Autocoscienza El'ultima rimasezitella Ricordando la fatica di essere donna. Entro in classe, scuola nuova, è ottobre non ho mai visto nessuno, tutte le facce sono nuove, da primo giorno, guance rasate e capelli puliti, camici di bucato. Mi siedo in un banco qualsiasi senza dare nell'occhio, né davanti né al fondo. Conto gli uomini, non so perché, ma li conto, quasi senza accorgemene, sono quindici, le donne tredici soltanto, questo calcolo mi provoca una soddisfazione strana, come una specie di tranquillità, come quando da piccola, giocavo in strada a « dama e cavalieri » e c'erano cinque bambine e quattro bambini e una bambina restava sempre zitella. Non farò la penitenza, non sarò comunque sbeffeggiata, ci sono due maschi in più, alla peggio mi toccano gli avanzi. Ma non sono ancora serena, ho i capelli color pepesale, occhi un po' infossati e ossa aguzze, un corpo angoloso, malcresciuto, seni sgonfi e statura italiana. Senza contare le lentiggini e una carnagione un po' malata. Mi stiro i capelli con le mani, a tirare fuori il pettine mi vergogno ma i miei capelli volano. Cerco inconsapevolmente uno sguardo che mi guardi e nella testa mi si affollano classifiche: quello del terzo banco è un po' goffo ma ha un'aria simpatica. Poi vedo lui, il bello, in fondo alla terza fila, alto, abbronzato, spalle larghe, fianchi stretti, sorriso annoiato su dentatura da conquistatore. Batticuore, accavallo le gambe, quasi slogandomi le articolazioni, con una torsione del busto da acrobata cerco di guardarlo, di controllare se mi ha notata, di non farmi notare mentre lo guardo, di mostrargli comunque quello 54 che ho stabilito essere il mio profilo migliore. Queste operazioni, difficili nella loro contemporaneità, mi occupano per un quarto d'ora, anima e corpo, cosl, quando finalmente oso uno sguardo in campo aperto, scopro i suoi occhi di un grigio esotico in piena tresca con la rossa del quarto banco. E' uno shock, da dietro è una statua, anche seduta si vede che è alta, cosl, la immagino una gigantessa dai piedi gentili, otto metri più alta del resto del mondo, nell'atto cli inghiottire il bello e languidamente mangiarselo, mentre lui, vittima felice di un amore implacabile, non chiede di meglio. Di colpo i miei capelli un po' spenti, le spalle ossute e tutto il resto mi sembrano una condanna senza appello: sono brutta, lei è bella, lui è bello, sono bruna, quindi stupida, infelice, cattiva, abbandonata. Tutte le mie insicurezze mi ritornano raddoppiate, come incubi riflessi ingigantiti e rimbalzati ad aggredirmi, direttamente dai capelli mogano di quell'alta, bella baldracca del quarto banco. Perché naturalmente non metto in dubbio nemmeno per un istante che lei sia una baldracca, viziosa, perfida e ricca come la regina delle fiabe, quella che alla fine perde appunto perché è cattiva. Certo che io, come Biancaneve, sono un po' racchia, in fondo, anche nella fiaba, Biancaneve trionfa non certo perché è buona, ma perché la sua fragile bellezza, diciamo così, arrapa il principe, tanto che lui la bacia e la sveglia, e non la bacia mica per beneficenza ... La mia vicina di banco ha gli occhiali e io no. Quella davanti peserà sessantadue chili, le due del primo banco dimostrano dodici anni, hanno il grembiule e l'occhio da sgobbone, quella del vestito verde però non è male... umiliata dal confronto con la rossa sono costretta ad andare per esclusione, procedere dal fondo, confrontandomi con tutte, depennando tutte le brutte dal carné delle mie competizioni... arrivo in semifinale, e qui mi scontro con una finta Marilina, prosperosa ma tinta, volgare ma appetitosa, due ricciutelle supereleganti e lei, la perfida rossa che è già diventata lo obiettivo di tutto il mio odio e di tutto il mio amore cioè cli tutta la mia competizione. Non avrò mai il coraggio di parlarle, ha sicuramente un motorino, da come sbatte le ciglia direi che non è più vergine, forse due si sono picchiati per lei, una rissa, che è un po' come un duello (regina cattiva di Biancaneve e cortigiana corteggiata contesa da cavalieri d'alto lignaggio ... ). Mi faccio forza e le chiedo l'ora, mi sorride e mi chiede da dove vengo. Parla, come se vivessimo la stessa epoca dello stesso pianeta. Nell' imbarazzo mi dimentico di odiarla, di vantarmi ( « tu sei più bella, ma io sono più intelligente e scrivo anche poesie », « tu hai un corpo rrni 10 sono un anima », eccetera), mi dimentico di aver scartato l'idea di ucciderla solo per non farla diventare un'eroina. Ci annoiamo tutte e due e quello del banco di dietro, il bello, è un perfetto cretino che prende in giro le ragazze e poi si fa scrivere i temi, mi racconta. Poi ammicca e mi dice di non cascarci (come, potrebbe far la corte anche a me?) è noioso, tutto motociclette e pallacanestro, e poi non è neanche un compagno ... Finalmente trovo il coraggio di guardarlo, quasi con sfida, anzi non me ne frega niente, proprio niente, questa coi capelli rossi è simpatica e lui, se anche non mi guarda, anche se proprio non si gira una volta verso tutto l'anno verso di me, io esisto lo stesso, intiera, coi miei capelli pepesale, i seni troppo piccoli, l'anima e il cervello. Lidia Ravera
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