Muzak - anno III - n.05 - settembre 1975

Folk Alservizio delpopolo britannico Sandro Portelli Un paio di numeri fa (a giugno), « Muzak » ha pubblicato una dettagliata discografia del « folk» inglese. Io vorrei adesso fare un discorso più ampio sia a proposito della musica popolare inglese che di alcune questioni di metodo e di definizione. Perché la cosa che più mi ha colpito è che in quella competente ed esauriente discografia non c'era un disco che fosse uno che riguardasse la musica popolare (che sarebbe poi ciò che in inglese si dice « folk music », ma che è evidentemente una cosa diversa da quello che in italiano chiamiamo « musica folk>/). Anzi c'era un atteggiamento un po' infastidito nei confronti di ciò che si definiva « folk ortodosso » ( è sempre bene essere infastiditi verso gli ortodossi), identificato in Ewan McColl e pochi altri - cioè in musicisti che studiano e ricreano la musica popolare in modo spesso assai importante, ma dall'esterno. Perché qui la questione è di capirsi. e per « folk » intendiamo un genere musicale, da affiancare negli scaffali delle nostre discoteche e jazz, beat, pop, rock, e cosl via, va tutto bene. Ma se invece intendiamo la musica popolare, quella che è prodotta usata e gestita dalle classi non egemoni delle società capitalistiche occidentali, ebbene allora i vari Pentangle, Incredibile tring Band, e anche Berr Jansch appartengono ad un'altro mondo culturale ed è bene non confondere le cose. Ora, diceva un certo Martin icolaus - tanto per cambiare, un sociologo americano - che l'unica legge sociologica che funziona sempre è questa: che gli oppressori studiano gli oppressi, per evi tare di dover guardare in faccia se stessi. Allora l'improvviso entusiasmo che da qualche tempo -a questa parte ha invaso mercati discografici e sale di spettacolo a proposito della musica « folk » credo che rientri anche un poco in questo fenomeno; che la crisi di valori che ha colpito la borghesia negli ultimi anni viene mascherata tirando fuori linfa e idee dalla cultura delle classi che la borghesia ha storicamente oppresso cd opprime tuttora. Però la «legge» di licolaus subisce una curiosa distorsione: e cioè che gli oppressori, oltre a non poter guardare in faccia se stessi, non possono neanche guardare direttamente in faccia gli oppressi perché l'immagine di sé che questi presentano è un'immagine aggressiva, non di comodo, non strumentalizzabile. Allora, se la culcura degli oppressi, quella vera, è difficilmente commestibile, bisogna farsene una inventata. Ed ecco allora il cosiddetto « folk,,. cultura di classe in pillole, e magari anche in pillole falsificate e nocive come 16 quelle di tanti farmaci in commercio - tipo cerri tranquillanti che infatti servono alla stessa cosa, a farci vedere il mondo un po' più in rosa di come non sia realmente. E magari, certo, è anche buona musica, perché se non fosse buona musica non funzionerebbe. E mostra anche inventività e fantasia - come si fa a inventarsi il mondo degli oppressi senza un minimo di inventività? La buona musica, l'inventività, la fantasia, sono tutte cose importanti e progressive - salvo che non cerchino di spacciarsi per quello che non sono, perché allora diventano inganno. Io adesso mi accorgo che ho fatto tanto di premessa che non resta poi moltissimo per parlare della musica popolare inglese. Ma vorrei dire subito che si tratta di musica importante - intendo dire quella dei contadini e degli operai inglesi (e scozzesi, gallesi, irlandesi) - perché ci spiega una infinità di cose sulle radici di noi stessi. Per questo va ascoltata e conosciuta come realmente è, senza intermediazioni e sostituzioni di persona, perché se no rischiamo di credere su noi stessi delle cose non vere. Per esempio. Nel 1500 pochi saggi costituivano il mondo europeo della cultura, si scambiavano dotte lettere in latino cominciavano a complottare la messa in crisi della cultura basata sull'autorità della tradizione. Ma contemporaneamente milioni e milioni di persone, in tutta Europa, cantavano la medesima, identica canzone: quella che in Inghilterra, e poi in America, è conosciuta col nome di « Lord Randall » e in Iralia si chiama « Il testamento dell'avvelenato». La testimonianza più antica di questa canzone infatti si ha proprio in Italia, in un testo della commedia dell'art. 1531; ma la sua presenza in Scozia fin da un'epoca anche anteriore è fuori di dubbio. Allo stesso modo come è fuori di dubbio che questa stessa canzone sia oggi, J 975, presente nelle borgate di Roma, dove me l'ha cantata un'immigrata calabrese che abita nella borgata di Casalotti, che la ricordava perché la cantavano al suo paese per la raccolta del tabacco. Come si spiega che questa canzone abbia avuto una diffusione nello spazio (dalla Calabria alla Louisiana) e una durata nel tempo (da almeno il 1500 ad oggi) cosl straordinaria? Si spiega appunto perché « Lord Randall » ovvero « Il testamento dell'avvelenato» non è quello che suol dirsi una « canzone folk », che magari può anche fare un bell'effetto sul giradischi se la arrangiamo un pochino. E' - come tutte le grandi canzoni popolari - materiale vivo di cultura, strumento di comunicazione e di identificazione. Analizziamola un momento. La canzone è divisa in due parti. Nella prima, Lord Randall torna a casa e raccomanda alla madre di rifargli il letto perché sta male; le domande della madre lo inducono a svelare che è stato avvelenato dalla fidanzata, che gli ha dato da mangiare anguille arrostite (o pesci fritti} avvelante. Qui siamo di fronte ad un conflitto archetipico tra l'autorità della famiglia di origine (sempre simboleggiata nelle canzoni popolari dalla madre, che nella famiglia tradizionale ha la funzione di educare e socializzare i figli) e la prospettiva della famiglia acquisita, quella della fidanzata. Il conflitto madre-fidanzata spesso è arricchito dal conflitto, generazionale, madre-figlio. li tradimento della fidanzata ( rafforzato dall'ovvio simbolo sessuale dell'anguilla velenosa) è dunque un'indicazione della necessità di difendere e mantenere unito il nucleo familiare, pietra fondamentale della società contadina. La parte seconda è forse ancora più interessante. Qui infatti, una volta accertato che il figlio sta morendo, la madre gli fa fare testamento, chiedendogli che cosa ha intenzione di lasciare ai vari membri della famiglia. E questo è il momento che rende la canzone uno strcmento fondamentale di socializzazione e di affermazione dei ruoli sociali: perché i doni che il giovane morente lascia in testamento sono, infallibilmente, doni che simboleggiano il destino sociale di ciascuno degli eredi. Al padre (o al futuro capofamiglia, che può essere anche un fratello), l'avvelenato lascia in genere il simbolo del potere economico - la casa, la terra. Al fratello lascia i simboli dello stato sociale - carrozza, cavalli. Le cose più interessanti vengono fuori quando si tratta delle componenti senza potere della famiglia. Ai fratelli minori e ai servi (praticamente sono la stessa cosa in società feudali basate sulla primogenitura e l'indivisibilità delle proprietà, come quella scozzese. pre-rinascimentale) lascia un'eredità da diseredati: le strade del mondo, « la strada d'ancia' a messa», la « scopa per scopare ». Alle sorelle sempre il medesimo dono: la dote per maritarle, perché non si prevede altro tuolo per la donna in una società contadina tradizionale. L'ambiguità esce fuori con la madre: in cerre varianti angloscozzesi, la madre mantiene il suo ruolo di simbolo della continuità, e riceve, per esempio, le chiavi del castello; ma una versione come quella calabrese che ho registrato a Casalotti è spietata nell'adattare il lascito alla condizione femminile dell'Italia del sud: e l'eredità della madre saranno « gli occhi per piangere».

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==