po, finché lui stesso, Pedini, non irrompe in scena e trai brandelli della memoria ritr vata gioca un'ultima partita di pallone con i suoi ricordi. E' stato detto che oltre a Fellini c'è nell'Otello molto Wilson. Le tracce lasciate in Pedini dal passaggio spoletino del maestro americano sono infatti piuttosto evidenti nello spettacolo per chi a visto A letter /or quen Victoria. Ma questo non toglie e non aggiunge. Wilson, come il Living o come Grotowski, ha influenzato in varia misura un po' tutti. Quello che conta è che la linfa sia autentica. Il che mi sembra evidente in Perlini. L'Otello sta li a dimostrarlo. Linfa autentica, vitale, nutrita da un costruttivo, ironico rapporto con gli oggetti e con le cose anche in Richiamo, secondo spettacolo del duo Remondi-Caporossi che ha confermato il successo ottenuto lo scorso anno con Sacco. Incisivamente « politico » pur nell'ambito di un'inesausta fantasia lirica, Richiamo tratta il tema non certo nuovo dell'alienazione del lavoro, mostrando in rapide e spesso felici sequenze simboliche come la fatica ripetitiva possa ledere in profondità i rapporti umani. Si potrebbe immaginare, con tali presupposti, uno spettacolo fosco e catastrofico. Tutt'altro. Nonostante qualche amara eco beckettiana, il mondo teatrale di Remondi e Caporossi ha sempre un fondo di allegria, di infantile felicità, che rende scorrevole, anche se non meno incisivo, il discorso, per aprirsi nel finale in un melanconico momento di speranza: « la deliziosa canzone della candela ». Difficile schedare nel settore teatro sperimentale i due migliori spettacoli visti questo anno insieme all'Otello e cioè La dodicesima notte di Shakespeare messa in scena da Marco Gagliardo e La cimice di Majakovski della Cooperativa Granteatro di Carlo Cecchi. Se, infatti da un lato sia Gagliardo che Cecchi si confermano figli, se non altro, della sperimentazione per coraggio e inventiva, i loro spettacoli sembrano piuttosto il proseguire in un'altra generazione (e questo discorso vale soprattutto per Gagliardo) del talento graffiante e innovatore di un Missiroli o di un Ronconi. Con La dodicesima notte Marco Gagliardo, alla sua seconda regia, ci offre uno Shakespeare ridotto all'osso, essenziale e modernissimo. Sfrontando e tagliando ampiamente questa commedia, tra le più complesse anche come intreccio, della produzione del poeta inglese, ottiene il risultato di portarne in luce e in evidenza i nodi centrali, dall'ambiguità sessuale di fondo all'amara dialettica padrone-servo, espressa magistralmente nel personaggio di Malvolio. Lo spettacolo, serratissimo, è di quelli, rari invero, in cui alla L'Utello Cli M. PArllnl 75 gioia di capire un'analisi registica sempre interessante, si accoppia un profondo godimento estetico per la sapienza con cui Gagliardo risolve in una chiave senza dubbio estetizzante, ma mai gratuita, i momenti principali di questo intelligente « riassunto shakespiriano ». Intelligenza che fa anche dimenticare, nel complesso, le eccessive stereotipazioni vocali di molti tra gli attori, tutti comunque di ottimo livello. Chi ha visto La cimice di Majakovskji nell'edizione sovietica del Teatro La Satira, si precipiti a vedere questa di Cecchi e capirà a quale livello arrivasse nello spettacolo russo il tradimento allo spirito dell'autore, il cui nome sembrava quasi fuor di posto in quella specie di ibrido tra balletto di Omsk e Rischiatu tto. Della Cimice Cecchi ci restituisce tutta la ferocia contro un mondo stupido e gretto, l'amarezza per una sostanza umana che il comunismo non ha cambiato e si serve con la solita maestria di quell'espressionismo carico e sanguigno a lui caro, creando intorno ai due personaggi dello stolido Prysipkin e del ci-. nico Baian una serie riuscitissima di macchiette alla Grosz perfettamente inserite in quella macchina di precisione che è tutto il primo tempo dello spettacolo, giocato su una comicità livida e pungente che raggiunge (anche grazie all'abilità di Cecchi attore, nei panni di Baian) la genialità in più di un momento. Il secondo tempo (di gran lunga inferiore al primo come sostanza drammaturgica) è molto meno stimolante e pare quasi irrisolto ideologicamente tra pessimismo e invito a sperare in un mondo migliore. Nè gli giovano, sommato tutto, i larghi tagli perpetrati. Vi sembra comunque che l'avanguardia sia in agonia? A me no.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==