Muzak - anno III - n.03 - giugno 1975

Le scuole si chiudono e s1 aprono le vacanze. Ma quest'anno passato, non solo nella scuola, ma nella società tutta, non ci consente di scordarci di tutto, di essere appunto « vacanti ». E non tanto per moralismo e mistica dell'impegno, ma proprio perché, credo, quest'anno passato ci ha « caricato », ci ha offerto mille e mille spun· ti su cui riflettere, mille e mille occasioni di lotta e di impatto concreto e fattivo con la realtà. Il trentennale della Resistenza ci ha permesso una mobilita·\ione antifascista come non si veck va da tempo e non fo1Ccata cb dolorosi assassini, dallà violenza poliziesca e fascista. L'abbattimento della dittatura in Portogallo, la vittoria del popolo cambogiano e, infine, quella del popolo vietnamita ci hanno dato l'impressione concretissima di una situazione eccellente nel mondo intero. Ma anche nelle cose che possono apparire di minor conto le vittorie, le battaglie vinte, sono state significative. Significativo è stato il voto ai diciottenni, significativi i risultati nelle elezioni scolastiche dei cosiddetti decreti delegati. Significativa, e non poco!, la battaglia per l'aborto e il successo strepiContrappunatiifatti Chiudela scuolama nonlavita Giaime Pintor toso che essa sta ottenendo. Ma più in generale quello che è mutato, anche grazie al 12 maggio e alla vittoria del referendum sul divorzio, è il quadro generale. Non che tutto sia cambiato in quest'anno: i winds of change spirano già da tempo, dal '68 se non da prima, Quello che è successo quest'anno è che questi vènti sono stati compresi, sentiti, avvertiti anche da chi, finora, aveva fatto finta di nulla. Quello che è successo, e che ci riempie di soddifazione perché siamo stati fra i primi a indicare questa via, è che le spinte varie, forse confuse, certamente scoordinate, cominciano a formare i germi di una « nuova cultura », di un modo nuovo di vedere e di volere il mondo, la società, gli uomini. Questa « nuova cultura » che non nasce dalle delusioni di pochi ma dalla voglia 7 di molti, che non na ce mettendo il « k » alle parole antipatiche, ma nell'invenzione, nella creatività, nella speranza, nella lotta. E allora non è più sufficiente ritoccare la vecchia cultura, svecchiarla, migliorare i. rapporti e se stessi con gradualità in un'ottica « liberal-borghese » per cui la mia meschina e monca libertà è sacra finché non invade il meschino e monco privato degli altri, ma rovesciare il concetto stesso di libertà e viversela come momento liberatorio, come motivazione profonda verso gli altri, convinti che le battaglie particolari riguardano tutti e quelle generali ognuno di noi. Ed è allora significativo che le organizzazioni politiche, anche quelle tradizionalmente chiuse a un discorso di « nuova cultura » si aprano oggi a questa tematica, sentano l'esigenza di confrontarsi con le nuove realtà, con la nuova situazione « culturale ». E che si vada creando un vasto fronte, una nuova area di alterna ti va che coinvolge in sé tutte le forze sinceramente democratiche, tutte le forze che lottano non per difendere situ azioni di potere ma perché qualcosa cambi. E allora forse si potrà parlare anche in ItaLa di un movement, ma non nel senso squallido e colonizzato di chi confonde la convenzione di Chicago con piazza San Babila, il Mississipi con il Po, ma di chi vede in questa nuova forza di alternativa « culturale » un momento non unico ma importantissimo della costruzione di una diversa società. Quando, più volte e da tutti dileggiati, affermammo che non c'è spazio oggi in Italia per un underground di tipo americano, dicevamo in relatà il vero: che oggi solo un movimento che sappia unificare struttura e sovrastruttura, lotta politica, economica e « culturale » può essere vincente nel nostro Paese. Non si tratta né di privilegiare lo « spinello » né di affogare nelle bandiere rosse, né, infine, di unire meccanicamente l'uno alle altre, ma più semplicemente di rendersi conto che oggi non si tratta più di viversi il « privato » come estrema difesa contro gli assalti del « pubblico », ma affermare che fra le due cose non deve esistere separazione. Si tratta di fare ogni sforzo, tutti gli sforzi comuni perché si possa in prospettiva non solo interpretare ma sopratutto cambiare il mondo.

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