Controcitta, Quinonsi folkstudipaiu, Ci sono passati Bob Dylan, Ravi Shancar, oggi è un po' snobbato dai grossi nomi suggestionati dallo strapotere dei mass media. Situazione A: scende le scalette del locale e si presenta al gestore un ragazzo con i capelli lunghi, forse un po' fumato, parla inglese ma male forse è olandese, si porta a~presso la custodia della chitarra e lo _zaino, è di passaggio a Roma e chiede di poter suonare. La risposta è naturalmente sì, il palco, a chiunque faccia musica, non si nega mai. Situazione B: il palcoscenico è fittissimo, c'è una session o una rassegna di nuovi cantautori, ci sono solo due spettatori paganti, ma non importa, si va avanti per due ore, lo spettacolo ha le sue regole. Di queste cose è fatta la vita e la ragion d'essere del Folkstudio. Nato nel 1960 dall'incontro di musicanti e musicologi, portò in I talia e a Roma musica mai sentita prima, gospels e spirituals, canti degli hillybilly e musica country, divenne il luogo di incontro degli spostati, dei diversi di allora, sulla sua pedana passarono personaggi leggendari allora sconosciuti o conosciuti da un pubblico d'élite: passò Pece Seeger, passò Ravi Shankar, passo Bob Dylan che suonò davanti a trenta persone e che fu giudicato, unanimamente, un confusionario e, tutto sommato, un mediocre esecutore. Ne parlarono i giornali, Time parlò di Harlem a Roma, ne parlò Newvsweek, il Messaggero dedicò una terza pagina al « primo locale underground ». Il locale era sempre pieno, il pubblico era molto bene, era di moda andarci, la musica era ancora soltanto musica, la cultura era ancora quella buona vecchia cultura, data dall'addizione aritmetica dei brani e degli esecutori sentiti. Gli anni passarono e molto cambiò. Pian piano vennero fuori i nuovi spostati si affacciarono una tal Marini con le sue ballate, un certo Della Mea con le sue storie milanesi, tutti guardati a vista per le loro pericolose idee politiche, cominciarono le rassegne di musica popolare, Balistreri, Busacca, Infantino, vennero i Pastori di Orgosolo. Fu cominciato un lavoro verso i giovani del Folkstudio Giovani happening domenicale dove poteva suonare chiunque avesse scritto canzoni e voleva farle sentire. I giovani di allora si chiamavano Francesco e Antonello, solo più tardi sarebbero diventati De Gregori e Venditti. Il Folkstudio continuava a essere una palestra aperta a qualsiasi forma e discorso musicale, terreno reale di conIl Folk studio, a destra Mario Fales CIUB di MISICfl&lllllllSfttj tt' IITEIUIIOl&lE A~}- Ull - ·DRAlllU fDlHSJUDII fronto tra cantanti e pubblico, si canta a due metri dallo spettatore, lo si vede sbadigliare gli si legge in faccia la noia o l'interesse, ci si discute insieme dopo lo spettacolo. Ma spesso il pubblico è stanco o distratto, non è abituato all'ascolto attento, preferisce la radio mentre legge il giornale o il concerto pop mentre si fa una passeggiata e beve una coca. Nel 74-75 il Folkstudio ha avuto 6000 tessere e 15 mila presenze, il che vuol dire che la gente viene una, due volte e poi non più, non segue il discorso culturale nella programmazione organica degli spettacoli, non vede la musica come qualcosa da fruire continuativamente nelle sue espressioni buone e mediocri, in questo aderendo una volta di più ai meccanismi commerciali, in definitiva non riesce o non vuole spezzare il rapporto passivo con il palco, non riesce a togliere il carisma all'artista. Agli stessi cantanti non interessa più cantare al Folkstudio, con fa. tica molto minore possono guadagnare ~ifre folli, illudendosi di p_arlarea un pubblico maggiore attraverso i mezzi di comunicazione di massa, non acorgendosi di quanto l'industria culturale li annacqua e livella. Il Folkstudio conosce così la sua crisi, non di incassi e di presenze, ma di idee e di vitalità culturale, il gestore attuale, Cesaroni, unico superstite del gruppo del '60, vuole chiudere, deluso dal pubblico e circondato dalle case discografiche che catturano cervelli e note. Verrà a mancare un'occasione forse irripetibile, uno spazio unico, per un discorso nuovo sulla musica, per un diverso rapporto tra chi suona e chi ascolta. Intanto, per cercare nuove forme al suo discorso alternativo, il Folkstudio ha iniziato a pubblicare, con etichetta omonima, una collana di dischi di regimazioni live in sala e di autori della nuova canzone che hanno suonato nel locale. E' l'inizio di un tentativo di una struttura autogestita che potrebbe diventare un polo di attrazione per tutti coloro che vogliono• liberarsi (e non solo a parole) dai Moloch discografici e dalle loro catene dorate nella speranza di provocare: nei giochi ineluttabili del mercato discografico, esodi sempre più consistenti, di aprire una sorta di « vertenza musica ». c.s.
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