« folk revival italiano»; pur porcando le loro premesse di ricostruzione degli stili popolari forse più in là del necessario, ci hanno insegnato che non basta l'adesione esteriore (al testo, al « motivo ») per dare ad una canzone popolare il giusto senso, ma bisogna capirla dall'interno, a cominciare dalle sue relazioni con tutta la cultura di cui fa parte, e quindi anche dallo stile. Suonare « Lord Randall » con « Linguaggio bluesistico » può anche essere una trovata per un disco godibile. Ma è un ottimo sistema per tenere nascoste tutte le implicazioni storiche che ci sono dentro la canzone è che la rendono diversa (né migliore né peggiore, diversa) da una canzone dei Beatles allo stesso modo in cui il mondo delle « caves » di Liverpool è diverso (né migliore né peggiore, diverso) da quello dei braccianti calabresi. Indicazioni di complemento sia all'articolo sul « Testamento dell'avvelenato » che alla « Discografia del folk inglese» uscita a giugno: qualche disco di musica popolare inglese. Per prima cosa, indicherei una splendida serie di dischi di registrazioni su campo - cio, di esecuzioni direttamente fatte da condini, artigiani, operai, zingari, e altri musicisti tradizionali. Si traua dei J O dischi delle Folk 5ongs of Britain, editi dalla Topie Records (27, Nassington Road, Londra NW 1). In primo luogo, si tratta di una documentazione assolutamente completa, con le migliori registrazioni dei maggiori ricercatori della musica popolare inglese. Secondariamente, è un quadro integrale dei vari linguaggi musicali di tutto l'arcipelago britannico, comprese le zo. ne più fuori mano (tipo le isole Oreadi). Di alcune canzoni, per esempio, vengono date versioni a confronto, spesso in lingue diverse (inglese, gaelico). I dischi certo non sono di quelli che uno mette sul giradischi per relax, perché rischiano di essere noiosi (fra l'altro, la musica popolare inglese è quasi sempre solo vocale). Però, se uno li ascolta attentamente, la ricchezza di invenzione stilistica di queste voci senza accompagnamento è affascinante. Se uno deve fare una scelta, consiglierei i numeri 4 e 5 (sulle ballate narrative), il n. 9 (sulle canzoni rituali e cerimoniali, con belle registrazioni dal vivo di cerimonie tradizionali), e il n. 3, sulle canzoni di lavoro. Tutti i dischi contengono libreui con testi, note, discografie, bibliografie, ecc. Poi c'è un'altra serie che non .è di registrazioni originali, ma di canzoni popolari ricostruite con gran gusto (nel senso anche di godimento) ed intelligenza, sulla base dei modelli stilistici tradizionali. Si tratta di una serie che credo sia arrivata al 12° disco, incisa per la Argo da Ewan McColl e da Peggy Seeger, intitolata The Long Harvest. L'idea è eccellente: si prendono le più importanti canzoni narrative tradizionali e se ne meuono a confronto le varianti inglesi, scozzesi e americane (la Segger è una delle migliori cantanti di musica popolare americana). Le versioni sono così diverse le une dalle altre che il disco è vario, ricco. Fra l'altro, i linguaggi musicali americani, rappresentanti dal banjo e dalla chitarra di Peggy Seeger, ci sono relativamente più familiari e quindi più accessibili e quindi più accessibili al primo ascolto. Di Ewan McColl c'è una produzione sterminata. Io vorrei segnalare solo alcune cose che sono pietre miliari. Tbe New Briton Gazeue, inciso con Peggy Seeger ha il meglio della canzone politica e di protesta contemporanea inglese uscita dai movimenti di lotta per la pace degli anni '50- '60; è tutto da ascoltare per la energia, la vivacità e lo humour delle canzoni e degli interpreti. (Folkways FW 8732, anche qui con testi inclusi). 5team Whistle Ballads non dovrebbe mancare in nessuna discoteca seria: sono canzoni della rivoluzione industriale, le prime canzoni del folklore operaio inglese (e quindi europeo, dato che la rivoluzione industriale è cominciata ll). Se ci interessano le origini del capitalismo (cioè, sapere come è cominciata la società in cui viviamo), vale la pena di ascoltarlo (Topic 12Tl04). E vale la pena di sentire anche qualcuno dei dischi traui dalle cosiddette « radio ballads », le trasmissioni radiofoniche in cui McColl ha utilizzato le registrazioni su campo e canzoni nuove per illustrare specifici aspetti del mondo popolare inglese: sono un esempio di uso operativo della ricerca, e anche di teatro radiofonico di avanguardia. Tra tulle, direi forse The Big Hewer (Argo RG 538). Una serie di dischi della Topic, non di incisioni su campo ma di ricostruzione abbastanza ben curare e sempre molto ascoltabili, approfondisce il discorso sull'Inghilterra industriale. Il migliore è The lron Muse (Topic 12 T 86, resti inclusi), con canzoni di ferrovieri, minatori, tessili, dall'800 ad oggi; vale lo stesso discorso di 5team \'(lhistle Ballads. Un disco assolutamente incredibile è Tommy Armstrong of Tyneside, che presenta le canzoni, le poesie, i discorsi di uno straordinario poeta e cantore operaio della prima parte del '900, un Woody Guthrie delle miniere inglesi, sugli scioperi, i disastri, e sui fatti della vita quotidiana dei minatori, con grande concretezza e grandissimo senso dell'umorismo (Topic T 122, testi inclusi). E infine due dischi che riguardano straordinari cantanti e musicisti tradìzionali, legati alla tradizione dei cantanti itineranti scozzesi, qualcosa di mezzo tra gli zingari e i braccianti sragionali. Jean Robertson (Topic 12796) è tra le grandissime cantanti tradizionali di tutto il mondo, per stile e per qualità di voce; si ascolta religiosamente anche se non ha accompagnamento strumentale che la renda più « piacevole». E due dischi della famiglia Stewart: The 5tewart of Blair (12Tl38) e The Trave/ling 5tewart (12Tll9); una famiglia di braccianti sragionali scozzesi che fa musica con un piacere ed una bravura cali che danno un'idea, per una volta, tangibile di che cosa sia la musica popolare in mano ai suoi veri protagonisti. e
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==