che anche mangiare diventa, anche se la fatica non era poca e le code lunghe, un momento comunitario, di vita insieme per qualche migliaio di giovani « stanzianti ». Una festa perfettamente riuscita? Un antifestival dell'Unità? No di certo. Le disfunzioni, non solo organizzative, ma politiche, sono state molte, anche se non tali da pregiudicare la festa. Soprattutto non s'è tenuto conto, e forse non si poteva, del tipo particolare di richieste che il pubblico( cioè i protagonisti della festa) avanzava. Richieste di partecipazione a tutti i livelli, di maggiore scambio, di maggiore gestione di base. Non s'è tenuto conto che chiamare musicisti a casaccio, senza un discorso chiaro, avrebbe provocato qualche incidente. Non s'è tenuto conto che non è più possibile fare una festa realmente liberata con musicisti pieni di sé e della loro arte, convinti che il loro discorso debba prevaricare i bisogni del pubblico, le sue richieste, la sua voglia di partecipazione: un Canzoniere del Lazio con atteggiamenti divistici, un Sorrenti provocatorio, dove non era affatto il caso di esserlo, un Venditti che all'ultimo minuto avverte che sceglie una manifestazione radicale sul 20 settembre, sno gente che con queste feste, a meno di un'autocritica seria, non ha molto a che fare. Non può esistere, e s'è detto, un musicista che creda di poter venire cinque minuti prima, suonare un quarto d'ora e andarsene. O comunque non è più questo il livelol di coscienza del proletariato giovanile: i bisogni di quest'ultimo sopravanzano di gran lunga dubbie qualità artistiche, dubbie specializzazioni, dubbi divismi. Ci si è, inoltre, trovati « spiazzati » rispetto a una serie di problemi che non erano previsti: la circolazione di un « acido » cattivo, il nudismo, la relativa subordinazione del palco 2 rispetto al palco 1, alcuni incidenti pratici. Ma una cosa è uscita fuori con chiarezza: per le feste come per tutte le manifesta_. zioni politiche bisogna partire dalle esigenze reali e dai bisogni reali del pubblico. •
Licola-cronaca Sottola polvere, l'erba Giovedì 18 settembre ore dieci: sulla spiaggia-pineta di Licola (Napoli) « Mille pini » incomincia la prima festa pop organizzata dal movimento degli studenti. La apre Janis Joplin, trasmessa a tutto volume dalla radio del campo, con le note struggenti di Mercedes Benz. I mille comandati dei servizi d'ordine già da una settimana spianano la terra con le ruspe, ammassano casse di aranciata e trasportano tubi per il palco, alzano gli occhi verso gli altoparlanti: per quattro giorni lavoreranno al suono della musica. La radio fino alle sei di pomeriggio, con interviste registrate, interventi dal vivo, canzoni selezionate dagli esperti di Muzak e bollettini di notize. « Radio Licola onde ross », dice la frase sigla e i quattromila già accampati nelle tende sparse in mezzo agli alberi colgono nell'apparente nonsense la suggestione americana: Kerouac, On the road, testo sacro alla generazione del sacco a pelo e della rivolta al conformismo delle istituzioni. Ore 20: ·con due ore di ritardo incomincia la musica dal palco centrale, diecimila persone affondate nella sabbia tollerano il Guido Dazzon trio in una esibizione fredda e senza originalità, applaudono Paolo Pietrangeli dimostrando tradizionalismo spettacolare ed entusiasmo politico in parti uguali, scattano in piedi in una prima ondata di euforia al rock meridionale di Napoli centrale. Ed è bello, perché riaffermano le loto origini senza tutta quella cattiva california d'importazione, senza falsi americani. Più tardi avviene lo stesso e senza neppure mediazione del Rock con la applauditissima Concetta Barra, che urla e lamenta musica popolare campana. Venerdì, ore undici. Ma la musica non è tutto, al mattino, ad esempio, si piglia IO il sole, sulla spiaggia vicino, nudi, sia i ragazzi, moltissimi, che le ragazze, poche, ma decise a sfatare il mito di Concettina - che - sta - velata - anche - dietro - la - finestra. L'atmosfera è rilassata e gli sguardi sorridenti. Verso mezzogiorno due poliziotti offrono un fuori programma tentando di far rivestire due ragazze che prendono il sole in mutandine. E' quasi una provocazione: immediatamente si alzano cinquecento persone, quelle non ancora nude si spogliano e insieme, con gli slip attorno al collo come una collana, tenendosi per mano, improvvisano un corteo che al grido di « Nudi sl, ma contro la diccl » libera le due contestate. Ai poliziotti la gratitudine degli organizza tori; per tre giorni tutto il campo discute del diritto alla nudità, del sesso mercificato che obbliga ai vesti ti per poterli togliere, del diritto a non avere vergogna. Ore 21-22: suona Il canzoniere del Lazio e in trentamila si scatenano in una sfrenata tarantella, agitando lunghe canne raccolte lì vici- . no, verso il cielo bianco di polvere. Il pubblico di Licola non accetta il ruolo passivo dello spettatore: la musica viene usata per ballare, per stare insieme, per fumare, per fare l'amore, per suonare, per cantare. La musica non è un oggetto di consumo. Ore dieci: nella radura, uno spiazzo di terra polverosa nella pineta, che porta il nome di « spazio dibattiti », continua la discussione sulla musica, riconvocata dal giorno prima. La riconvocano di nuovo dopo tre ore vivac1ss1me. Nei quattro giorni il dibattito musica totalizza dieci ore di interventi. Ore 15: dibattito sulla sessualità. La radura trabocca. Omosessuali, femministe ragazzi, ragazze nessuna curiosità morbosa, nessuna pruderie. Si parla di tutto. Il personale è politico. Ore 17: deve rimandare il dibattito sulla droga perché non incroci con la sessualità. Continua l'attività al palco due, il palco dei debuttanti, dell'improvvisazione, del cinema e del teatro. Ore 20, palco due: La grande opera, un gruppo di compagni burattinai, rappresenta in un megateatrino dai fondali blu, La fattoria degli animali di George Orwell. E' una famosa satira contro lo stalinismo che degenera le rivoluzioni; gli animali sono pupazzi bellissimi dalla intonazione dialettale: unico difetto, apprezzato dal pubblico ma non dalla critica, la sostituzione del tragico finale orwelliano con una trionfante e pulcinellesca bastonatura del padrone. Quasi in contemporanea ( ma i licoliani sembrano avere il dono dell'ubiquità) gran serata al palco centrale con Francesco de' Gregori, accolto con la cordialità che
merita e con Alan Sorrenti, accolto prima a deboli fischi per la sua esibizione fragile e intimista, sicuramente poco adatta ad un pubblico di ormai cinquantamila persone, cacciato poi da un boato crescente accompagnato dal lancio di oggetti innocui ma convincenti. Le accuse: scarso rispetto per i gusti del pubblico, comportamento divistico, prestazioni vocali e strumenti sull'orlo della giaculatoria di chiesa. Insieme al corteo del nudo, la cacciata di Alan Sorsenti costituirà uno dei più vivaci spunti di dibattito. Ore due del mattino: seimila persone, tutte sveglie, a vedere un audiovisivo sull'abordo a cura del Circolo la comune. Ore tre del mattino: quattromila persone assistono per tre ore alla proiezione del film cileno « Tierra prometida ». Gli organizzatori abbacinati dalla vitalità del pubblico: scavalcati a sinistra dall'impegno costante e dalla resistenza dei giovani di Licola. Sabato ore nove: arriva da Roma il quotidiano Lotta continua con un supplemento, si chiama il Pane e le rose ed è speciale per la festa di Licola, riporta articoli di cronaca e altri su musica, famiglia, fare festa, condizione femminile. Anche il Quotidiano dei lavoratori, del gruppo Avanguardia operaia, pubblica un inserto, in cui Je tematiche culturali vengono arroccate in due pagine e offerte al pubblico della festa. Domenica, ore dieci: ricominciano radio, dibattiti, cortei, slogan. Gli ultimi slogan si sono spenti da un paio d'ore soltanto. Si fa molto il nome di Alan Sorrenti accoppiato ad aggettivi pittoreschi. Stampa alternativa ha un ricco stand, dove si pubblica un bollettino ciclostilato fatto di contronotizie, consigli su che « acidi » evitare, pettegolezzi raccolti con pignoleria in tutto il cam-0 po. Così si viene a sapere che Il pane e le rose n. 2, previsto per la mattina, non è uscito perché il caporedattore di Lotta continua ha negato l'imprimatur ad un articoletto sul nudo e una mininchiesta sul fumo. Si esagera: « panico e disperazione serpeggiano fra i redattori ». Invece è solo amarezza. Ore venti: dal palco centrale Tony Esposito risveglia gli entusiasmi sopiti da Pierino Nissim del Teatro operaio autore ed esecutore del volenteroso quanto ridicolo « Tiè fanfani » ( il verso seguente suona circa così: « affanculo ti manderò »), Giorgio Gaslini improvvisa un autoelogio della sua democrazia e poi esegue alcuni canti rivoluzionari e inni tradizionalmente rossi non molto trasformati da un jazz gentile ed orecchiabile. La gente applaude, senza scomporsi. Lui ringrazia: « sono qui solo col mio pianoforte e voi siente in tanti ... » (i latini la chiamavano « captatio benevolentiae »). Poi è il momento dei proletari in divisa. Parla uno con gli occhiali, a lungo e compunto, anche se è mezzanotte tutti lo ascoltano in silenzio. Poi una macchina lo riporta a Roma, perché deve precipitarsi in caserma. Dopo di lui canta José Afonso, l'autore della « Bandiera rossa » della liberazione portoghese « Grandola villa morena»: basterebbe questo per farlo applaudire. La sua musica, chitarra e due voci, è popolare e coinvolgente, scritta per le grandi masse, ha un impatto felice col pubblico. Dovrebbe arrivare Antonello Venditti, ma non viene: fi. schi di Stampaalternativa che riconosce un altro flagrante delitto di divismo. Lunedì ore tre del mattino: gran finale con li oranizzatori sul palco che stonano l'internazionale. Prime luci dell'alba: ai caselli dell'autostrada si registra una inflazione di autostoppisti. Hanno sonno e i capelli lunghi. Sono così imun momento deWattollato dibattito sulla musica polverati che quelli che hanno le macchine pulite non si vogliono fermare, sembrano tutti capelloni coi capelli grigi, protagonisti di uno scherzo generazionale. Parecchi non hanno più i bagagli, perché almeno i luoghi comuni sul furto Napoli non li ha voluti smentire. Tutti gli altri, però, li ha smenti ti: la popolazione delle risse allo stadio affamata di dibattiti, la popolazione delle canzonette che ha tributato il massimo degli applausi a Tony Esposito e Napoli centrale, musicisti e non canzonettari. La popolazione del gallismo che non ha osato un solo complimento pesante sui seni nudi delle ragazze al mare. La popolazione dei dieci figli per fa. miglia che andava allo stand delle femministe a ritirare pillole anticoncezionali, a farsi spiegare come si usa la spirale, a discutere dell'aborto. La popolazione del sottosviluppo che riaffermava la sua cuitura e la sua tradizione trascinando tutti in una gigantesca tarantella. •
Intervista VivaMarx, vivaLeninv,iva ArchieShepp Pòlltica è musica e musica è politica: s'intende, questo è vero solo per i neri. Archie Shepp lo racconta con orgoglio a Muzak: « Un sassofonista nero e quindi malpagato non va a chiedere al suo boss un aumento di stipendio, non lotta per sé, ma quando canta e suona, esprime tutti i contenuti della sua lotta politica ». Il calderone musicale proposto nei festival di questa estate impone una riflessione sui tempi e le modalità in cui bisogna avviare un discorso sulla gestione culturale. Ci domandiamo, infatti, che senso può avere organizzare dei festival con musicisti di ogni specie senza un minimo di chiarimento sugli indirizzi e sulle tendenze, senza qualificare culturalmente quello che viene offerto ad un pubblico che pitt è di massa più allontana l'agghiacciante asetticità degli ' addetti ai lavori '. Al festival 'Umbria jazz', in questo pressapochismo della gestione culturale, un musicista, soprattutto, ha avuto un successo chiaro ed inequivocabile: Archie Shepp, che non a caso è uno dei musicisti più lucidi e consapevoli del ruolo sociale e culturale della musicista afroamericana. « Il jazz è uno dei più significativi contributi sociali ed estetici dell'America. Certi la accettano per ciò che è: un contributo significativo, profondo, per l'America in quanto è contro la guerra; contro quella del Vietnam; perché è per Cuba, è per la liberazione di tutti i popoli. E' questa la natura del jazz. Senza andare a cercare molto lontano. Perché? Perché il jazz è una musica nata essa stessa dall'oppressione, è nata dall'asservimento del mio popolo». Archie Shepp Shepp è certamente uno dei musicisti più discussi tra i jazzisti dell'ultima leva e soprattutto per una aspetto, le cui implicazioni ci riportano ad un dibattito di ben più ampia portata; quello dei rapporti tra musica e politica. Shepp, infatti, superando quella conflittualità che rimane tuttora uno dei grossi e irrisolti problemi della cultura occidentale, ha sempre creato un linguaggio musicale che è la 12 diretta emanazione di una personalità nella quale la coscienza dei problemi sociali e poli tici si fonde senza pretestuose fratture, con la visione globale del ruolo e della funzione dell'arte. In una sola parola la musica di Shepp si fonda su un' « ideologia ». Ma, come sottolinea lui stesso nell'intervista, a differenza della tradizione culturale occidentale, in cui arte e politica hanno vissuto sempre, o quasi, in zone nettamente separate, il mondo spirituale afro-americano ha sempre posseduto questa visione unitaria, e per comprendere le motivazioni di questa connessione, è sufficiente leggere la storia del popolo nero negli Stati Uniti. Ma se la « consapevolezza », in quel senso unitario che gli abbiamo dato, è sempre esistita nella Musica Nera, lo è stata spesso in modo latente, a volte addirittura istintivo. Il merito di Shepp è, invece, quello di avere, in linea con il movimento politico afro-americano, isolato ed « ideologizzato » la sofferenza e I'istinto alla ribellione che il popolo nero ha espresso in reazione allo schiavismo prima e allo sfruttamento classista e razzista poi. Non a caso, quindi, la tematica di Shepp coincide in gran parte con quella del movimento afro-americano degli anni '60. Le sue opere più famose ed importanti sono esplicitamente dedicate ai grandi leaders di colore, oppure all'Africa, oppure al recupero in chiave moderna di vari aspetti della tradizione culturale afro-americana, o infine sono state delle provocazioni stridenti e rabbiose tout court, ma anche qui le implicazioni po· litiche sono altrettanto evidenti. All'Umbria Jazz Festival, Shepp ha lasciato perplessi molti dei suoi più prevenuti e accaniti detrattori, ( coloro cioè che inorridiscono a sentir parlare di ingerenza della politica nel- ]' arte), suonando in modo profondo e suggestivo, spostando l'ago della sua bilancia espressiva più sul terreno del recupero storicopoetico della tradizione, che non su quello della provocazione. Interessati ai risvolti di questa ulteriore evoluzione di Shepp, ( non involuzione come qualcuno ha voluto suggerire) abbiamo voluto incontrarlo e il risultato di questo colloquio ha confermato la straordinaria lucidità di un musicista come pochi è pienamente consapevole del contesto in cui l'attività musicale deve essere inquadrata per svolgere la sua funzione di impegno. D - Si è molto discusso sul rapporto tra linguaggio musicale e contenuti politici che è sempre emerso dalla tua musica. Qual è la tua posizione attuale? R - Sono certamente d'accordo sul fatto che nella « Black Music » ci sia un rilevante numero di implicazioni politiche e ovviamente questo non è cominciato con me, ma è storicamente preesistente. Se noi torniamo indietro agli Spirituals afro-americani, possiamo vedere che molti di questi come « Singin'with a sword in my hand », « Nobody knows the trouble I've senn » e tantissimi altri, sono originali, creati dalla gente nera e sono stati i primi canti di protesta politica. Essi coglievano la sofferenza e l'agonia del popolo, ma ne mostravano anche la capacità di affermazione e la volontà di superare l'oppressione. Quella che viene chiamata musica jazz nasce precisamente da questo. D - Non pensi quindi che ci sia un conflitto tra il linguaggio musicale e quelpolitico? R - Non credo che ci sia mai stato un conflitto del
genere nella musica della mia gente. Basta leggere i vecchi Spirituals che la gen• te cantava quando era schiava e che veramente hanno espresso i contenuti della lotta politica. Pensa a persone come Nat Turner, che era un predicatore e usava costantemente la musica, accoppiata ad una grande sen· sibilità poetica, per far prendere coscienza alla gente, facendole rifiutare le condizioni in cui viveva. D • I tuoi ultimi concerti sono differenti da quelli di qualche tempo fa. Ora inizi con un pezzo aggressivo, free, per poi ripercorrere le tappe fondamentali della storia del jazz, con citazioni e allusioni di vario genere. C'è una motivazione a questa struttura del tuo concerto? R • Certamente. Credo che la storia, e quindi la tradizione, sia sempre importan• te. Marx ed Engels ad esempio. Engels, ha fatto un gran numero di studi su quello Archle Shepp che lui chiamava « comunismo primitivo », e cioè una analisi delle prime società che praticavano il socialismo. E Marx in questa stes· sa direzione, razionalizzò le prime forme di società. Il punto è definire le connessioni tra quello che esiste ora e quello che esisteva prima, perché il materialismo dialettico significa sem· plicemente che le due cose non lottano tra di loro, ma fanno parte di un processo dinamico. Ad esempio nella poesia esiste il sonetto che è una for. ma poetica abbastanza rigida, ma molta poesia meravigliosa è stata fatta in que• sto modo, e non per questo Shakespeare o i poeti italiani che l'hanno usata sono meno validi di Eliot o di Withman che invece hanno seritto in verso libero. E anche Picasso; prima ha fatto « Guernica » che era il suo lavoro più rivoluzionario, ma spesso s1 tuffava nel passato, nell'arte classica, al fine di affina· re i suoi strumenti, per migliorare la sua produzione artistica. Secondo me questo è l'uso più funzionale e rivoluzionario che si può fare della tradizione. Ho Chi Min era un poeta, Mao è un poeta, e hanno molta familiarità con gli afori• smi confuciani Conoscevano molto bene la loro cultura classica ma non la rigettavano, e per questo riuscivano a conquistare il rispetto della vecchia gente e ad impressionare l'imma• ginazione dei più giovani. 13 D .. Qual'è la posizione di un musicista "impegnato" oggi in America? R .. Come musicisti siamo impegnati più per le implicazioni che per la formazione attiva di associazioni po• litiche che combattano siste• maticamente la nostra op• pressione. E' molto difficile che un pianista o un sassofonista vada dal suo boss a dirgli che è pagato male e che non è d'accordo perché si rende conto di lavorare in condizioni di oppressione e di sfruttamento senza che quello reagisca violentemente. E quindi è molto difficile per noi lottare per otte• nere migliori condizioni di lavoro, specialmente per quanto riguarda la gente di colore, dato che essenzialmente non abbiamo potere economico per combattere il capitalismo. D. • E' possibile m America che tu abbia lo stesso successo che hai avuto qui in Italia? R. • No, è impossibile, l'A· merica è troppo razzista! D • Ma il successo che riscuoti in Europa può esserti utile per l'America? R • Credo che sia utile in tutti i sensi. Anche al fe. stivai di Montreux abbiamo avuto un grandissimo consenso, ma qui è stato anco· ra maggiore, anche per come è stato organizzato il festival, trattandosi di una manife- ➔
stazione gratuita, rivolta a grandi masse di pubblico. Queste cose non succedono mai negli USA, dove la tendenza è, al contrario, di alzare sempre più i prezzi, mentre i musicisti lavorano in condizioni ridicole, senza la minima assistenza; ma questo fa parte dell'intera condizione razziale che riguarda la gente nera. D - Non a caso il "free jazz" ha avuto successo più in Europa che in America? R - Si, e non solo quello che tu chiami "free jazz", al quale peraltro non mi sento necessariamente legato. Credo, infatti, che sia un termine restrittivo perché crea una divisione tra i musicisti che fanno questo tipo di musica e quello che ha fatto la vecchia generazione. E non è quello che vogliamo perché il marxismo ci insegna che dobbiamo organizzare masse di gente in relazione ai loro interessi di classe e non dei singoli gruppi. D - Nelle tue opere passate è sempre stato molto forte il potere evocativo della figura di Malcom X. Ha ancora valore per te oggi? R - Si, io penso spesso a Martin Luther King, Malcom X, Medgar Evers e John Coltrane, allo stesso modo soprattutto perché erano contemporanei e ognuno si è occupato della realtà dei neri in USA da una prospettiva differente e ognuno di questi ha avuto un'incredibile influenza sulla generazione di oggi. D - Quali sono secondo te i personaggi più importanti della cultura nera, storicamente? R - Io non vedo la storia in un modo così empirico, come una serie di fatti in successione. Non credo che si possa identificare un individuo come la figura più importante. Penso che dobbiamo vedere le cose in una prospettiva più generale. Potrei dire Blind Lemon Jefferson, Leadbelly, che per me sono importanti come Charlie Parker o Mahalia Jackson. Sono tutti importanti culturalmente, persino Stevie Wonder. D - Visto che ora stat insegnando in una università americana, puoi chiarirci quale tipo di ruolo può assumere un musicista nero in relazione all'insegnamento? R - Un ruolo che può avere grandi ripercussioni. Quando io ho cominciato ad insegnare la prima voi ta nel '62 a N.Y., avevo portato con me un certo numero di fotografie di Nkwanah Nkrumah, di Carlo Marx ecc..., e le avevo attaccate al muro. L'assistente principale dell'università le ha viste e ha. detto: « Mr. Shepp, pensò che dobbiate togliere queste fotografie ». Allora smisi di insegnare, pensando che la scuola non era un posto per me e fortunatamente grazie a John Coltrane riuscii ad ottenere un contratto discografico, e cominciai a dedicarmi esclusivamente alla musica. Poi, nel '69, ho ricominciato ad insegnare nell'università di Buffalo e poi in quella del Massachussets, con programmi di cultura nera, e continuo ancora oggi, e credo che sia una cosa molto positiva. Credo che insegnare, specialmente in un paese borghese, possa essere molto frustrante, ma anche molto esaltante perché mi coinvolge in un modo che non è in contrasto con la musica che suono dato che essenzialmente 14 mi fa essere in dialettica con la gente. D - Sei d'accordo con la tesi di Frank Kofsky secondo la quale i musicisti neri sono praticamente colonizzati dallo "show business" americano? R - Sono d'accordo, anche se questa tesi può essere una eccessiva semplificazione del problema. C'è del vero, comunque; c'è sempre stato un tentativo sistematico di colonizzare i musicisti, di appropriarsi del loro lavoro per mantenere le condizioni di sfruttamento. In America, non pubblicherebbero mai che 30.000 persone erano riunite per un concerto come è successo qui a Perugia. Loro nascondono il vero, non vogliono che la gente sappia queste cose. Se chiedi ai discografici dei soldi per il tuo lavoro, ti rispondono che il jazz non vende, se non nelle comunità nere; tu sei un grande musicista, ti dicono, ma col jazz non si fanno soldi. Ed è logico, quindi, che molti musicisti cambino il loro stile per fare più soldi, e io non posso criticarli per questo; è il sistema che va criticato. D - Credi che sia questa la ragione principale del fenomeno di avvicinamento di tutti gli stili in un genere unico che potremmo definire musica contemporanea? R - Penso che in gran parte sia un'operazione economica. Tu capisci qual è il modo di fare più soldi e poiché ne hai bisogno cambi il modo di suonare. -Bisogna sempre tenere conto di questi problemi quando si analizzano i fatti musicali. Negli anni '40, per esempio, c'era una speciale tassa per i locali. Era il periodo dello swing, e la musica era essenzialmente da ballo. Era il momento di Count Basie, Billie Holiday, Lester Young ecc...; ma durante la seconda guerra mondiale resero impossibile ai locali di ingaggiare i cantanti o le big bands perché dovevano pagare una tassa enorme in ogni club dove si ballava, e allora esce fuori gente come Parker e Gillespie che lavoravano in grandi orchestre e che si spezzarono in piccoli gruppi, e la gente veniva ma non ballava, e cosl hai quello che fu chiamato "bebop", che è realmente una musica da "ascoltare" e non da ballare. Questo è praticamente dialettico, ed è l'opposto delle storie che la gente racconta in genere. Esiste sempre una ragione economica. D - Cosa ha significato per te l'esperienza dell'Africa? R - E' molto difficile spiegarlo con le parole. Molti neri americani sono rivolti ali'Africa. D - Come Marcus Garvey? R - Non solo come lui. Credo che Mr. Garbey abbia guardato all'Africa in modo molto sistematico, nel senso di ristabilire una patria e una base economica, anche perché ha capito che diffiçilmente noi potremo avere una base economica negli USA. lo penso che il ritorno all'Africa abbia molte implicazioni di tipo spirituale per il popolo nero. Devi capire che noi siamo stati rubati alla nostra patria, non siamo venuti negli Stati Uniti volontariamente, come molti emigranti europei in cerca di una vita migliore. Noi siamo stati venduti come schiavi, abbiamo perso i nostri nomi e la conoscenza dei nostri esseri originari, e se si eccettua la musica, che io credo venga a noi direttamente dall'Africa, non saremmo sopravvissuti, saremmo stati decimati come gli indiani d'America o gli aborigeni australiani, oppure saremmo stati completamente assimilati come è successo ai neri in alcune zone del sud-america. Ma non è successo né l'uno né l'altro. Siamo cresciuti come popolazione e abbiamo rifiutato di essere assimilati. Noi siamo Neri Americani. a cura di Gino Castaldo
Concerti E'morto ilpop vivailjazz Pescara, Perugia, Alassio, Viareggio, Napoli. Decine di appuntamenti musicali dell'estate appena trascorsa che hanno dato l'impressione di un fenomeno nuovo e inusuale per noi. Chi giurava sull'immortalità del pop, e chi sperava nel permanere in grazia aris tocratica del jazz è stato smentito clamorosamente e per fortuna. Ora questi piangono e, come tutti i reazionari, sono tanto miopi da non capire le ragioni nuove e confortanti di questa adesione massiccia al jazz, e anzi non se lo chiedono nemmeno. Vediamo: il festival jazz di Pescara subisce lo stesso trattamento dei concerti pop. Scontri, tentativi di sfondamento, il solito discorso fra l'ambiguità del « riprendiamoci la musica » e il bisogno reale di « autogestione della cultura ». Umbria-jazz va sull'orlo del collasso per non aver previsto un pubblico quantitativamente molto più numeroso e, dunque, qualitativamente diverso. Alassio: gli organizzatori rendendo il festival gratuito dimostrando d'aver capito da che parte tira il vento. Viareggio e Napoli, pur nella diversità, come simboli dell'interesse tutto nuovo (e tendenzialmente positivo) che le organizzazioni politiche della sinistra di classe hanno maturato individuando una strada per far della musica un concreto momento di lotta. E' il jazz che s'imbastardisce, come qualcuno da anni cassandramente protesta? O il pubblico giovanile che si è raffinato, come dice chi non vuol proprio capire nulla? O il pop che è morto, lasciando orfani decine e decine di migliaia di giovani? In parte. In realtà il processo intervenuto è, probabilmente, sommatoria di più fattori concorrenti. Da una parte, è indubbio, il pop boccheggia incapace di rinnovarsi, ma in15 capace anche di trovare la strada vecchia percorsa con tanta fortuna per quasi dieci anni, la strada della «musica di movimento». Il pop non è, dunque, tanto stilisticamente morto, quanto è politicamente morto, o almeno agonizzante. Per una fatalità che coglie anche loro alla sprovvista, comincia a essere vero quello che i critici reazionari e qualunquisti vanno da tanto cianciando, non essendoci rapporto fra musica e politica. Cioè questo rapporto non c'è più, o rischia di non esserci più nemmeno fra molto tempo. La storia recente dei concerti pop ne è prOV!\più che decisiva. Nati come momenti per stare insieme con una musica in cui riconoscersi all'indomani del '68, a poco a poco, per inveç:chiamento ma anche per accumulo di frustrazioni (una festa non fa socialismo, e non fa nemmeno cadere tutte le carriere che nel quotidiano ci dividono), i giovani sentono il bisogno 'df riproporre la carica alternativa del pop nella critica (violenta) alla gestione di questo fenomeno: nasC!e cosl un movimento di contestazione che, anche. se egemonizzato per un po' da qualche gruppetto radical-freak, è in realtà spontaneo o, comunque, risponde a esigenze confuse ma reali: continuare a illudersi che esista veramente la «nostra cultura ». Illusione tanto più sbagliata, quanto più nel movimento « pop » cominciano a confluire elementi non più studenteschi e di estrazione piccolo-borghese, ma figli di operai, sottoproletariato, apprendisti, disoccupati giovani, studenti di istituti tecnici. Non siamo in America e, per fortuna, l'egemonia su una ribellione di sinistra non può essere lasciata ad un piccolo gruppo radical-progressista. E dunque scoppia una vera e propria guerra dei concerti, che piano piano, si trasforma in una critica oggettiva, violenta e giusta alla organizzazione della cultura. Di qui il primo elemento: il pop in sé, come musica (o come si dice: « socializzazione ») non è più in grado di soddisfare i bisogni del pubblico nuovo, ma neanche del pubblico vecchio, la cui esigenza di rappòrti più veri si afferma e trova sbocchi anche in altre situazioni. Si apre, a questo punto, il periodo, certo ancora non chiuso, delle « feste », momenti cioè in cui il dato culturale non è più fornito da una o un'altra musica, ma dalla voglia di creare, nel momento stesso in cui ci si trova insieme, germi di nuova cultura. Una cultura intesa, è chiaro, nel senso più vasto del termine, in senso, come si dice, antropologico: è cioè cultura il rapporto che ognuno stabilisce con gli altri, i mezzi e i metodi di questa socializzazione, la capacità creativa del singolo, e si può essere creativi anche facendo l'amore o parlando con un compagno. Le feste, con tutte le ambiguità che le hanno caratterizzate finora, svelano questa nostra tendenza di superamento del ghetto, di volontà di nuova comunicazione. Il dato « artistico », dunque, è in secondo piano, non tanto perché basta stare insieme (siamo ancora lontani dalla libera esplicazione di autonoma creatività), ma ..
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