gnati nella riforma terriera e nella rivendicazione della terra usurpata dagli Americani sono stati altrettanto inflessibili dei loro compagni « non impegnati » nel respingere gli utopisti della rivoluzione politicizzata; per ora vorrei ricordare che New Buffalo fu fondata con l'idea di cercare, frugando nelle tradizione degli Indiani del SudOvest, un bandolo di saggezza da suggerire alla follia bianca contemporanea. Fu un poeta di New York, Max Minstein (uno dei fondatori, che più tardi si staccò da questa comune per andare a fondarne una politicizzata e rivoluzionaria), a scegliere questo nome, ispirandosi al bufalo, che per secoli aveva fornito alla civiltà preesistente a quella americana il cibo, l'abbigliamento, il combustibile e il riparo, vale a dire tutti gli elementi della vita integrata. In attesa di cattivarsi la fiducia degli Indiani la tribù visse nelle tepees, le tende usate dagli Indiani nei loro accampamenti e si nutrl di cibo tradizionale indiano (granoturco, fagioli, e quando capitava cervo lesso), andando ad attingere l'acqua ai torrenti e cucinando all'aperto; intanto coltivava a granoturco il suo terreno « liberato ». Quando il granoturco fu pronto per la mietitura, chiese agli Indiani del pueblo, villaggio vicino di celebrare l'avvenimento con la loro rituale danza della mietitura e in quell'occasione riusci a farsi insegnare la loro tecnica costruttiva. A questo punto i neo pionieri ebbero un elemento in più a disposizione per il loro programma di aiutare la terra a ristabilire il suo devastato equilibrio ecologico. Questo è stato infatti il progetto dei neo utopisti: l'idea era di « servire » la terra anziché « sfruttarla » come era avvenuto dall'avvento della agricoltura industriale in poi; e servire la terra significava appunto ricondurla alla sua ecologia originaria. Per questo non è giusto limitare i termini della loro proposta a una sfida neoromantica (contro la società urbana del1'asfalto) realizzata con il ritorno alla madreterra (di stampo Rousseauiano), come pensano i nostalgici quando parlano di uno sterile e antistorico « ritorno alla natura », e non è neanche giusto limitare il loro esperimento al tentativo di raggiungere un'autosufficienza economica secondo l'esempio delle comuni ottocentesche d'America. Si capisce che il primo problema contro il quale questa come le altre comuni ruraliecologiche, si trovarono a cozzare fu quello dell'autonomia dai ritrovati tecnologici; e si capisce che l'esperimento di tornare all'uso di macine, trattori a vapore, seghe a mano, e simili non offrl una soluzione possibile, ora che l'agricoltura, spinta 14 dalla necessità di una produzione intensiva di cibo tale da essere sufficiente a nutrire le masse di popolazione contemporanea, non poteva più fare a meno di attrezzature tecnologiche altamente specializzate e delle nuove metodologie basate sull'uso dei concimi chimici, sull'allevamento arri fidale del bestiame, sulle monoculture redditizie quanto ecologicamente distruttive, sui trattori motorizzati e inquinanti a tutti i livelli. Contro questa tecnqlogia enti-ecologica e inquinante gli utopisti delle comuni rurali hanno proposto il ricorno alla coltivazione organica (che esclude i concimi chimici), lo sfruttamento di ogni tratto di terreno, le coltivazioni a rotazione, l'uso di orti idroponici (nei quali piante e legumi vengono coltivati nell'acqua e non nella terra, in modo da assièurare la coltivazione anche delle zone in cui il terreno non è fertile), l'agricoltura tridimensionale (secondo la quale vengono coltivare diverse varietà di legumi in diversi strati del suolo senza che l'una varietà disturbi l'altra), il rilancio della soia come fonte di proteine (in modo da ridurre la alimentazione basata sulla carne bovina e insieme, seguendo l'esempio dell'Estremo Oriente, servendosi di un cibo la cui coltivazione richiede poco terreno, non ha bisogno di concimi chimici ed è infinitamente meno coscoso delle proteine ricavate dalla carne animale). Voglio dire, questi esperimenti, queste proposte, questi sogni, che andarono di pari passo con gli esperimenti delle comuni decise (come abbiamo visto nel numero 2 di questa rivista) a procurarsi fonti di calore direttamente dall'energia solare, senza passare attraverso sistemi inquietanti, non avevano granché a che fare col ritorno alla natura di Rousseau né con le comuni agricole dell'Ottocento d'America. La prima comune rurale di questa ondata credo sia stata la Tolstoj Farm, fondata nel 1963 su basi anarchiche da Hew Williams, che aveva 21 anni e 80 acri di terreno in una vaIlata boscosa vicino a Davenport: questi 80 acri furono messi a disposizione di chiunque volesse abitarvi per dimostrare che è possibile vivere senza competizione ed evitare proprietà privata e l'obbligo di obbedire alle leggi. Su quegli 80 acri affluirono 50 persone che vissero tutte insieme in una vecchia attoria; finché verso il 1966 una folla di pseudo Figli dei Fiori si abbatté su di loro avvelenando l'ambiente e l'idea originaria della comune al punto da indurre il fondatore a dar fuoco alla fattoria per scacciare i parassi ti morali con gli stessi sistemi con cui si scacciano i parassiti animali. Dopo la Tolstoj Farm le tribù rurali a sfondo ecologico
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