lazioni e perde quindi in precisione perché i muscoli delle corde vocali sono più lenti e sono solo loro, uniti alla maggiore apertura o chiususura della bocca, a dare l'intonazione. La voce lirica, così vibrante e tipica, è databilissima: l'ottocento. Essa è drammatica evocatrice immediata di grandi teatri dell'opera, orchestrazione ricca, ritmi eroici e classici tre quarti, quattro quarti, sei ottavi. La voce più atimbrica e bianca, da castrato, è anche essa databile: il seicento, la musica di corte, il primo melodramma, il pubblico ristretto, il distacco, le opere direi metafisiche, Peri, Cavallari che addirittura scriveva « corpo e anima », orchestre di suoni limitati, violini con archetti rotondi poco sonori, flauti dolci, liuti ed arciliuti. La voce tagliente come una spada, modulante ma fissa sulla nota senza oscillazioni, richiama immediatamente il novecento: Cary Barberian, la ricerca di sonorità elettriche, atonali, la dodecafonia. Poi c'è la voce a emissione naturale, la voce « popolare », non faccio del razzismo sono pure costatazioni, tipica del proletariato. Si riconosce subito la voce di un intellettuale da quella di un proletario, quando rutt'è due cantano. L'una è più leggera, con sfumature, l'altra è molto più forte, di emissione facciale, con una nasalità che ne garantisce Ja durata, la forza, la non logorazione, la altezza (dall'emissione nasale si passa al falsetto). Questa voce proletaria non è casuale. Nasce in chi ha una lunga tradizione di musica vocale alle spalle, tradizione nella quale la voce è usata come strumento solista, quindi con grandi possibilità di abbellimenti e anche di autocontrocantarsi, se si pensa al « bei » toscano dove con un passaggio rapido dal nasale al gutturale il cantore fa sia la voce bassa che quella alta, con effetto polifonico. Ora gli scrittori classici di musica moderna cercano le voci a impostazione naturale, cerro, perché l'effetto è diverso, l'uso più ricco di possibilità. Nel campo della musica popolare le voci sono sempre di contrappunto. A Napoli e nella Campania in generale si suona il sisco, un fischietto a tre massimo quattro note, il sisco suona in un tono fisso, la voce solitamente discanta sul sisco intonando una quinta sopra. A Matera le voci usate ritmicamente, a seconda delle sillabe contrappuntano ritmicamente con il tamburo, lo stesso accade nel Salernitano. In Sardegna le voci fuse in accordi perfetti· maggiori e minori formano un vero e proprio organo, nel Lazio le voci mimano la zampogna, e il solista contrappunta con l'organetto a due accordi: tonica-dominante, o con la ciaramella. Sono voci che non hanno un sostegno acustico, un « punto acustico » come i teatri dell'opera, o un microfono come le voci classiche moderne, o pop e devono quindi uniformarsi alla sonorità dello strumento grazie alla forza di emissione, da qui la nasalità, che è l'unico modo per ottenere una voce costantemente forre. Questo non è un fatto italiano, ma internazionale, basta pensare alle ballate cantate da Almeda Riddle, in USA, dai Mc Ali in Inghilterra. Nel canto popolare cittadino la cosa è già diversa, l'emissione naturale da « posteggiatore » è a imitazione lirica, spontanea, sullo schema Claudio Villa, infarti l'accompagnamento è di chitarra, che ha poca sonorità, i luoghi di canto sono i ristoranti dove non si urla, basta però ascoltare il cantore cittadino, sempre proletario, in un luogo più aperto, e riprende immediatamente l'emissione nasale acuta forte, tipica del cantore contadino, basta ascoltare i poeti a braccio quando gareggiano in piazza. Ora le voci si usano di preferenza coltivando l'emissione popolare, sia nel campo della musica classica moderna, che in quello della musica pop 83 che nel campo della canzone politica. Rimane un'impostazione naturale leggera e sfumata solo tra i cantanti di un certo tipo di musica leggera, e quelli nuovi ancora oscillanti tra un pacato intimismo De Andreiano e vecchie riminiscenze americane Bob Dylanesche. Penso che ci incamminiamo sempre più verso l'uso della voce contrappuntante lo strumento, nasale tipo sassofono, e non è una novità, è una cosa che è venuta crescendo da quando i .Beatles usando il falsetto come l'ottavino in una banda, ridavano alle voci il ruolo di strumenti esattamente come nella tradizione popolare si è sempre fatto. Quindi anche nel canto solista, monodico, aumentano gli abbellimenti, le appoggiature, i virtuosismi vocali, il cantante incomincia a improvvisare a « svolare » come facevano le trombe anni trenta imitando le voci dei neri. E' un ciclo che si ripropone: dalla voce allo strumento, dallo strumento alla voce, sempre con maggiore indipendenza ritmica e melodica. Ora si pu6 incominciare a usare anche la polifonia vocale esattamente come la polifonia strumentale, non che non si sia già fatto, si tratta sempre di ritorni, ma. con usi diversi. Al cantante politico, la voce asciutta, ascetica, militante, al cantante popolare la voce a imitazione della voce contadina, al cantante pop Ja voce acuta, falsettata, a imitazione sax. Ora incominciando i complessi vocali, e strumentali dove le voci sono strumenti, e i generi incominciano a mischiarsi fra loro, a non potersi più distinguere così nettamente. Piano piano la cultura contadina diventa patrimonio anche della borghesia, per lo meno di un certo tipo di borghesia militante nella lotta di classe, da quando il lavoro dell'Istituto De Martino di raccolta e riproposta del materiale popolare è riuscito a farsi strada e molri giovani hanno acquisito così delle tecniche vocali e strumentali finora non conosciute, a livello nazionale. Si aveva solo idea della musica americana pop che infatti proviene da un paese dove la riproposta del materiale contadino è incominciata molto prima che in Italia e con fondi tali da permetterne una rapida diffusione. E, dopo l'istituto De Martino, tante altre case discografiche hanno dato vita a collane di musica contadina proprio perché il genere incomincia a farsi strada tra i giovani, che in questa musica hanno scoperto quasi una avanguardia musicale, un uso delle voci finora sconosciuto e ricco di sonorità nuove agganciabili alle grosse novità musicali che ci venivano dall'estero. Ora penso che in Italia si sia finalmente pronti a un tipo nostro di musica popolare (e questa volta con popolare non intendo solo contadina, ma aperta alle grandi masse della campagna della città della periferia) accumulando l'sperienza dell'uso vocale contadino alla ricerca di una sonori rà più libera, abbandonando la consonanza classica, cercando l'indipendenza vocale, il contrappunto allo strumento, il tutto con modi di improvvisazione come ormai li possiamo assorbire dai tanti documenti messi a nostra disposizione da nastri e dischi di canto contadino italiano. E questo non per un fanatismo nazionalista, ma per il bisogno di parlare un linguaggio musicale comprensibile a tutti, veramente popolare, che affondi quindi nella nostra tradizione richiamandone tutta l'esperienza, tutto il cammino storico, con un semplice segno distintivo musicale; un ritmo particolare (sarà diverso per esempio il « samba » dalla « tarantella » come richiamo un inciso musicale (il continuo passaggio dal maggiore al minore, per esempio), sono tutti strumenti espressivi che parlano da soli che raccontano momenti storici sociali, che msomma fanno cultura.
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