Muzak - anno III - n.03 - giugno 1975

farseschi che 10 cc. vuole ribaltare, un'idea che finalmente non ha dell'intellettuale o del già fatto. Musica di tramite, non esiste dubbio, ma anche divertente senza apparir idiota, musica fatta per gente che comincia a pensare. Si prenda Une Nuit a Paris e lì ed a Rubber Bullets vadano gli elogi o gli insulti. Tracce di sogni vuoti, di miti che troppo• occupano del nostro spazio... la muzak di consumo ci lascia otmsi e ben vengano le prove che usando i canoni del motivo orecchiabile con fantasia, danno soluzioni attive e reali. 10 cc. può essere il primo nuovo passo. Mauro Radice Renaissance: Turn Of The Cards (BTM/RCA inglese) Nucleo da anni sulla scena inglese, con gusto ed equilibrio, ma accompagnato dalla sfortuna più nera. Si dice continuamente del possibile scioglimento per mancanza di fondi o per i cambiamenti nell'organico, ma la musica resta a continua testimonianza del migliore soft rock, di un sincero districarsi tra poliedrie classiche ed un'acustica intensa e tanto godibile. Rispetto al passaCO Renaissancc resta miracolosamt:nte in sella nonostante gli scossoni dati ad un suono che ha da tempo tutta l'aria di potersi esteriorizzare, perdere in freschezza, parlarsi addosso. Come il gruppo tenti di salvarlo, questo suono ormai antico e strano, sono lontani i tempi di Keith Relf ed « lllusion », è difficile comprendere, soprattutto pensando a quanto « Turn of the Cards » sia simile alle uscite precedenti, di quanto il pianismo di John Tout risponda vigorosamente alle preziose armonie di John Hawken o di come la dolcissima Annie Haslam dipinga mirabilmente ogni passaggio con il senso accorato e cristallino di una voce tra le migliori del panorama inglese. Di come ancora ci siano, tra queste righe, piccole operine a sé stanti, vedi « Things I Don't Understand », o « Mother Russia» lunghe, vibranti anche se affette dalla vecchia malattia del gruppo, il classicismo di maniera. E più in là lo scorgere in ogni frase, in ogni nota la semplice voglia di cantare e suonare di amore, in amore con gli altri, dando alla musica una distensione semiacustica piena di fascini e chiarezze, senza mai strafare, senza perdere di vista la funzione godibile e sensuale del suono. E poi « Black Flame » e « Cold Is Being » ed una sola richiesta, spontanea: che la morte di questo gruppo non sia realtà, almeno fino alla fine dei tempi in cui la musica vuol dire amore, dopo si vadrà ed il passato dei Renaissance, forse, tornerà a galla. Sogni di un giro di carte. M. B. Lou Reed: Live (RCA) Lou Lou, difficile a dirsi quanto sia bravo, quanto sia sincero. Lou Lou tra i fantasmi del passato e la paura del futuro, jeans stretti come le vie sporche di New York ed il dramma suo e degli uomini che la vivono, la vita di un artista ossigenato dall'eroina per anni, sistema nervoso reso fragile e bucato nei ricordi, la voce smarrita o assonnata o falsata o sbiadita tra le coperte sporche di tante ultime canzoni. E quest'incursione dal vivo che riesce a fatica a guardare alla chiarezza incredibile di « Rock & Roll Anima] », mentre la marionetta che si muove flessuosamente sulla scena è stanca e disfatta, pure se gli sforzi di urlare ci sono ancora, la voglia di fuggire via e guardare, finalmente libero, l'Universo, resta. Non sono testimonianze: « Live » non è testimonianza, non ha valore per i posteri, giunge invece a sacrificare il passato innanzitutto: « Viciuos » restituita con vio• lenza da Steve Hunter e protagonisti del presente, rock duro senza mezze parole, però l'immagine di Lou è quella di un pomeriggio in prova alla sala di registrazione Rea italiana ed il disastro del giorno dopo, qualche lacrima di troppo per l'ex Velvet, lo sguardo fisso era i colori bleu ed arancione del lo show ... « Satellite Of Love » muoversi lentissimo, aggraziato e mai formale, « I'm \Y/aiting For The Man» o la scoperta di un mondo che si vuole sepolto, « Sad Song » nella mente. Mentre l'espressione di Lou Reed è cosl triste perché 38 la si vuole raie, cercando di cavarne sangue piuttosto che amore: si deve ancora dimostrare che il rock sia solo violenza e tristezza e passaco, ed ancora le inutili fughe ed il ripiego in sé, egoistico. Il rock di Lou Reed non è questo, non deve esserlo, soprattutto per la pace del suo spirito, via dai malefici e dalle paillettes, e via dal cervello spinCO a troppa velocità. M. B. Jerry Garcia: Old and in the Way (Round Records) Ecco qui il buon vecchio Garcia che vuole divertirsi un'altra volta, ed ecco un album bluegrass che pottebbe essere uscito da un qualsiasi buco di Sausalico dopo cinque ore di gara ai beveraggi, J erry sopra tutti che ride e se ne frega delle stecche e Vassar Clements sempre ben composco che si slaccia il colletto della camicia... arrivano Panama Ree! e la minaccia che il capo indiano o chiunque sia devasti la città (che dire di Acapulco Gold) e la \V/ileiHorses dei Rollig Stones con timidezza, Jerry chiede ancora una birra perché non ne ha avute a sufficienza, ma qui non siamo nella Legione of Mary o nel Group, c'è ancora Owsley e chissà cosa, le buone stravolt" continuano e poi Stanley Augustus (Owsley) è un fanatico di bluegrass e country blues e può aiutare in qualsiasi modo, ha già raccolto Bear's Choico (Bear, \Y/hite Rabbie, Lather, sempre lui), il tributo dei Dead a Pig Pen « cowboy in Paradiso» e qui appare la tradizionale Pig in the Pen cd i ricordi si fanno chiari, ecco perché i Dead geniali degli inizi con un nome lunghissimo e senza posto da suonare si ostinavano a ripetere bluegrass, bluegrass e rock'n'roll! Si, Garcia non è impazzito del tutto ma solo un po' stanco ed ha bisogno di divertirsi ignorando gli ambigui affari della Grateful Dead Records. Ci riesce, a quanto pare, e finché riuscirà a fare qualcosa per gli altri, ben venga. Ma venduto il marchingegno di Owsley, e quando sarà tempo, non esiterà a vendere pure il banjo, Richard Greene. Ma il banjo funziona sempre. E poi non ci crede. -01,W~ ~ ' li:lo,l·-; 1 ·r • fohn Mayall: New Year. New Band, ew Company (Blue Thumb) Sembra che Mayall abbia voluto rimanere fedele alle ultime mosse di un suo alunno, quell'Eric Clapton che con There's One in every Crowd ha superato una prova dificilissima per un musicista che si rispetti, toccare cioè il fondo della completa inutilità. John ci aveva provato con Ten Years are Gone e The Latest Edition, ma gli mancava qualche metro. Anche in questo senso la strada fatta da New Lear è poca, al fondo ci è arrivato e tanto basta: ha pochi rivali in questa gara che sembra interessare buona parte dell'attuale Inghilterra. E se Clapton e Dalcrey andranno a rivedersi in Tommy un migliaio di volte per convincersi di quanto sono bravi (e patetici) a John non è neppure concesso fare la star. Vorrebbe diventarlo, e brucia Larry Taylor, Don Marris, Soko Richardson, ed introduce i riemetti funky di Philadelphia e ride degli ultimi buoni minuti al Laurei Canyon e soffia nell'armonica gli ultimi battiti di feeling ... e, per somma autocommiserazione, lo sentiamo cantare << c'è così tanto da dire, da fare, da vedere in questo vecchio grande mondo » che par davvero usci 10 di senno. Frank Za:;>pa: One Size Fits Ali (Disc Reet) M. R. Figuriamoci se non vedevamo Zappa giocherellare ancora per qualche minuco! Il guaio è cbe dubito fortemente della sua attuale foschia, e se per molti versi Apostrophe e Roxy & Elsewhere parevano il gioco di chi non ha più nulla da fare, io credo semplicemente che Zappa non abbia voglia di fare e basta, e certi albums poteva benissimo risparmiarceli. Alla luce di questa nuova idea pochi cambieranno opinione e non a torto, almeno per volontà di coerenza. Zappa è innamorato di vecchie pelicole e lo è sempre stato, ma questa volta esagera e non riesce piè, maledettamente insopportabile come ai tempi di Freak out! e \Y/c're only

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