Muzak - anno III - n.05 - settembre 1975

La letteratura, si sa, non è più molto vivace. Si fanno libri tipo Bevilacqua e si è consideraci di buongusto se si apprezza Pavese. E, sopranutco, ai detentori borghesi del potere non piace il movimento e l'intelligenza. Eccosl essi si affannano a trasmetterci in TV, cinema e libri masse di idiozie, di cretinerie e, fondamentalmente, di falsi grossolani. E' di quest'anno il centenario di Thomas Mann: e non è un caso che nessuno, dalla scuola alla TV all'editoria, se ne ricordi. Eppure in passato fin troppo è stato saccheggiato e quasi sempre stuprato concronacura. Dalla tv innanzitutto. Che ha dato una versione dei Buddenbrook da allontanare definitivamente chiunque dal romanzo manniano. Solo in via Teulada, infatti, possono credere che il senso di uno dei più puntuali romanzi del nostro secolo sia la scenografia accurata e qualche melensaggine da fumetto sulla riva del mare. Eppoi dal cinema, da quel divertente regista che è Visconti, il quale da buon servo sciocco confonde la critica manniana della borghesia e dall'incelletcuale con il decadentismo dannunziano. Ne risulta, a veder il Mann di Visconti, che, infondo infondo, la borghesia monopolistica tedesca del primo novecento se la spassava e, invece di trucidare operai e dirigenti rivoluzionari, si dedicava a gioiosi giocheni sessuali scoprendo (finalmente!) l'importanza dell'incesto e (pietà!) le delizie dell'omosessualità militare. In realtà, a ben guardare e buon leggere, Mann è tut· t'altra cosa. E', da una parte, il rispecchiamento delle ansie, dei mutamenti, dei movimenti e delle sclerosi della Germania prebellica, d'altra parte, un narratore di limpidità e godibilità rare. Può anche essere banale, ma è indubbio che autori in cui si trovino ambedue le cose soLibri LaMannaia dellaborghesia Thomas Mann no ormai persi. Forse ancora la Morante o Marquez hanno questa doppia capacità: non dire idiozie a far intendere realtà e farlo bene (cioè, se c'intendiamo, non come Nanni Balestrini). Thomas Mann, dunque, e non tanto quella della « vessata» Morte a Venezia (che bel racconcino rovinato e ormai irrecuperabile!) quanto molto più quello dei grandi romanzi. Dove la letteratura diventa vero e proprio impegno civile nel dare conto della propria epoca, artistico nello scandire conceni e descrizioni con la naturalità del vivere quotidiano. Quindi i Buddenbrook (insisto: non quelli televisivi) enorme affresco di una società e di una generazione, punto di partenza indispensabile di ogni impegno lenerario, motivo di studio, riflessione e godimento. Tonio Kroger la cui agilità (un'onantina di pagine) non inficia la pregnanza del messaggio e non turba il garbato scorrere del racconto. O il Doctor Faustus e la Montagna incantata, la tetralogia di Giuseppe. E decine di racconci, novelle, saggeni. Comprese quelle Considerazioni di un impolitico che non sono l'autobiografia dell'.onorevole Moro ma il punto critico su un impegno che ha avuto modi diversi e straordinariamente efficaci di esprimersi. Mann è, come gran parte dei migliori intellenuali tedeschi di quel periodo, il simbolo stesso della cultura che rifiuta il nazismo e la rozzezza aculturale del fascismo, non in nome di un'arte ascrana ma proprio in difesa degli uomini e della cultura come « struttura di servizio ». Se è vero, come la nostra società di massa dimostra, che quasi nessun autore riesce a produrre due «capolavori» è anche vero che Mann lavora i suoi romanzi scindendo la sua complessità e dando in ognuno la sua visione di un problema particolare. Cosi, se Tonio Kroger è un'opera di grande filosofia della vita, la politica (nel senso di critica della borghesia, e della borghesia tedesca madre del nazismo hi cleriano) è il nocciolo dei Buddenbrook, l'arte (nelle sue molteplici relazioni con il vissuto quotidiano) si svela nel Doctor Faustus. Non c'è contraddizione e decadenza, in Mann. Non c'è soprattutto viscontismo. Egli sa benissimo quale è la parte che la borghesia gioca e sa altrettanto bene quale è il ruolo dell'incellectuale in questo gioco, quale la sua possibilità di districarsi ed essere, finalmente, « eversi~ • vo », cioè diverso senza essesere assente o chiuso in una corre d'avorio. La produzione manniana è tutta interna • a un'ottica di rinnovamento: non riceve affatto le peggiori sollecitazioni del realismo, ma ne esprime (nel rispecchiare il sociale) la migliore e progressiva vena. Che senso ha rileggere oggi Mann? Ci presteremo pure noi a queste operazioni ambigue di revival in occasione di centenari e simili? Probabilmente no, se riusciamo a stabilire che Mann è un precursore di una visione che è nostra, di una comune coscienza, di un modo di far letteratura nuovo, cr~acivo, utile non obsolescente. Non moda culturale ma cultura. E del resto se moda culturale Mann è, in qualche modo, divenuto, la colpa non è sua. Ma, sempre per non parlare male di nessuno, di Visconti e i visconciani: di quelli che credono di vedere in Mann il cantore della decadenza tedesca, una sorca di Richard Strauss della letteratura, senza coglierne, invece, la lucidità intellettuale e politica, l'impegno senza compromessi. Ma si sa, la nostra pseudo-cultura si fonda su Pasolini, Bevilacqua e Giorgio Bocca: vi pare che si accontenterebbe di un tedesco emigrato che, detto fra noi, non vestiva nemmeno alla marinara? G.P.

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