Muzak - anno III - n.04 - luglio 1975

AJtramerica Ilcanto chedai ghetti... Sandro Portelli Mentre l'underground ormai ridotto a prodotto di consumo celebra i suoi riti fuori dal mondo, sta rinascendo negli Stati Uniti la canzone politica, opposizione cantata all'oppressione americana. I protagonisti non sono più gli hippies e i ribelli del benessere ma portoricani, giapponesi, indiani, cinesi, donne e operai. Il tredici senembre 1973, tornando a New York dopo un giro nel Sud, chiesi ad una compagna americana notizie del golpe avvenuto due giorni prima in Cile. « Abbiamo fatto una magnifica manifestazione », mi rispose entusiasta. « Pensa, eravamo quasi in mille!» New York ha quindici milioni di abitanti. Dov'erano le migliaia che avevano manifestato per il Vietnam fino a due anni prima (ed erano arivati ad essere 200 mila davanti al Pentagono), che avevano cantato « Om » con Allen Ginsberg tra una manganellata e l'altra alla convenzione democratica di Chicago? Ma adesso i giovani hanno capito la sterilità della protesta politica, hanno capito che fare politica è stare nel sistema. Adesso i ragazzi stanno più avanti, adesso sono fuori del tutto». Mi ha risposto soddisfatta. Tutto bene. Ma almeno centonovantanovemila dei duecentomila di Woodstock se ne stavano a casa a sentire The Mothers of Invention e non si rendevano conto che quello che succedeva in Cile stava cambiando anche loro, molto dentro e molto in profonlità. Che ne è dunque della sinistra americana, del dissenso USA che per venti anni ci si è proposto come modello di stili di vita, che ha fornito i vestiti, i consumi, le parole d'ordine, la musica a tanti ragazzi anche da noi? Possibile che si sia dissolta davanti alla· durezza dei campi di concentramento e alla flessibilità della corruzione nixoniana, che sia spenta davanti alla continuità del regime, alla capacità onnivora del capitalismo americano? O che sia bastata l'inflazione, la paura della disoccupazione, la chiusura degli sbocchi professionali per rimettere in riga tanti ragazzi che fino a poco tempo prima erano nemici giurati del capitalismo e dell'imperialismo? Forse c'entra tutto questo. Ma c'entra anche la incapacità della sinistra e in genere del " movemcnt » americano di costruirsi una alternativa culturale nel senso pieno, capace di resistere ai momenti difficili e non soltanto di aggredire i borghesi con la sua carica provocatoria di novità. Oggi, quello che resta del « movemenr » - o almeno, quella parte del movimento che ancora pensa che sia necessaria un'opposizione politica - attraversa un momento di riorganizzazione, di ripensamento, di consolidamen10. La riscoperta del marxismo, scartato dalla generazione anni '60 che lo aveva scambiato con il dogmatismo staliniano, è uno strumento centrale di questa fase. Cosl anche la ricostruzione di un rapporto con la classe operaia, assai meno integrata e soddisfatta di quanto 16 non la dessero i sociologi del benessere, e oggi sempre più bersaglio della politica di disoccupazione e aumento del costo della vita di tutti i presidenti americani. Certo, questo recupero non avviene senza pagare prezzi. Le dimensioni limitate del movimento impediscono un rapporto di massa con cui verificare linee politiche e proposte operative. I germi dell'antico dogmatismo dei marxisti americani sono tutt'altro che morti, e i gruppi seguono la solita trafila di scissioni e faide settarie che ha caratterizzato nei suoi momenti più negativi anche la nuova sinistra italiana. Anche sul piano della cultura i prezzi non sono stati indifferenti. L'underground ha perso ogni rapporto con questa opposizione politica; si è scavato un'isola di tolleranza e Il svolge i suoi riti, contento che lo si lasci stare e senza fare male a nessuno. Il movimento della musica popolare, che tanto aveva voluto dire fino al 1965 (e soprattutto prima, negli anni '50 della repressione maccanhista, in cui attorno ai gruppi ed ai cantanti popolari come Pcte ceger si era riunito quel poco che restava di opposizione in America) è stato come svuotato di linfa dal successo commerciale. I « folk-festivals » che erano anche momenti di confronto politico oggi sono poco più che rassegne di «curiosità» folkloristiche e di pseudo-divi, spesso francamente reazionari. Forse solo Pete Seeger resta ancora, dopo 35 anni, sulla breccia, con il coraggio di schierarsi politicamentee dalla parte giusta, e facendo ancora della musica che non è inutile ascoltare. Dov'è dunque la canzone di protesta, la musica politica di oggi in America? Evidentemente, riflette la nuova composizione del movimento. Non a caso uno dei nuovissimi gruppi che si muovono nel circuito della sinistra rivoluzionaria si è scelto il brutto ma coraggioso nome di « Socialistics ». Ne fa parte, fra gli altri, Jim Collier, che era stato negli anni '60 tra gli autori di canzoni che riflettevano la condizione afro-americana dei ghetti urbani del nord, un livello di consapevolezza forse un passo più avanti di quello del movimento meridionale dei diritti civili. Adesso fanno una musica molto influenzata dal « rhythm and blues», ma che non ha rinunciato all'eredità della canzone politica degli anni '60. Una componente del movimento che sta producendo cultura e musica in modo rilevante è quella femminista. Tutta una serie di gruppi - la New Haven Women's Liberation Rock Band, la Chicago \Ylomen's Liberation Rock Band, ed altri ancora - hanno fatto un disco collettivo piacevolissimo, assai provocatorio, stimolante. La musica è, ovviamente, rock contemporaneo, ma l'influsso della musica country tradizionale si sente fin dal titolo del disco ( « Mountain Moving Day »). E d'altra parte il fatto che si tratta di canzoni politiche dà ai testi un'importanza maggiore per capire il rapporto con la problematica attuale del movimento: « Secrerary », « Abortion Song »... Un altro gruppo che nasce dal movimento femminista ma è composto anche da uomini è quello messo su da Beverly Grant, e che si chiama The Human Conditicn. Beverly Grant ha seri 110 delle canzoni straordinarie, e le canta con una voce tagliente e aggressiva, che ha imparato le lezioni principale della « country music ». « Janie's Song », dice: « Prima ero Janie di papà, poi ero Janie di Charlie, ma adesso sono Janie di Janie, appartengo a me stessa e nessun altro». Alcune canzoni di Beverly Grant trattano del modo in cui la nuova coscienza femminile deve servire ad una presa di coscienza anche degli uomini. « Jonny's Ali Alone » parla di un uomo che è rimasto solo perché la moglie lo ha lasciato portandosi via i bambini. « Johnny è rimasto solo e cerca di na• scendere il dolore, perché non può farsi vedere a piangere dagli amici; ma comincia a chiedersi il perché di tutto questo, e pensa che forse Janie aveva ragione quando diceva che i re non possono esistere senza schiavi, e che quando gli schiavi ne hanno abbastanza e scelgono di lottare, allora è sempre il re quello che paga». Forse un limite del disco sta nel « sound » certe volte un po' troppo dolcificato del gruppo, che modera l'aggressività straordinaria di Beverly Grant. Altri gruppi e cantanti si rapportano al movimento in generale, con temi antimperialisti, femministi e sulla condizione delle minoranze. Per esempio, The Red Star Singers, che sono attivi sulla costa occidentale (California), hanno un repertorio che va da canzoni sulla guerra del Vietnam ( « Vietnam Will Win! ») a canzoni legate all'attualità della politica interna ( « Four more years of Richard Nixon », prima delle elezioni del '72; « Pig Nixon »), canzoni femministe, ed anche canzoni in spagnolo rivolte alla componente « chicana » della popolazione proletaria della California. Il loro stile è decisamente ibrido, influenzato dal rock e dal jazz; ma una canzone come « Pig 1ixon »

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