Nell'interno della copertina, c'è una citazione di Enrico Berlinguer sulla necessità di « fare lavorare la fantasia»: attività che « non è solo propria dei bambini, ma anche dei rivoluzionari». Il disco è il più recente di I van Della Mea, « La nave dei folli » (1 Dischi del Sole, 33 giri DS 78). La ballata lunga che dà il titolo al disco presenta molti elementi di novità; innanzitutto nella struttura musicale, che non trova alcun riferimento nei precedenti lavori di Della Mea: si tratta di un'unica, compatta frase melodica, dai toni costantemente alti, senza quasi soluzione di continuità. Una canzone da cantare tutta d'un fiato, premendo sulle parole, inseguendo le strofe, gridando sul ritornello. Inusitato per Della Mea anche il numero di strumenti usati per l'accompagnamento: oltre alle chitarre ci sono il contrabbasso, l'organo Hammond, le percussioni e il flauto traverso. Ma la novità maggiore del disco è rappresentato dal carattere insieme metaforico e realisttico di questa Nave dei folli. La rivendicazione del diritto alla fantasia, di cui la ballata è una mrta di manifosto programRecensioni Suonorosso Tre dischi politici: Della Mea. Claudio Lolli e Giovanna Marini. matico, è esigenza non di evasione nè di fuga, ma di concreta e fondata volontà di utopia, richiesta ineludibile di trasformazione creativa del reale, forza materiale per il suo ribaltamento. Anche l'uso della metafora non è quindi esercizio illusorio ma - al contrario - anticipazione di una modificazione della parola, del linguaggio dell'espressione. E il discorso che vi è contenuto - la rottura col vecchio mondo e con la vecchia cultura, l'unità degli ultimi e degli sfruttati, la necessità di rifondere « poesia, creazione e fantasia » dentro una rivoluzione sociale che sia anche « rivoluzione culturale» - nasce innanzitutto dal rifiuto che « la rabbia si umili nell'arte » e dalla volontà di « tenersi lo sporco ben stretto e cosciente ~ra pugni rinchiusi ». Di Claudio Lotti conoscevamo due dischi, decisamente interessanti: Aspettando Godot e Canzoni di morte, canzoni di vita; ci era sembrato (e tutora ci sembra) il più « politico » dei cantanti leggeri, anche tn; i « Guccini-Venditti-De Gregori », e avevamo apprezzato canzoni .come Compagnu Gramsci, Borghesia, Morire di leva e La guerra è finita; si indovinava in esse (e talvolta si esprimeva compiutamente) una forza satirica corrosiva nel ritratto dei vizi, delle miserie, delle manie di una borghesia fatiscente e meschina; una certa capacità di fare cronaca (e addirittura storia) dando dimensione poetica ai fatti e alle vicende; una partecipazione autentica alle fatiche e ai dolori di quell'universo di ubriachi e di puttane di cui sono popolate le sue canzoni. Si coglievano, però, in queste prove precedenti, anche i limiti maggiori Jel lavoro di Lolli; l'uso stanco, spesso rituale, di un linguaggio consunto proprio di una sottopoetica ormai esaurita e che ricorre a immagini logore; e, soprattutto, musiche pesanti, monotone, spesso banali. Questi due limiti sono diventatì ormai, nello ultimo disco di Lotti ( Canzoni di rabbia in Columbia), vizi fastidiosi. Ed è un peccato, perché anche qui il buono c'è; e non è poco. Si avverte una maggiore maturità politica e culturale, un discorso più compiuto, ci sono brani come - Prima comunione - anche belli; ma tutto questo annega in un impianto musicale di una monotonia e di una rigidità insopportabili, 111 cui la voce di Lolli (non troppo ong1 nale) viene ulteriormente sacrificata. E nemmeno il Un• guaggio conosce impennate o, perlomeno, riesce a evitare sempre la banalità. La voce come trasfigurata nella tensione del canto e delle parole, Giovanna Mamii racconta: « Due guardie mi vennero a prendere a casa c'era mia madre vestita di nero ». E' una ballata per l'anarchico Marini, recentemente condannato dalla Corre d'appello a 9 anni di galera, perché ri tenuto colpevole di avere ucciso il fascista Favella da cui era stato aggredito. La ballata è bellissima; Giovanna Marini, come dicevamo, la canta con una partecipazione e una intensità che ne stravolge la voce, riducendola all'essenziale, smussandone ogni asperità, raddolcendola allo stremo. Questa « Voglio la mia libertà » (Dischi del Sole, Linea Rossa 20) è il più recente contributo all'aggregazione di un canzoniere anarchico contemporaneo che si riallacci a quel ricchissimo patrimonio di canti prodott0 dal movimento libertario lungo tutto il suo itinerario storico. Simone Dessì
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