• RAPPRESENTANTE GENERALE PER L'ITALIA SYMA ITALIANA ELETTRONICA via M. Gioia 70-20125 Milano - teL 691679-690348 • OISTRIBUTORE IELTE viale Bruno Buozzi 5 - 00197 Roma - teL 878644 . .., , .... POTENZA 30+30 WATTA 8 OHM RISPOSTA 20/25.000 Hz "' 1 dB DIMENSIONI 413X222X124 DISTORSIONE ARMONICA 0,3%MAX. DISTORSIONE INTERMODULAZIONE 0,3%MAX. PESO 6 KG. ttiSCOTT AMERICAN HI-FI
Collettivo redazionale - {Via Alessandria, 119 • 00198 Roma . Tel. 8448483): Giaime Pintor (coordinamento redazionale). Lidia Aavera, Maurizio Baiata, Danilo Moroni, Carlo Rocco (coadiuvatori) Chicco Ricci, Angelo Camerini, Collettivo di via Anfossi di Milano, Fernanda Pivano. Roberto Silvestri, Renzo Ceschi. Antonio Belmonte, Gino Castaldi {jazz). Sandro Portorolli (folk). Mauro Radice (pop). Giovanni Lombardo Radice, Nancy Ruspoli. Mario Schifano, Daniel Caimi & Gianfranco Binari (HI-FI). Coordinazione editoriale: lydia Taran• tini - Impaginazione e grafica: Ettore Vitale - Fotografia: Piero Togni - illustrazioni: Laura Cretara. Hanno collaborato: Gianni Nebbiosi. Giovanna Marini, Lorena e Francesco, Luigi Rivera, Filippo La Porta. Direzione del Festival Jazz di Bergamo, Circoli Ottobre. Teresa Tartaglia, Giorgio Conti (da Londra). Roberto laneri (dagli Usa). Agnese De Donato, Gianfranco Giagni, Oavid Grleco, Camilla Coppola, Sergio Dulchin, Enrico Facconi. Stefano Ruffini, Terenzio Mamlani. In copertina tlvis Presley e James Dean Edizioni: Publisuono - Via A. Valenziani, 5 - 00184 Roma - Tel. 49563433648 - Amminisrtzoione: Patrizia Ottaviani - Pubblicità lydia Tarantini - Segreteria editoriale: Elvira Sai iola - Direttore responsabile: Luciana Pensuti - Abbonamenti (12 numeri) Lire 5.000 ccp n. 1/55012 intestato a: Publisuono - Via Valenziani, 5 - Roma. Un numero lire 500, arretrato Lire 800. Diffusione: Parrinl & C. - Piazza Indipendenza, 11/b • Roma • Tel. 4992. Linotipia: Velox - Via Tiburtina, 196 • Roma - Fotolito e montaggi: Cfc • Via degli Ausoni, 7 - Roma - Stampa: Agi (Arti grafiche della Lombardia) gruppo Mondadorl (Ml). Muzak nn accetta pubblicità redazionale. Gli articoli, le recensioni, le immagini e le foto di copertina sono pubblicate ed unico e indipendente giudizio del collettivo redazionale. Registrazione Tribunale di Roma numero 15158 del 26-7-1973. Chiude la scuola ma non la vita Giaime Pintor 7 Rock, rock, Ho-chi-minh 8 Ho scelto un nome eccentrico 8 --------------------------:---------- Maschio per obbligo? Agnese De Donato 9 A chi il ridicolo? A noi! Teresa Tartaglia 10 Convegno del Fuori a Napoli Lidia Ravera 12 ------------------ Suono rosso Fripp & Eno a Parigi La musica sarda Intervista a Guccini Interviste a Nico e Cohen Discografi del folk inglese Il Rock'n'roll Led Zeppelin Soft Machine A cinque anni dalla morte di Ayler Recensioni dischi Cinema Mass media Libri e riviste Teatro Cosa leggono giovani Lavorare a Londra Un viaggio in Marocco Planet Waves Anticoncezionali Hi-Fi ------------ Compra vendi & informa Maurizio Baiata Sandro Porte I I i Chicco Ricci M.R. M.B. Gino Castaldo Giaime Pintor Corsan G. P. Anfossi Lidia Ravera D.M. C. R. Carlo Rocco Gianfranco Binari 13 14 16 18 21 24 26 31 32 34 37 42 44 45 48 49 53 54 55 58 60 62
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promuoveuna FESTAPOPOLARE con ROBERTWYATT0 IGONG0 HENRYCOW per l'aperturdaellacampagnasulla DEPENALIZZAZIONdEellaMARIJUANA ROMA 27 GIUGNOA PIAZZA NAVONA INGRESSOGRATUITO Segreteria dell'organizzazione: Muzak - tel. 8448483 DONATELLO Il tempo degli dei ITGL 14004 i nostri dischi: ALBEROMOTORE Il grande gioco ITGL 14001 Messico lontano ITG 401 GIANNI NEBBIOSI Mentre la gente se crede che vola ITGL 14002 CANZONIERE DEL LAZIO Lassa stà la me creatura ITGL 14003 COLOMBINI & SALVADOR! 11 passato se ne va ITG 402 DISTRIBUZIONE DISCHI RICORDI o r.,o EDIZIONI MUSICALI OrfillhOfFt{gJ© , r I P.za Mirabello 1 • 20:21 Milano Trl. 650 498 • 651.753
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Le scuole si chiudono e s1 aprono le vacanze. Ma quest'anno passato, non solo nella scuola, ma nella società tutta, non ci consente di scordarci di tutto, di essere appunto « vacanti ». E non tanto per moralismo e mistica dell'impegno, ma proprio perché, credo, quest'anno passato ci ha « caricato », ci ha offerto mille e mille spun· ti su cui riflettere, mille e mille occasioni di lotta e di impatto concreto e fattivo con la realtà. Il trentennale della Resistenza ci ha permesso una mobilita·\ione antifascista come non si veck va da tempo e non fo1Ccata cb dolorosi assassini, dallà violenza poliziesca e fascista. L'abbattimento della dittatura in Portogallo, la vittoria del popolo cambogiano e, infine, quella del popolo vietnamita ci hanno dato l'impressione concretissima di una situazione eccellente nel mondo intero. Ma anche nelle cose che possono apparire di minor conto le vittorie, le battaglie vinte, sono state significative. Significativo è stato il voto ai diciottenni, significativi i risultati nelle elezioni scolastiche dei cosiddetti decreti delegati. Significativa, e non poco!, la battaglia per l'aborto e il successo strepiContrappunatiifatti Chiudela scuolama nonlavita Giaime Pintor toso che essa sta ottenendo. Ma più in generale quello che è mutato, anche grazie al 12 maggio e alla vittoria del referendum sul divorzio, è il quadro generale. Non che tutto sia cambiato in quest'anno: i winds of change spirano già da tempo, dal '68 se non da prima, Quello che è successo quest'anno è che questi vènti sono stati compresi, sentiti, avvertiti anche da chi, finora, aveva fatto finta di nulla. Quello che è successo, e che ci riempie di soddifazione perché siamo stati fra i primi a indicare questa via, è che le spinte varie, forse confuse, certamente scoordinate, cominciano a formare i germi di una « nuova cultura », di un modo nuovo di vedere e di volere il mondo, la società, gli uomini. Questa « nuova cultura » che non nasce dalle delusioni di pochi ma dalla voglia 7 di molti, che non na ce mettendo il « k » alle parole antipatiche, ma nell'invenzione, nella creatività, nella speranza, nella lotta. E allora non è più sufficiente ritoccare la vecchia cultura, svecchiarla, migliorare i. rapporti e se stessi con gradualità in un'ottica « liberal-borghese » per cui la mia meschina e monca libertà è sacra finché non invade il meschino e monco privato degli altri, ma rovesciare il concetto stesso di libertà e viversela come momento liberatorio, come motivazione profonda verso gli altri, convinti che le battaglie particolari riguardano tutti e quelle generali ognuno di noi. Ed è allora significativo che le organizzazioni politiche, anche quelle tradizionalmente chiuse a un discorso di « nuova cultura » si aprano oggi a questa tematica, sentano l'esigenza di confrontarsi con le nuove realtà, con la nuova situazione « culturale ». E che si vada creando un vasto fronte, una nuova area di alterna ti va che coinvolge in sé tutte le forze sinceramente democratiche, tutte le forze che lottano non per difendere situ azioni di potere ma perché qualcosa cambi. E allora forse si potrà parlare anche in ItaLa di un movement, ma non nel senso squallido e colonizzato di chi confonde la convenzione di Chicago con piazza San Babila, il Mississipi con il Po, ma di chi vede in questa nuova forza di alternativa « culturale » un momento non unico ma importantissimo della costruzione di una diversa società. Quando, più volte e da tutti dileggiati, affermammo che non c'è spazio oggi in Italia per un underground di tipo americano, dicevamo in relatà il vero: che oggi solo un movimento che sappia unificare struttura e sovrastruttura, lotta politica, economica e « culturale » può essere vincente nel nostro Paese. Non si tratta né di privilegiare lo « spinello » né di affogare nelle bandiere rosse, né, infine, di unire meccanicamente l'uno alle altre, ma più semplicemente di rendersi conto che oggi non si tratta più di viversi il « privato » come estrema difesa contro gli assalti del « pubblico », ma affermare che fra le due cose non deve esistere separazione. Si tratta di fare ogni sforzo, tutti gli sforzi comuni perché si possa in prospettiva non solo interpretare ma sopratutto cambiare il mondo.
Internazionalismo Rock,rock, Ho-chi-minh La creatività popolare, ha dato il meglio al concerto per la liberazione di Saigon: la forza della felicità. Una tarantella improvvisata da un gruppo di dilettantissimi musicisti, il pubblico che si scatena in danze, e la felicità popolare per la vittoria del popolo vietnamita libero, hanno impedito che la festa organizzata per la liberazione di Saigon (ora HoChi-Minh) finisse per essere la solita triste commemorazione o retorica esaltazione dell'eroico popolo vietnamita. Due, tremila compagni si erano riunti, il 1• Maggio, alla Palazzina Liberty di Milano per assistere a uno spec- .tacolo in cui spiccavano nomi imporranti della musica cosiddetta progressiva. Ma i gruppi, si sa come son fatti, sembrava non avessero nessuna voglia di suonare. Accampavano scuse tecniche, la scarsa amplificazione, la mancanza di strumenti. E in questa atmosfera che rischiava di trasformare quella che doveva essere una festa in una tristissima riunione, un gruppetto di compagni ha preso gli strumenti e, senza aver grande esperienza, senza aver mai prima d'allora affrontato un pubblico cosi vasto ed esigente, !,a iniziato a scaldare l'ambiente. Un successo strepitoso. E' stato il 5egnale della lihi-r~7jr,np ed è stato anche l'avvertimento agli « artisti »: i quali subito, Area con Finardi e Camerini, hanno immediatamente ritrovato gli strumenti, hanno giudicato buona l'acustica e gli è tornata la voglia di suonare. « E' staro particolarmente importante, anche dopo che hanno suonato gli Area non si è più ristabilito quel clima che si vede troppe volte, di separazione fra gli artisti sul palco e il pubblico di sotto a rincoglionirsi » dice uno. « E si è dimostrato - aggiunge un altro - che la musica legata alle situazioni di lotta realmente sentite è tutta un'altracosa ». • " I- Il Socialdemocrazia Hoscelto unnome eccentrico In mancanza di deputati seducenti e ministri capelloni i socialdemocratici hanno travestito una giovane signora da soubrette, per far votare i diciottenni. La caccia al diciottenne è, per i partiti politici, un po' come il Palio di Siena. Ogni mossa, per dura che sia, è permessa. Soprattutto le mosse permesse sono quelle propagandistiche, neanche tanto sottili. Noi, che non ci sia separazione fra musica e politica, lo sappiamo e lo predichiamo da tempo. Ma, di più, questa caccia al diciottenne è giocata da molti, su un sillogismo semplice ma efficace: il pop e il jazz tirano e noi ci mettiamo i cantanti e jazzisti in lista. Ottima idea, in base alla quale la prossima volta per le elezioni politiche - che, Fanfani permettendo, si svolgeranno nel 77, troveremo in lista gli Area, la Premiata e se Gava non si offende la N.C.C.P. Ma non ci stupisce tanto la presentazione di Gaslini, Giovanna Marini e Otello Prefazio (poteva, del resto, l'onnipresente Gaslini - detto il Pico della Mirandola del jazz - mancare a questo appuntamento?). Ma quello che c'è apparso immensamente più carino è che è presence nelle liste dei socialisti (si fa per dire) democratici una nota artista: Giovanna Lenzi Pastore, in arte Jeanette Len. Ora quella precisazione suona molto bene. La signora Lenzi, infatti, poteva essere una simpatica casalinga, un'impiegata delle poste e avremmo potuto anche votarla, vista la nostra propensione al femminismo. Ma, poi, abbiamo appreso la vera identità della suddetta, che, in aree, è nomata « Jeanette Len ». E c'è sfuggico un ah! come dire, vedi tu chi è in arte! Quale sia l'arte è misterioso, anche perché noi, che pure siamo esperti in questi campi, non l'abbiamo mai sentita nominare. Ma si sa i socialisti (per amor del paradosso) democratici sono così: vedono in lista degli altri nomi grossi come Giovanna Marini, Giorgio Gaslini e Ocello Prefazio e, si chiedono, e noi chi ci mettiamo? Pensano cosl all'assessore Pala, presentandolo come Antonio Pala, in arte Attila, ma poi c'è il rischio che oualcuno lo conosca, maga;i la portinaia, e riveli a tutti che non è mica vero. L'idea fulminante venne a qualcuno di quel partito quando scoprì che c'era in lista una giovane speranza che nei manifesti da lui stampati e attaccaci ammoniva come vendesse spazzole: « dalla generazione della contestazione etc. etc. ». Si pensò di farlo vestire in jeans e mettergli una parrucca e presentarlo come in arte Tom dei Tanassians, gruppo pop. Ma la mamma si oppose, e per i socialisti ( tanto per ridere) democratici la Mamma è sempre la mamma. E' stato così che si è optati per « in arte Jeanette Len ». Tanto, pare, nessuno la conosce, e, secondo alcuni non esiste nemmeno, ma è uno pseudonimo dell'onorevole Lupis che per la sua avvenenza è stato scelto a questo alto incarico del partito: anche loro così, i socialisti (non ci credete) democratici hanon la loro artista. Giovanna Lenzi Pastore, in arte Jeanette Len il che, tut· to sommato, per loro è, come si dice, il massimo. •
Incontro Cesare che è il pro motore, diciamo cosi l'ideatore del « piccolo gruppo » maschile, del gruppo di autocoscienza. Credevo che fosse una trovata recente questo desiderio di presa di coscienza da parte degli uomini ma Cesare mi dice che il primo gruppo da lui organizzato risale niente di meno che al 1969-1970. Certo non avrebbero neanche avuto l'idea di metterlo sù, se non fosse venuta la spinta dalle femministe. Il rapporto uomo-donna era oramai inquinato, la donm non ha più sopportato il disagio e le angherie di una vita in comune con il proprio partner divenuta carica di ingiustizie, astiii, rimproveri, scontentezze e tante altre cose. La solidarietà con le altre donne le ha dato la possibilità e la forza di iniziare una lotta che, partendo da un incontro privato, ha potuto proiettarsi all'esterno e diventare politica. Naturalmente, messo in crisi il rapporto uomo-donna, si è acutizzato e pu:1tualizzato il bisogno di un chiarimento che potesse paci.ficare gli animi e migliorare le condizioni del ...lavoro matrimoniale. Le donne ottenevano dei buoni risultati, ci hanno provato anche gli uomini. Ma non è stato facile. Per le donne parlare, confidarsi, sfogarsi è normale, lo si fà continuamente, al mercato, sulla soglia di casa, in classe nell'intervallo, e ci si racconta sinceramente i propri guai o le proprie felicità; confessare all'amica, per esempio, che non si è mai arrivate all'orgasmo per una donna non è un'offesa, una onta, è solo un dispiacere e sente il bisogno di verificare e di conoscere meglio la sua situazione e cercare di migliorarla. Per un uomo invece, abituato a confidare agli amici solo eroiche e fantasiose battaglie notturne in un ormai vieto gioco di slogan pubblicitari per il proprio pene e per le Femminismo Maschio perobbligo? Sessisti, aggressivi, competitivi, cacciatori, vanagloriosi e bugiardi, finalmente gli uomini hanno incominciato proprie acrobazie, certamente è più triste e difficile ammettere sofferenze, impotenze, gelosie, incapacità di ogni genere. Non ci si può commuovere, si teme il ridicolo, non si è più eroi, il gioco della competlZlone crolla. Paura di confrontarsi. Ecco perché dal 1970 a ora pochi sono stati i « piccoli gruppi » maschili e comunque anche quei pochi non hanno avuto lunga vita. Ma Cesare (cinquantenne, il nonno rivoluzionario, come si definisce egli stesso) insi\te. Ha grande fiducia nei risultati 9 a parlare per capirsi e non per vantarsi. E' nata l'autocoscienza maschile, ma sono ancora pochi. del piccolo gruppo di autocoscienza, serve - dice - in maniera positiva anche a recuperare una dimensione comunitaria della vita, ne sta organizzando un altro, aperto a tutti con la partecipazione femminile perché crede nell'efficacia della presenza di almeno una donna (senza di questa si può correre il rischio di essere fatte a polpette se pure con un altra salsa): tutti i venerdì sera dalle ore 21 in poi al1 'Occhio l'Orecchio la Bocca ci si può riunire anche con le proprie compagne e tentare di ch1anre veaere ce1care insieme una via d'uscita ». Per il passato hanno partecipato maschi di tutti i tipi, marxisti ortodossi, reichiani, neofreudiani, degli hippyes, degli zen, figli dei fiori, scapoli, sposati, divorziati; stilarono anche un documento che fecero girare fra i colletti vi femministi. Ma gruppi così numerosi rimangono limitati alla discussione, per farli funzionare più precisamente a livello di autocoscienza è necessario poi passare ai « piccoli gruppi ». Ed è a questo punto che i maschi preferiscono essere soli, senza la presenza delle donne perché questo, dicono, può alterare tutto, li rimette nel loro ruolo di maschi, ruolo imposto da questa società ancora fortemente patriarcale e sessista, vogliono fare le belle figure davanti alle ragazze con il rischio di finire a « far salotto ». Prima ancora però di affrontare l'argomento uomodonna, hanno scelto di discutere il rapporto uomouomo che è un rapporto di forza di competizione di aggressione. Il suggerimento è di partire non da discorsi ideologici in generale, ma dai fatti privati, e soprattutto senza abbandonare mai la consapevolezza di essere di sesso maschile; ne vengono fuori delle biografie che, se fatte con la massima sincerità, servono a smantellare un po' di difese, e a riconoscere certe debolezze personali di comportamenti di sentimenti. Certo, per gli adulti che sono gravemente danneggiati dai pregiudizi e dai condizionamenti di una società borghese che ha istituzionalizzato la brutalità, il « cammino della speranza » è più lungo e lacerante, ma anche per i giovani nei quali questo morbo non trova più terreno di coltura, è consigliabile la pratica del « piccolo gruppo». Agnese De Donato
Per grazia di Dio e nostra fortuna il neofascista è analfabeta. Logico, si dirà: la proprietà di linguaggio scaturisce dalla chiarezza di idee e la cultura è tale solo se sostenuta da attenzione, come prensione e recezione di realtà altre da noi, del contributo e del pensiero degli altri. Il fascismo, essendo per antonomasia esaltazione di stupidità, negazione di idee, irrazionalità che si cela dietro il mito, non può che produrre un linguaggio simile a sè. Il che, staccato come è oggi (almeno per il momento) dal sostegno organico del capitale, in un contesto sociale che ne sottolinea il carattere delirante e anacronistico, si ritorce tout-court contro i suoi esponenti-propagandisti. Persino il lettore assolutamente privo di granum salis, il demente mongoloide educato nella scuola taliana gentiliana, decisamente scisso dalla famiglia patriarcal-mammista, definitivamente nullificato dalla TV, legge una pubblicazione fascista, e scappa. « Abbonati e fai abbonare i tuoi amici - scrive con piglio degno di tempi migliori La Sfida, settimanale della « giovane destra » - darai un contributo alla divulgazione delle nostre tesi e dei nostri problemi ». Ora non si capisce perché il lettore, per quanto picchiato in testa tanto da comperare il suddetto settimanale, dovrebbe entusiasticamente provvedere a farsi carico dei « problemi », certo gravi, di quel foglio. Non ne ha già di suoi? Ché, se poi tra i problemi della rivista c'è - come certamente c'è anche quello di battere cassa presso petrolieri e zuccherieri onde ottenere contributi indispensabili per la sopravvivenza del giornaletto, non si fa che invadere un campo già ampiamente battuto da ministri e partiti vari continuamente bisognosi di versamenti su c/c. Questi ultimi potrebbero seriamente seccarsi dell'inflazione causata da postulanti alla ricerca querula di abbonamenti corredati di problemi. Ma errare è umano, come dicono i sostenitori del senatore Fanfani dimenticando che perseverare è diabolico. Ancorché sgrammatico, il linguaggio della destra rivela in realtà una profonda conoscenza della natura umana. Esso ricalca quel tipo di messaggio pubblici tario rozzo e primitivo che rifugge da sottigliezze, corteggiamenti alla lontana, tortuosità, sottili evocazioni di memorie e desideri rimossi ... (X, lo amaro per l'uomo forte, e giù una manata sul tavolo, per dire). Il linguaggio neofascista preferisle lo slogan secco, che va diritto allo stomaco come un pugno: « credere, obbedire, combattere », appunto. Le raffinatezze le lasciano alla DC. Sul Candido, per esempio, si parla così, a proposito del1'assassinio di Claudio Varalli ucciso dal fascista Braggion (pezzo non firmato): « ... una tale Marcl Matteucci ragliava in prima pagina ... Dalle parole di questo emerito farabutto degno in tu ttO e per tutto degli altri mascalzoni che gli hanno fatto eco nella redazioneletamaio del Corriere d'Informazione ... » E più avanti « Non uno di questi figli di cane (sono sempre i redattori del Corriere d'Informazione e del Corriere della Sera, ndr) ha scritto l'unica ineccepibile verità: se un branco di teppisti comunisti (etc.) non avesse aggredito in piazza Cavour un giovane che si faceva i fatti suoi, non gli avesse sprangato (? ndr) la testa, questo giovane, per un sacrosanto atto di legittima difesa (etc.) non avrebbe bucato la zucca di un aggressore » ( si intende che questo linguaggio brutale si affianca a pagine di autocommiserazione, pianti, dichiarazione di buona fede incompresa etc.: i toni convivono esattamente come Fascisti Achiilridicolo Anoi! Fra la retorica patriottarda degli e.-ni,ci Balilla, l'astio delirante del Candido e l'autocommiserazione, il fascismo è anche imbecillità e sottocultura. convivono l'Almirante parlamentare e quello che in piazza incica i suoi scagnozzi all'omicidio politico). Meno sicuro di quello del fa. scismo a cui si richiama - « Tu! camerata devi leggere questo libro », ordina un manifesto del '25 - il tono dei neofascisti trova forza e sicurezza in se stesso attraverso la volgarità pura e oscena. Incapace di rassicurare il suo pubblico, sia pure a livello meramente verbale, metafisico, emozionale, !EDEREO tf1 Raduno fascista si muove ancora sul piano del mettere paura: suscita angoscia, senza essere capace di esorcizzarla, diffonde la propria mania di persecuzione. E in questo senso si trovano punti di contatto anche col nazismo anni trenta. Sono questi gli aspetti più osceni, ma anche più noti, della comunicazione della ideologia fascista. Ma, per qu;,.nto assolutamente privo di sfumature e di articolazioni, come si è detto, nel
linguaggio di scribacchini e oratori del MSI-destra nazionale, si possono tuttavia separare due modi di adescamento diversi. In periodo elettorale (e comunque sempre in TV, in parlamento,. fuori dalle piaz. ze dove il fascismo getta alle ortiche il doppio petto per rivestire la camicia nera dei mazziei;i), l'arte della demagogia è più adatta alla con· quista delle frange sconten• te che si spera di adunare quantomeno alle urne (i tempi delle ovazioni sotto i balconi sono passati). E quale più facile demagogia della retorica più bieca? Il neofascismo non ha dalla sua il potere, nè l'appoggio della borghesia industriale: non dispone delle leve di consenso (i mass-media sono appannaggio della DC; si pensi invece ai discorsi del duce alla radio, ai giornali a fumetti, alla storia raccontata ai ragazzi con libri capa• AlmirantP. Il ridicolo a noll ci di simili passi ». In quella, vedemmo svoltar nella via un gruppo d'una ventina di uomini, in mezzo a cui era un giovane che grondava sangue, ma era sorridente, quasi gaio: in mezzo a una faccia maschia, romana, dai lineamenti stagliati come nel vivo sasso, sotto una fronte lapidaria, splendevano due occhi come fari. Non li avrei dimenticati più. Così ho ve• duro per la prima volta Mussolini » - Da « Guerra e fascismo )> a cura di Leo Pollini, ed. La Scala d'Oro • 19 34 ), non ha che una pubblicistica gracile, rachitica, squallida. La mancanza di un seguito di proporzioni minimamente decenti lo costringe a un discorso ripiegato su se stesso. Se si esclude qualche guizzo di Almirante, tanto i comizi che gli « articoli » girano intorno a un vocabolario di un centinaio di parole, e a tre concetti, ripetuti fino alla sazietà (ordine contro il 11 malgoverno, legittima difesa contro il pericolo comunista, il quale, a sua volta, procederebbe su due fronti: da una parte la violenza rossa « antifascista », dall'altra la scalata al potere, complici la DC e i partiti di centro sinistra in genere). Diceva Mussolini che l'uomo prima di sentire il bisogno della cu 1tura ha sentito il bisogno dell'ordine. Ma i suoi epigoni, pur avendo presenti i con• cerci fondamentali e sforzan• dosi di riproporli, non riescono a trovare il cono. Ci riamo da un com1z10 di Almirante « Noi siamo per l'ordine addirittura da un punto di vista dottrinario e culturale ». Che resta di Mussolini? neppure la forza negatrice, la demagogia becera ... Resta soltanto il conformismo, la retorica: Almirante non è che un Fanfani minore. Dell'eroicità, dei miti mussoliniani della virilità e della potenza, vere valvole di scarico dell'angoscia elevata a ideologia, sopravvivono, nel messaggio neofascista, incer te reminiscenze, incapaci di di convinzione perché posticce, non introiettate nep• pure da chi quei miti dovrebbe rilanciare, dai leaders-burattini della destra nazionale. Leggiamo sul Secolo un discorso del capolista napoleta• no Gianni Roberti: « Il giovane è generoso, non ha pieghe sull'animo, è anticonformista, ama agire controcorrente ». E poi « Religione, onore, e fierezza sono il mot• to del MSI, ai giovani del Fronte la consegna di esserne degni ». E sul Candido ticoli come questo « A mani nude contro le pistole » e un brano (sull'episodio che è costato una gravissima infermità a Sirio Paccino, colpito a revolverate dai fascisti della sezione del MSI al Flaminio ): dopo aver messo con le spalle al muro i « difensori » della sezione, i « guerriglieri rossi » vedono un ritratto di Almirante: « Rosei (segretario della se• gre tario della sezione ndr), stacca il quadro, gettalo per terra e sputaci sopra. Avanti, svelto, tanto tu sarai il primo a morire » dice, secondo la ricostruzione, un « rosso )> deamicisiano (il Franti della situazione), senza sapere che i giovani missini sono più deamicisiani di lui ». li giovane nazionale aveva un at• timo di esitazione scambiando un rapido sguardo con i tre amici. Poi, fingendo di ubbidire, staccava il quadro dalla parete ma, anziché get• tarlo a terra, lo scaraventava con un gesto disperato con· tro gli sbalorditi aggressori. Era il segnale. Coraggiosamente, sospinti dalla forza della disperazione, i giovani missini si gettavano contro gli aggressori armaci ... » etc. etc. Brano e titolo certamente ricalcano le pagine del « Vit• torioso », giornaletto edifi. canee per ragazzi dell'Associazione cattolica, vero soste• gno della linea « pedagogica » secondo le direttive del Minculpop; o dell'Avventu• roso, in cui baldi e generosi mozzi si imbarcano clandestinamente per combattere per l'Impero, e ineffabili Balilla muoiono felici salutan• do la mamma, la camicia nera e il tricolore. Ma, tutto• sommato, farce le debite proporzioni, gli eroi di carta di allora ci appaiono più credibili dell'on. Tremaglia che « di fronte ai teppisti di sinistra che non risparmiano neppure le Chiese e la Torre dei Caduti, il sacrario intoccabile per i bergamaschi... » l'on. Tremaglia, che appunto « vive » (le virgolette so• no loro, chissà che vuol dire) e « coordina iniziative e tiene collegamenti, imperterrito, sicuro garante della no· stra sacrosanta battaglia per la libertà ». Sicché qualsiasi marcia su Roma o dintorni ci appare più lontana che mai. A meno che non si VO· glia fare un confronto era linguaggio del ventennio e delirio demo-fanfaniano. Ma questo è un altro discorso. Teresa Tartaglia
« Chiunque, dopo un rapporto amoroso fallito, continua a credersi " colpevole " di non aver saputo farlo andare meglio, può risparmiarsi il viaggio fino a Napoli». Sarà riforma o sarà rivoluzione, secondo le forze che riusciremo a produrre, ma la vera causa dell'infelicità è isolarci, cercare l'amore nel nostro privato ». Con queste dichiarazioni, progressi ve e corrette, si è presentato il congresso Oppressione sessuale e liberazione, indetto dal Fuori.', dall'Mld e dal Partito radicale. Per chi si aspettava discorsi isterici e difensivi, sbarbati volti maschili ridicolizzati dal rossetto, movenze effeminate e tendenze da ghetto, è stata una grossa sorpresa. L'individuazione delle femministe come alleato naturale nella battaglia di liberazione dall'oppressione di una sessualità stabilita dall'alto, la ricerca dell'apertura verso tutti quelli che vivono il sesso e l'amore nella repressione di questa società tollerante e disumana, hanno dato al congresso del Fuori! (non era soltanto loro, ma erano loro la maggioranza) una caratteristica nuova, tutta politica, di elaborazione, Omosessuali Son'Fuori' rossieparlando'amor organizzazione, raccolta delle forze intorno alla rivoluzione sessuale, lotta per una società di uomini e donne liberi, non più separati nei loro ruoli antitetici di maschi, muscolo, cazzo, potere e donna, fragilità, fica, maternità. Ha parlato Alfredo Cohen, uno dei fondatori del Fuori.', dolcissimo e intelligente, ha raccontato le persecuzioni cui nei secoli sono stati soggetti quelli come lui, ma senza chiedere pietà, senza appellarsi al buon cuore della corte: « Ci hanno chiamati finocchi perché nel medioevo venivamo bruciati legati a fascine di finocchio perché il rogo durasse di più » ha detto, rivendicando il proprio diritto a vivere, amare, scopare secondo libertà, e non seguendo una norma, l'eterosessualità, costruita a misura di questa società fallocratica, dove il potere si regge sulla diseguaglianza e sull'oppressione stessa. C'erano circa 400 persone, alcuni con gli orecchini, ma pochi, e un po' provocatori: volevano spogliarsi, raccontarsi, buttare dalla finestra il tavolo della presidenza, parlare di liberazione, fare vedere quanto sono bravi loro che non hanno paura della morale corrente. Era un po' un giocare ali'« io sono più alternativo di te » ed è caduto abbastanza nel vuoto, nel clima generale di maturità politica. « Vogliamo dimostrare che la lotta degli omosessuali è lotta politica, che l'omosessualità è in tutti noi, uomini e donne, componente più o meno sviluppata, ma inerente alla nostra capacità di amare, non devianza o anormalità», hanno detto Angelo Pezzana, dirigente del Fuori.' e tutti gli altri, isolando quelli che persistevano in atteggiamenti provocatori, da piccolo gruppo di drop-out del sesso. (« Spogliarsi è giusto, ma è più importante in questo momento non finire in questura » ). Non tutta la fase provocazione è stata chiusa: il congresso, per esempio, si è tenuto a Napoli, capitale del maschilismo italico, cuore pulsante della civiltà dei Lando Buzzanca, dell'aggressività erotica da marciapiede a scopo agonistico, del disprezzo per i « ricchioni », uomini che si sottraggono per loro stessa scelta alla scala di valori che vuole le dimensioni del membro virile e il numero di femmine impalmate unità di misura del potere, simbolo di vittoria. p d Ed è stato a Napoli che, a conclusione dei lavori del congresso, venti persone sono sfilate, domenica mattina, per le strade del centro, nonostante il divieto della questura (« La nostrn città non può soprortare un simile oltraggio » ), portando cartelli che rivendicavano il libero uso della propria sessualità e altri che etichettavano a grandi lettere i gusti sessuali di chi li portava appesi incollo: « Sono omossuale ! ». In piazza Plebiscito dieci poliziotti in borghese, spalleggiati da un manipolo di poliziotti armati, hanno aggredito, caricato e insultato i manifestanti. Tutti i cartelli sono stati fatti a pezzi. Teresa, una femminista radicale dell'Mld che, pur non essendo omosessuale portava scritto al collo « Io sono lesbica », li ha definiti particolarmente furiosi: difendevano non soltanto l'ordine pubblico, ma anche con particolare, selvaggio entusia- • smo la moralità corrente della società borghes".' che vuole gli uomini con le donne e le donne. con gli uomini, perché il film rlcll'amore secondo la religione è la procreazione. Lidia Ravera
Nell'interno della copertina, c'è una citazione di Enrico Berlinguer sulla necessità di « fare lavorare la fantasia»: attività che « non è solo propria dei bambini, ma anche dei rivoluzionari». Il disco è il più recente di I van Della Mea, « La nave dei folli » (1 Dischi del Sole, 33 giri DS 78). La ballata lunga che dà il titolo al disco presenta molti elementi di novità; innanzitutto nella struttura musicale, che non trova alcun riferimento nei precedenti lavori di Della Mea: si tratta di un'unica, compatta frase melodica, dai toni costantemente alti, senza quasi soluzione di continuità. Una canzone da cantare tutta d'un fiato, premendo sulle parole, inseguendo le strofe, gridando sul ritornello. Inusitato per Della Mea anche il numero di strumenti usati per l'accompagnamento: oltre alle chitarre ci sono il contrabbasso, l'organo Hammond, le percussioni e il flauto traverso. Ma la novità maggiore del disco è rappresentato dal carattere insieme metaforico e realisttico di questa Nave dei folli. La rivendicazione del diritto alla fantasia, di cui la ballata è una mrta di manifosto programRecensioni Suonorosso Tre dischi politici: Della Mea. Claudio Lolli e Giovanna Marini. matico, è esigenza non di evasione nè di fuga, ma di concreta e fondata volontà di utopia, richiesta ineludibile di trasformazione creativa del reale, forza materiale per il suo ribaltamento. Anche l'uso della metafora non è quindi esercizio illusorio ma - al contrario - anticipazione di una modificazione della parola, del linguaggio dell'espressione. E il discorso che vi è contenuto - la rottura col vecchio mondo e con la vecchia cultura, l'unità degli ultimi e degli sfruttati, la necessità di rifondere « poesia, creazione e fantasia » dentro una rivoluzione sociale che sia anche « rivoluzione culturale» - nasce innanzitutto dal rifiuto che « la rabbia si umili nell'arte » e dalla volontà di « tenersi lo sporco ben stretto e cosciente ~ra pugni rinchiusi ». Di Claudio Lotti conoscevamo due dischi, decisamente interessanti: Aspettando Godot e Canzoni di morte, canzoni di vita; ci era sembrato (e tutora ci sembra) il più « politico » dei cantanti leggeri, anche tn; i « Guccini-Venditti-De Gregori », e avevamo apprezzato canzoni .come Compagnu Gramsci, Borghesia, Morire di leva e La guerra è finita; si indovinava in esse (e talvolta si esprimeva compiutamente) una forza satirica corrosiva nel ritratto dei vizi, delle miserie, delle manie di una borghesia fatiscente e meschina; una certa capacità di fare cronaca (e addirittura storia) dando dimensione poetica ai fatti e alle vicende; una partecipazione autentica alle fatiche e ai dolori di quell'universo di ubriachi e di puttane di cui sono popolate le sue canzoni. Si coglievano, però, in queste prove precedenti, anche i limiti maggiori Jel lavoro di Lolli; l'uso stanco, spesso rituale, di un linguaggio consunto proprio di una sottopoetica ormai esaurita e che ricorre a immagini logore; e, soprattutto, musiche pesanti, monotone, spesso banali. Questi due limiti sono diventatì ormai, nello ultimo disco di Lotti ( Canzoni di rabbia in Columbia), vizi fastidiosi. Ed è un peccato, perché anche qui il buono c'è; e non è poco. Si avverte una maggiore maturità politica e culturale, un discorso più compiuto, ci sono brani come - Prima comunione - anche belli; ma tutto questo annega in un impianto musicale di una monotonia e di una rigidità insopportabili, 111 cui la voce di Lolli (non troppo ong1 nale) viene ulteriormente sacrificata. E nemmeno il Un• guaggio conosce impennate o, perlomeno, riesce a evitare sempre la banalità. La voce come trasfigurata nella tensione del canto e delle parole, Giovanna Mamii racconta: « Due guardie mi vennero a prendere a casa c'era mia madre vestita di nero ». E' una ballata per l'anarchico Marini, recentemente condannato dalla Corre d'appello a 9 anni di galera, perché ri tenuto colpevole di avere ucciso il fascista Favella da cui era stato aggredito. La ballata è bellissima; Giovanna Marini, come dicevamo, la canta con una partecipazione e una intensità che ne stravolge la voce, riducendola all'essenziale, smussandone ogni asperità, raddolcendola allo stremo. Questa « Voglio la mia libertà » (Dischi del Sole, Linea Rossa 20) è il più recente contributo all'aggregazione di un canzoniere anarchico contemporaneo che si riallacci a quel ricchissimo patrimonio di canti prodott0 dal movimento libertario lungo tutto il suo itinerario storico. Simone Dessì
FrippeEno In duesenza complessi ... antichi villaggi si perdono alle falde delle Highlands, le alci vivono la loro libertà e migrano da un pascolo all'altro, la primavera sboccia e le nevi si sciolgono dopo che il vento ha soffiato, i torrenti corrono a valle ed i cacciatori tornano con la preda ed è subito festa e da una pendice all'altra risuonano ed echeggiano melodie che raccontano di vita. Nelle Lowlands ed in Galles si trovano persone tranquille, contadini che ogni settimana amano la danza ed il divertimento e quando sulle colline la messe appare feconda, le genti accorrono dai paesi v1crn1e si accorrono dai paesi vicini e si raccolgono. Se negli inverni più duri qualcuno deve camminare nella tempesta, dice una traccia, probabilmente non arriverà e continuerà in eterno a vagare per quelle terre. Oltre i laghi profondissimi ed i dirupi sorge l'Irlanda e da quelle parti la gente si ritrova ogni sera intorno ad una birra ed esce dal gelo e discute. Un giovane od un anziano colgono sempre le battute migliori e le traducono in musica; all'aperto nei brevi giorni d'estate ci si sente invasi dal ritmo della terra ... Fripp & Eno, Maggio '75: Electronic Muzak ! Lione 27-5-'75, intervista con Robert Fripp, ex King Crmson, e con Brian Eno, ex Roxy Music. D. C'è una spiegazione per questa serie di concerti che andate conducendo in Europa attualmente? Eno. Abbiamo lavorato insieme molto, la collaborazione può essere continuata « on stage », anche se fino ad ora non tutto è andato bene. C'è gente che viene per ascoltare il nostro passato, da « Baby's On Fire » a « Schizoid Man » e non capisce realmente le intenzioni che abbiamo. D. Saranno certamente qualcosa di molto simile a « No Pussyfooting ». Eno. Quella è la base, a livello di esperienza elettronica, ma è chiaro che ora molte cose sono cambiate, pur non considerandomi io un musicista ed anzi amando svisceratamente la musica muzak, riusciamo a penetrarci perfettamente. D. Probabilmente stai scherzando. Stai parlando di «muzak » nel senso di musica commerciale, retriva, priva di valore sociale, politico, oltre che artistico. Eno. Questa è una definizione. Non mi piace. Io faccio del muzak perché è un modo diretto di comunicare. Ma elettronicamente, forse è diverso. Robert Fripp, nel frattempo, guarda dinanzi a sé, complettamente estraneo alla conversazione, anche se le domande sono rivolte ad entrambe. Sorseggia un succo naturale, capelli cortissimi, maglietta « Starless & Bible Black » eccetera ... D. Cosa vuol dire suonare insieme, per artisti di diversa estrazione? Eno. Significa stabilire un rapporto uamono diretto, divertirsi soprattutto, creare una situazione creativa, lasciare che la forza da so-
Ja, ma nata da due corpi, due cervelli, comunque divertirsi. D. C'è divertimento nella presunta «avanguardia»? Eno. Dal mio punto di vista c'è sempre della gioia, al momento della creazione di qualcosa di personale, comunque, l'ho già detto, io non sono un musicista. D. In che modo avviene tra voi una situazione creativa, dal momento che Eno non si considera un musicista e Robert, invece, è considerato un musicista? Fripp. Io nono sono un musicista, io sono un uomo. D. E' possibile che la « cultura Zen » ti abbia influenzato in qualche modo? Fripp. Non esiste C1Ultura Zen. D. Lo so benissimo, la domanda era provocatoria, è molto difficile stabilire un rapporto con te, al cli là dell'intervista. Sto cercando di avere un contatto e non ci riesco; sto cercando di capire il tuo silenzio. Fripp non risponde ma sorride, il momento di gelo, Eno in imbarazzo. D. L'uso della droga ha portato in America, soprattutto alla fine del '70, molto a livello musicale ... .fripp. Non mi sembra. D. Credo che la ditterenza tra la vostra musica e quella americana sia tutta qui, avete diversi metodi per divertirvi e comunicare. Eno. lo ad esempio ho questto - mostra una scatoletta nera, la apre, ci sono delle carte, completamente bianche, portano scritte in nero stampatello, strane - sono anche la mia Via, possono indicare una strada, un metodo, un'ora, una scelta, o possono significare nulla. D. Mi dispiace ripetermi, ma c'è molto Ze1. in questo. Eno. E' vero - leggiamo insieme aforismi, giochi di parole che invitano al pensiero libero, molto meno gelo intorno, ma Fripp è ancora immerso nel suo mondo, poche cose sembrano in15 teressarlo, tranne sorridere ogni tanto ad Eno e guardare con aria distaccata le cose, quasi non esistessero. D. Per Robert. E' possibile ci siano delle ragioni intrinseche nel fattot che l'America, per due volte ha significato lo scioglimento dei Crimso? Fripp. Certo, ma non è importante parlarne, comunque in America avvengono molte cose, la libertà viene intravista, la stessa tetcnica strumentale può cambiare ... D. Avete avuto influenze di qualsiasi genere? Eno. Un pittore, in passato. Per me musica e pittura sono la stessa cosa, musicalmente La Monte Young e Steve Reich. Mi piacciono moltissimo i Kraftwerk di « Ralf & Florian », i Can, che trovo una macchina ritmica ineguagliabile ed i Neu. Ascolto anche musica classica, molta. - Fripp non risponde. D. Per Eno. Vonei un tuo parere sulla secr,r.cla facciaeta di « In The Wake Of Poseidon ». Eno. Molto bella, musica elettronica senza mezzi elettronici, una con le mani e con il cervello. D. I aruralmente non verrete in Italia. Fripp. La gente è molto esigente, ma maleduc'.lrn: i concerti di Roma, primo e secondo, potevanc andare molto meglio. Per orf. non se ne parla. Considerazioni: Ad og~i, siamo dinanzi a due tra i 'Tiigliori artisti rock inglesi: in Fripp sembra esista una forte componente esoterica, che domina in qualche modo la sua vita, mista ad u,, senso di forte narcisismo, un po' ammalato ma attivo, forze introspettive e psicologiche che forse gli vengono da unn grande timidezza. Eno è una persona dolcissima, ma ricca di violenza espressiva. Cancella continuamente la propria immagine esteriore e ne crea una nuova ad ogni istante, ostenta sicurezza, ma in fondo è un uomo innanzitutto pieno di rispetto per gli altri. Il concerto: Parigi-OJympia 29-5-'75 Tutto esaurito, gente sballata dappertutto, il suono di Pussyfooting esce dai di f. fusori per una ventina di minuti poi, nell'oscurità completa, caldissimo light show alle loro spalle, sono sulla scena Brian Eno e Robert Fripp. Il gioco è presto evidente, pur non trattandosi di gimmick. Su un'intelaiatura costruita in precedenza, Eno lavora unican,ente scegliendo nastri, filtrando il suono della chitarra, sovrapponendo continuamente le sonorità. Fripp coglie ogni tanto momenti di musicalità altiss:ma e sognante, lunghissimi assoli lancinanti e spaziali, poi rotture improvvise, breaks che fanno trasalire, la mano improvvisamente ferma eppure il suono esce ancora, la nota tenuta ir~ieme da Eno, magia del muza!( elettronico. Il tutto, Eno lo av:::·✓a detto in precedenza, semb,a fortemente influenzato dalla idea di composizione « in serie » di Riley o Reich, ma la resa qui è diversa, più delirante senz'altro. ulla del passato comunque e la gente francese non sembra gradire ... Fripp ed Eno escono di scena più volte, mentre la musica continua ad andare sui nastri e sulle ultime note lasciate nella chitarra e poi filtra te dai sintetizzatori. Tre diversi momenti del concerto, tre approcci alla musica elettronica sotto varie angolature, ne escono inevitabilmente i Pink Floyd, barlumi di intu1Z1oni alla « Lizard Big Top » e mi viene in mente Jimi Hendrix. Maurizio Baiata
Jna tesi recente dell'Istituto di storia delle Tradizioni Popolari a Roma mostrava come circa il 45% dei dischi di musica popolare editi in lttalia siano dedicati a Sicilia e Sardegna (il 30% circa a quest'ultima). In parte; questo è spiegabile con la ricchezza del patrimonio musicale delle due isole (non a caso, direi, isole! ); ma altre regioni assai ricche e interessanti sono ignorate: per fare un esempio, l'Umbria è virtualmente assente in questa produzione. Io direi che si tratta soprattutto di un'operazione di consumo dell'esotico. Il simbolo principale di questa operazione (dopo il fallimento di Resa Balistreri, troppo autentica nonostante tutto) è oggi la folk-diva Maria Carta. La vediamo ingioiellata in abito da sera sulla pagina culturale del!'« Espresso»; la ritroviamo che spiega alle lettrici rusconiane di « Grazia » gli esotici riti che presiedettero alla sua nascita come se parlasse dell'Africa Equatoriale. Vediamo infine che solo per fare da contorno a lei si apre in TV lo spazio per un programma sulla Sardegna e la sua musica. E ci rendiamo conto sempre di più che i contadini, i pastori, i minatori, gli emigrati sardi che hanno creato questa musica e questa poesia sono solo un pretesto, ma restano esclusi dalla gestione dell'operazione « folk » che si compie con Maria Carta. D'altra parte, non è detto che la moda del « folk revival» venga tutta per nuocere. Per esempio, è difficile pensare che senza questa moda si sarebbero potuti pubblicare ed offrire alla normale distribuzione commerciale dischi come quelli della trilogia « Musica Sarda » curata da Diego Carpitella, Pietro Sassu e Pietro Sole per la Vedette. Qui. lo sforzo conosd tivo è evidente, soprattutto nella ricca, articolata presentazione teorica e scientifica. Ma io vorrei soprattutto ricordare che la musica che si ascolta in questi tre dischi di registrazioni su campo effettuate in varie zone della Sardegna, eseguita quindi prevalentemente da musicisti tradizionali non professionali, è infinitamente superiore a qualunque cosa si possa ascoltare nei dischi di Maria Carta C'è da rimpiangere solo il fatto che la musica sarda è qui assunta come fenomeno a sé, un po' staccata dal complesso della realtà sociale della Sardegna; perciò l'antologia è un documento parziale (né vuole essere di più), ma egualmente fondamentale. Altri materiali di m:.isica sarda, in esecuzioni di musicisti tradizionali, sono uscite nella collana « Folk » della Fonit Cetra. Da un lato, abbiamo un disco - « Pascoli serrati da muri » - del Coro del Supramonte di Orgosolo; dall'altro, « Le me' brunedda è bruna » degli Aggius (Coro del Galletto di Gallura). Ora, l'intera impostazione della collana « Folk » mi sembra assai discutibile, proprio perché orientata a dare un'immagine passatista, rurale, del patrimonio culturale delle classi non egemom m Italia, e quindi destinata a rafforzare un'immagine della cultura popolare oggi come residuo e sopravvivenza, più come realtà viva e politicamente operante. Però i due dischi in questione sono, almeno ad un primo impatto, splendidi. Il perché è ovvio: la personalità e la bravura degli interpreti sono fuori discussione. Si tratta di contadini, pastori, braccianti, operai che eseguono a modo loro, nel loro stile, il proprio patrimonio musicale tradizionale: la polifonia barbaricina ( « sos Tenores ») per il gruppo di Orgosolo. ed una musica impastata di influssi sacri in quello degli Aggius. Sono, ovviamente, interpreti di alto livello; però, qualche cosa su0na buffo. Anticolonialismo Samusicasarda Tra il folclore posticcio di Maria Carta ingioiellata alla televisione e gli effetti osteria degli orgosolesi che imitano se stessi, nessuno pare aver voglia di sentire la Sardegna com'è oggi. Per esempio, non riesco a levarmi di dosso, nell'ascoltare il disco di Orgosolo, che nonostante tutto i compagni orgolesi siano impegnati in qualche modo ad « imitare » se stessi per il beneficio del mercato discografico. Che senso hanno, per esempio, quei « richiami di pastori ». così ovviamente registrati in studio, senza funzione; o quella « mc\rra » giocata fuori da un'osteria? Bastava andare a Orgosolo con un registratore, si sarebbe avuto del materiale ben diverso. Ma qui l'impressione è che si voglia dare al consumatore, più che l'autenticità, l'illusione dell'autenticità. Perciò i « rumori di fondo » servono a fore colore locale, quello 16 La • conquista • della Sardegna cioè che si chiama dispregiativamente « folklore ». L'impressione la rinforza la presentazione dei dischi. L' introduzione di Diego Carpitella al disco di Orgosolo è, ovviamente, competentissima e illuminante. Stimola, per esempio, la sua ipotesi circa il fatto che nella cultura popolare arcaicità sia di fatto modernità, perché indica la continuità delle funzioni a cui le forme arcaiche assolvono. Ma poi, quando si rratta di presentare i singoli brani, di analizzarne la struttura, di spiegarne le funzioni, c'è un crollo verticale: noterelle redazionali di due o tre righe che parafrasano i canti, o snocciolano agghiaccianti banalità («anche in Sardegna l'emigrazione ha in-
ciso sulle parole dei canti popolari. Questo testo ne è un esempio » è tutto quello che si riesce a dire di un canto di emigrazione. Ma perché non fare uno sforzo per dirci quanti sardi emigrano, da dove, dove vanno, e perché?). L'apparato critico del disco degli Aggius è decisamente squallido. L'introduzione di Salvatore Laurani parte su un tono di misticismo pseudo-antropologico per poi fini re con un'interessata e smaccata esaltazione reclamistica di Maria Carta (ma guarda un po'!). E il paternalismo trabocca da tutti i pori: un canto, per esempio, è « non privo ... di una sua delicata poesia ». E vorrei aggiungere che più della metà del materiale presentato nel disco degli Aggius èra già stato pubblicata in un aluo disco degli stessi esecutori fatto dai Dischi del Sole e nel disco dello spettacolo « Ci ragiono e Canto » (sempre dei Dischi del Sole), almeno 6-7 anni fa. Il fatto è che il complesso dell'operazione mira non tanto ad approfondire la nostra conoscenza della cultura popolare sarda, quanto ad immettere i più godibili materiali sul mercato - sotto specie di merci, da ; '' ;~- :i~- t ~ \o 2 -~- ,_ ~ ... 1~~ ., '; ascoltare magari "·eligiosamente (con l'avallo di importanti specialisti come Carpitella), ma non da capire. Tutta diversa l'impostazione di un altro disco recente, Is Launeddas », dei « Dischi del Sole ». Anche qui, come nel caso dell'antologia di Carpitella, Sassu e Sole, si tratta di un disco specialistico; il curatore è un etnomusicologo Danese, Friedolin Weiss Benzon, autore di un libro conclusivo sulle launeddas. Il materiale informativo che accompagna il disco analizza l'origine di questo strumento che è forse il più arcaico tuttora in uso nell'area del Medi terraneo. Spiega poi la tecnica di esecuzione, basata sull'uso di tre canne, di cui una esegue il canto, una il contrappunto, ed una il bordone. E' chiara ]'importanza di uno strumento del genere anche come fonte di idee musicali «nuove» (nuove, cioè, per i musicisti urbani di oggi; in realtà, a sai antiche nella cultura popolare), e quindi l'ascolto del disco è una esperienza musicale importante in sé. Ora, a conclusione di questo breve esame, vorrei anche fare caso ad un fenomeno non trascurabile: è cioè al !~ - '•:n i I ~ o; J l 17 fatto che in tanta produzione discografica dedicata alla Sardegna manca del tutto (salvo nelle intenzioni della collana regionale dei Dischi del Sole) un'immagine della Sardegna di oggi. L'isola ci viene presentata come una specie di grande parco nazionale della musica popolare, in cui specie altrove estinte sopravvivono in apparente libertà, ma ridotte all'innocuità dal fatto che la storia le ha superate. Ma la Sardegna non è tutta qui. In Sardegna c'è Porto Torres. In Sardegna c'è il Sulcis e l'Iglesiente, con le miniere (ed i licenziamenti), con le fabbriche (e le occupazioni operaie) di Portoscuso, di Iglesias, di Carbonia, di Cagliari, di Ottana. Possibile che queste realtà nuove, non tradizionali, non abbiano inciso per niente sulla cultura popolare sarda? Possibile che ci si continui a parlare di una Sardegna pastoralcontadina, se non brigantesca-feudale, fuori dal mondo del caµi tale e della classe operaia? Una Sardegna atavicamen te oppressa e tragica anziché una Sardegna modertata? Un esempio per capirsi. Ho accennato che, per esempio nei due dischi della FonitCetra ci sono anche dei canti « di protesta ». Sembra di sentire i leoni che ruggiscano nei parchi nazionali del Sudafrica. Perché sono protesta, non lotta: per esempio, dal disco del Coro di Orgosolo è stata esclusa la splendida canzone sulla lotta popolare che nel 1968 impedì ai militari di impadronirsi dei pascoli di Pracobello. Forse si rischiava di commettere vilipendio delle Forze Armate. Ma forse si introduceva una immagine non convenzionale della Barbagia: non solo sofferente, ma organizzata e cons:ipevole. Cerco, siamo molto lontani dal primo disco su OrgosoJ~ sul « Sa Bandiera Ruja » cantato da Peppino Marotto e un gruppo di compagni del suo paese (prodotto dai Dischi del Sole), in cui si partiva da Gramsci per arrivare al Vietnam: un disco tutto su forme tradizionali, ma tutto intriso della consapevolezza dell'oggi, e non a caso usato poi in Sardegna come strumento di intervento politico. Ne ho discusso con i compagni di « Su populu sardu », un movimento « anticolonialista » che opera in Sardegna e fra gli emigrati sul continente. Loro pensano che il modo in cui il « folk revival » è arrivato in Sardegna sia stato sostanzialmente colonialistico e consumistico, ed abbia accentuato il distacco delle giovani generazioni dalle forme espressive popolari tradizionali. Di qui, sempre nel giudizio dei compagni di « Su Populu Sardu », la relativa mancanza di canto di protesta in Sardegna. Discutendone, ci siamo però convinti che probabilmente quello che si conosce non è che una punta di un iceberg sommerso, e che i materiali politici non ci sono noti soprattutto perché nessuno li ha cercati (oltre che per le caratteristiche specifiche delle forme espressive sarde, basate sull'improvvisazione, e che quindi non tendono a conservare canti o strofe legate ad attualità specifiche). Di qui, dunque, la necessità di dare un'impostazione politica alla ricerca, per poter veramente raccogliere tutto quello che esiste nel patrimonio popolare. Ma anche quella di dare un'impostazione politica all'analisi anche dei materiali non direttamente politici (religiosi, lirici, rituali, narrativi} per riuscire a capi re davvero di che si tratta. Insomma, vale la pena di ascoltare la musica popolare - tutta la musica popolare, non solo le parti più godibili - se abbiamo intenzione non di goderci il rimpianto del passato, ma di conoscere e trasformare il presente. Sandro Portelli
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