Centomila, tutti giovani chiassosi e colorati per la gioia dei cronisti del pittoresco, tutti, o quasi tutti, « rossi », per la preoccupazione dei ceti medi milanesi, assediati per i cinque giorni, dal 28 maggio al 2 giugno, della « seconda festa del proletariato giovanile ». Roosse anche le bandiere che sventolavano dalle tende arroccate sulla collina, rossi gli striscioni elettorali di Democrazia proletaria, rossi i drappi che avvolgevano il palco con lo slogan « Cambiamo la vita, cambiamo la società ». Rossi, o almeno rosé, anche gli .artisti, i massimi richiami del popfolk nazionale, da Antonello Venditti agli Area, dalla Premiata forneria marconi a Giorgio Gaber, chiamati a esibirsi tra una selva di pugni chiusi, e decisi a salvarsi dai fischi facendo dimenticare eventuali passati mistici o ultraintimisti, come nel caso di Claudio Rocchi. Rossi, infine e soprattutto, gli organizzatori; Re nudo in testa, e poi Lotta continua, Avanguardia operaia, il Pdup per il comunismo. Il « proletariato giovanile » indubbiamente c'era, quanto alla «festa», invece, i pareri sono discordi: gli organizzatori, con cando gli introiti (un panino all'ombra di prosciutto 300 lire) e decantando i frullaci vitaminici rivoluzionari assicurano che di festa si è trattato. Il numero, i consumi alimentari, la musica, l'isola libertaria ( « chi voleva fumare fumava ») e l'assenza pressoché totale di forze di polizia, genitori, presidi, sergenti e altri depositari dell'autorità generazionale non lasciano dubbi. L'ultima notte, dopo cinque giorni, nel prato inondato di detriti e luce lunare, gli ultimi rimasti hanno ballato frenetiche tarantelle collettive. C'è stata anche una radio interna, radio Lambro, un fo. ·glio speciale quotidiano a commento e scherzo di ogni giornata, spettacoli, gli inevitabili audiovisivi, un belFeste Juke-boaxlprosciutto La seconda festa del proletariato giovanile ha ricordato per precisione organizzativa e afflusso popolare (100 mila giovani) le vecchie feste dell'Unità. lissimo film sugli scontri in cui, a Milano, ha perso la vita Giannino Zibecchi, assemblee di prato, dibattiti sul femminismo, un corteo di femministe ed omosessuali contestato da maschi eterossessuali (anzi, « eteroterroristi » secondo la definizione del « Fuori! » ), e altri avvenimenti, situazioni, spettacoli. « Tutto quello che il movimento è stato in grado di produrre in un anno di lotte e di concerti » ha detto uno degli organizzatori, che ha curato l'organizzazione per Lotta continua. Un'occasione di incontro interclassista ed extrapolitica in cui, vicini nel prato, si sono trovaParco Lambro 35 ti l'apprendista capellone e il militante studentesco, mentre gli eseguivano una volenterosa Internazionale pop e la luce degli spot illuminava, dal basso, in una coreografia da corazzata Potemkin di sicuro effetto emotivo. E questo è stato, infatti, il valore grosso del Parco lambro: la sensazione per cui anche chi; dopo, era pronto a rilevare tutti gli errori e le colpe con pignola severità, Il per lì, fra pugni chiusi e drappi rossi, si è commosso, sentendosi parte di un rutto che è già una forza. Ma avanti si va con l'arma della critica e allora bisogna aggiungere, al di là del trionfalismo sentimentale, alcune considerazioni. Quando musica, notte e ban- <liere non univano il pubblico nella suggestione rivoluzionaria, passeggiando al pomeriggio fra banchetti oppressi da insalate di riso, jeans sbrindellati da 9 mila lire, camicette indiane, polenta salsiccia e spinelli la sensazione di essere cresciuti si trasformava in quella meno eccitante di essere cresciuti abbastanza per avere anche noi il nostro festival dell'Unità. Una festa in cui le galosce ucraine modello Breznev sono sostituite da una buona imitazione degli zoccoli con cui Jack Kerouac percorse le strade d'America, ma il rapporto consumo-finanziamento-consumo è lo stesso, cambiando i simboli ma non l'anima del commercio. E continuando nel pericoloso confronto si finiva di scoprire che star li, tutti seduti a sentire Eugenio Finardi non è poi cosl alternativo a star là, tutti seduti a guardare Mike Bongiorno. E che essere in centomila quando, intanto, riesci a parlare solo con la ragazza della terza B, con cui fili da tre mesi mentre agli altri, al massimo, dici « non ciò spicci » se ti chiedono 100 lire, non è poi questa gran rivoluzione. Se poi si voleva fare i pignoli si scopriva anche che si stava tutti ad aspettare Antonello Venditti, perché « è uno che canta sempre allla radio » ed era un po' un brutto segno, un essere inquinadalla Rai TV, malattia nazionale dello spettacolo. Questa, comunque, non è una critica all'abbondanza: si ha Venditti e De Gregori, benissimo, non è del resto sostituendoli con Gianni Rossi, sconosciuto, che si eliminò il rapporto scorretto palco-platea, in quello per cui il pubblico cade in stato di ipnosi invece di « fruire criticamente ». E' un po', banalizzando, il tentativo che hanno fatto i Collettivi di controcultura emiliani, organizzando, con- -+
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