Muzak - anno III - n.02 - maggio 1975

« La calunnia è lo, un'auretta tile ... ». un venticelassai genE' bastato qualche critico fredoloso e qualche intelettuale alla moda, perché le voci di allarme cominciassero a circolare. L'avanguardia è in crisi. Le cantine sono vuote. Cantiamo il requiem per la sperimentazione. Questi signori così pronti a scavar fosse forse non erano al Beat'72 pieno come un uovo per la ripresa delle 120 giornate di Sodoma o al Quirino con la gente in piedi per vedere l'Otello di Perlini. Se c'erano si vede che pensavano ad altro. Intendiamoci, la crisi c'è, nel teatro di sperimentazione, come in tutti gli altri settori. Una crisi, come dicevo nel numero di Muzak, innanzi tutto economica (ridotta disponibilità del ministero, aumento dei costi), ma anche, perché negarlo, ideologica e politica in senso lato• Ma c'è crisi e crisi. E, mi dispiace per gli illustri colleghi in doppiopetto blu (che fra l'altro se si mettessero un bel golf pesante nelle cantine avrebbero meno freddo), la crisi che vive oggi il teatro di sperimentazione italiano è una crisi di crescenza. Alla sua origine stanno l'impellente necessità di un momento di verifica collettiva sulle esperienze fatte, l'esigenza di contarsi e di riconoscersi senza troppi embrassonsnous con i primi arrivati, generosi quanto nocivi. E poi darsi la carica per affrontare un pubblico diverso e più vasto, strada che passa per scelte politiche precise. E capire che l'interlocutore immediatamente pronto, per suo grandissimo comodo, a dar sollecita risposta (l'ETI ' per esempio) può non essere il migliore. Convinto di quest'ultima affermazione sono andato dubbioso a vedere l'Otello di Perlini, nella trionfale tappa romana dopo il successo della Biennale. E le perplessità, diciamo « ideologiche» su un'operazione che ha avuto sicuramente carattere, dubbio, di « lancio mondano » e che è servita all'ETI come facciata modernista, restano. Restano però anche il successo di pubblico che lo spettacolo ha avuto e che è una tappa molto importante per tutto il teatro di sperimentazione e Io spettacolo in sé, a mio parere uno dei più interessanti di questi ultimi anni. E' chiaro che a Pescara con Candore giallo Perlini ha scoperto le grandi prospettive, il segno largo e spaziato, l'affresco in luogo del teatro da camera e di questa scoperta l'Otello è il primo felicissimo frutto compiuto, poeticamente e pittoricamente ritmato e incidente come nessun altro suo spettacolo. Il moro di Venezia, pur presente in scena, è chiaramente, come già Tarzan a suo tempo, solo un'evocazione mitoligica funzionale nella misura in cui evoca a sua volta altri miti, quelli ben più pregnanti per l'autore della sua infanzia e adolescenza. Come il conterraneo Fellini, a cui sono resi molto dichiarati omaggi dalle bianche lenzuola ripiegate dell'inizio all'orchestrina finale, Perlini ci racconta in realtà sempre una sola storia che è quella sua, delle sue angoscie e dei suoi fantasmi, ma la condensa in segni poetici cosl penetranti e vivi da diventare universali nel tumulto di sensazioni particolari che sono soggettibili di scatenare in ognuno. La Romagna di Perlini è tutta Il, nel grande spazio grigio chiuso sul fondo da una gabbia oscillante, amata e odiata ,carezzata e cancellata al tempo stesso dalla matita del regista. ,ora è la nonna e la sua eterna, dolce fiaba di pazza saggia, ora sono le tavolate dei pasti angosciosamente rivissute, ora i passi di danza di una balera lontana nel tem74 Teatro Avanguardinia gonia? Giovanni Lombardo Radice ph Agnese De DonPto l'Otello di M. Perlinì

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