1. Forse è tempo di recuperare un po' di severità e di rigore. Il moltiplicarsi delle feste popolari e giovanili, l'orinetamento antifascista della stragrande maggioranza dei giovani, la capacità dello scontro di classe di penetrare - in Italia - fin nelle più riposte pieghe dell'assetto sociale (dalle scuole materne alle caserme di polizia) hanno portato un numero sempre crescente di cantanti e musicisti ad affermare una qualche scelta poli tÌca e a garanti re la propria disponibilità per manifestazioni-spettacolo. L'elenco dei « disponibili » è ormai lunghissimo. Un giudizio sulla validità l'onestà e la correttezza dei singoli è cosa complessa e occasione di dispute e risse senza fine. Anche i criteri da adottare sono controversi: l'accessibilità umana o la modestia economica, la lucidità politica, l'intelligenza artistica e nemmeno fare una graduatoria di merito; vogliamo dire soltanto che non si deve esagerare in liberalismo e in « _disponibilità » da parte nostra. Prendiamo il caso più recente: quello di Fabrizio ~e Andrè. Di lui tutti sappiamo tutto. In passato De Andrè ha avuto una indubbia e inconsapevole funzione «politica»· per i 14-15enni di dieci anni fa i suoi testi svolgevano una funzione «progressiva»: lo ingenuo antimilitarismo de « La ballata dell'eroe» (unitamente magari a quello appena meno ingenuo, del1e poesie di Prevert) era la forma che allora assumeva il ribellismo adolescenziale contro i valori costituiti. E l'irrisione della morale borghese contenuta nella traduzione del Testamento brasseniano esprimeva - più di altre manifestazioni culturali - l'insoddisfazione giovanile verso l'universo di principi della classe dominante (e dei padri). Che vi fossero poi anche altri consumator{ dell~ canzoni di De Andrè (i medesimi padri, magari) è cosa Canzonioolitiche AvantieAndre, che ci interessa molto meno). Il suo linguaggio, d'altra parte, non sempre affogava nel manierismo e, prima comunque di farsi tale, una qualche funzione di rinnovamento di moduli abusati riusciva ad assolverla. Tutto questo, naturalmente, era ben lontano dall'essere un'operazione politica e culturale di segno sovversivo e i connotati negativi dell'opera complessiva di De Andrè erano decisamente prevalenti su quelli positivi. Ma c'era, se non altro, una qualche velleità di rinnovamento. Poi venne « Storia di un impiegato » e fu buio rotale. Un disco tremendo, spaventoso. Il tentativo, miseramente fallito, di dare un contenuto politico a un impianto musicale e linguistico assolutamente tradizionale, privo di qualunque sforzo di r!nnovamento, di qualunque ripensamento autocritico e sorvoliamo sui contenuti la canzone « La bomba » è ' ad esempio, un monumento 'magistrale all'insipienza culturale e politica. Dopo questo disco un nuovo silenzio e poi il primo concerto pubblico alla Bussola di Viareggio, e il grande concerto a Pisa (quindicimila partecipanti). Un po' meno, al secondo concerto tenuto a ~orna, in Piazza avona, per il Partito Radicale. A noi non è piaciuto affatto. Divismo a iosa, dichiarazioni « politiche » tra una canzone e l'altra sulle quali è meglio stendere un velo pietoso (quello degli « intermezzi parlati » è, peraltro, un terreno scivoloso per tutti• solo Guccini, ancora una voita si salva, e bene); mossette, battutine, p~rolaccione. E poi le canzoni, naturalmente. La collaborazione con De <?regor_inon ha dato grandi nsultatt. Una pigra coincidenza di toni e di accenti un ritrovarsi di linguaggi slmili che - piuttosto che operare un salto qualitativo - scadono, troppo spesso, nella banalità più vieta. Una lunga ballata ( tradotta da Dylan) di taglio politico-favolistico è, forse, l'unica cosa buona e « nuova » ma in buona parte, purtroppo' incomprensibile. Quello che ne abbiamo ricavato, in sostanza, è la ferma convinzione che (e « riconversioni » politiche impongono un rinnovamento sostanziale e in profondità, del modo complessivo di « fare canzone » la capacità soprattutto di ri'. nunciare a un po' dei propri connotati (e quindi dei propri vizi) consueti a vantaggio dell'invenzione e dell'elaborazione del nuovo. 2. Esigenze redazionali, nel numero precedente di Muzak hanno accorciato la recensione del più recente disco di I van della Mea, « La nave dei folli ». I tagli hanno quindi, conservato il giudi'. zio estremamente positivo sulla ballata che dà il titolo al disco ma hanno eliminato il giudizio sugli altri pezzi. Ora, se della « Ballata del piccolo An » - già nota - si può dire solo bene, è difficile fare altrettanto per « Votare, lottare, cambiare », un incredibile canzone elettorale seri tra per il prossimo XX Congresso della FGCI. E' un vero peccato, di cui speriamo si sia già pentito, che della Mea abbia scritto questo vuoto « inno ». E' un esempio da manuale infatti di come NON si sc;ive un~ canzone di « propaganda politica » e di come si fa invece un pessimo e noioso « comizietto cantato ». Simone Dessi
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