Manipolazione E'leggera: pesaalcuni miliardi Il 45 giri si prende la rivincita, complice la Rai e la sua non politica di gestione della cultura: ma la colpa non è solo della pigrizia. Due sapienti « passaggi » in Tv valgono 50.000 ... Segno di macroscopica involuzione, il 45 giri è pienamente ritornato in auge con il goliardico trionfalismo che gli è tipico e dilaga nel paese ricordandoci quale spaventosa e torbida macchina per far soldi sia stato in un passato non molto lontano. E siamo di fronte, ancora una volta, ad un clamoroso « boom » di questo fatisciente prodotto, che molti davano per spacciato, talmente invecchiato da aver perso quella patina di giovanilismo che sembrava avere definitivamente assunto. Sono tornate quelle vendite da capogiro che avevano fatto del 45 giri il simbolo di un'epoca n'la questa volta, se di simbolo si può parlare, il « boom » ha caratteristiche completamente differenti. Il revival, infatti, è la rivincita degli adulti piccolo-borghesi sullo strapotere che i teenagers hanno detenuto per molti anni, per poi dedicarsi a tutte altre cose o, se non altro, all'ascolro più qualificato ed esperto richiesto dal 33 giri. Ed è proprio questo esercito di ideologhi repressi e di professionisti della frustrazione che è il ceto medio a sorreggere, col massiccio appoggio dei bambini, questo revival. Costoro, dopo aver subito per anni l'incontrollabile ventata del pop, hanno voluto a loro modo rumoreggiare, farsi notare, esigere un riconoscimento al proprio gusto; in ultima analisi hanno voluto rivendicare il loro essere « mercato» (dato che qualcuno se l'era dimenticato). E l'anno fatto quando si sono accorti che il mercato discografico aveva da tempo perso ogni tipo di configurazione qualitativa e sociologica ed era, in un certo senso, campo libero; libera preda di chi volesse, nello anonimato, dare una sua impronta ad uno dei « lussi di comunicazione di massa » più incidenti e diffusi. Pertanto, nostro malgrado, dobbiamo ricordare con nostalgia i tempi in cui qualche cima alla nostra hit-parade, e volta i Beatles arrivavano in poi, in fondo, diciamolo pure, persino le « lacrime sul viso » di Bobby Solo erano meno offensive dei reazionari piagnistei dei Modugno di oggi. Non che le classifiche di vendita siano mai state degli esempi particolarmente fulgidi di intelligenza e di gusto, ma è sufficiente un rapido sguardo a quelle attuali per capire a quale livello abissalmente profondo di idiozia siamo arrivati. A parte il caso del tutto (lo speriamo) eccezionale di Modugno, data la totale mancanza cli rinnovamento nel campo della canzone molti vecchi idoli, (Mina, Celentano, Al Bano) invece cli essere stati definitivamente messi in pensione, continuano a collezionare successi, confortati dallo squallore circostante. Altro segno quanto mai caratteristico è l'incredibile quanto deprimente successo dei pezzi orchestrali dovuti sia ad orchestre più o meno fantasma sia a jazzisti in cerca di più facili guadagni. Trionfano anche i più anonimi complessi all'italiana, praticamente indi- • stinguibili uno dall'altro, e anche qui, non a caso, le vecchie glorie (Equipe 84, Pooh, Camaleonti, ecc ... ) continuano a prosperare. Persino un sepolto e dimenticato come Mal ha potuto, in quesro contesto, arrivare alle più ragguardevoli vette della classi fica dei 4 5 giri. Niente cli strano, considerando tutto il resto. Nè questa anonima invasione eia maggioranza silenziosa si limita al disco di piccolo formato; anche il mercato degli LP, con qualche sfumatura in meno, segue il destino del suo fratello minore. Trionfano, in sostanza, le canzoni ferocemente all'antica e la musica cli sotrofondo e il tutto con vendite cli centinaia di migliaia di copie. E torna di attualità, con una rilevanza forse inedita, la questione del malcostume musicale italiano. Malcostu8 me nel quale, per ovvi motivi, le case discografiche hanno sempre attinto le fette più cospicue dei loro introiti, assumendosi una grossa parte delle responsabilità di questa situazione. Ma le case discografiche hanno solo il torto di essere inseri te in un sistema economico basato sul profitto e la competitività produttiva, e di ragionare m conseguenza. Ben più gravi responsabilità, come al solito, devono essere addebitate alle istituzioni che avallano e diffondono quelle scelte che, avendo come unica giustificazione la legge del profitto, esaltano gli aspetti più deteriori della sottocultura canzonettistica. Stiamo parlando della RAITV ovviamente, che è il più importante sbocco promozionale della produzione discografica. In questo senso si può dire che l'ente radiotelevisivo sia un portavoce diretto degli interessi speculativi dell'industria della canzone, perpetuando anche in questo caso quell'equivoco di fondo che è il concetto basi lare delle scelte culturali della RAITV. L'errore, cioè, di considerare gli utenti come una massa informe dai gusti palesemente rozzi e qualunquisti, che però si ha il dovere di accontentare incondizionatamente, salvo quelle fasce orarie emarginate dal grande ascolto, in cui per quei pochi ascoltatori di buona volontà si tenta (malamente) un discorso di informazione e di educazione. A monte, quindi, c'è la più totale sfiducia (che in fondo significa mancanza di rispetto) nei confronti del pubblico, la cui immagine, distorta dai sondaggi di gradimento e dalla pessima gestione politica dell'ente, serve da alibi alla propaganda dell'idiozia. E in questo la Rai è perfettamente allineata con quel generale distacco che si sta sempre più verificando tra masse e istituzioni pubbliche. Nè ci si può appellare in qualche modo agli sforzi individuali che in molti casi vengono portati a-
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