Dischi Supertramp: Crome of the century (A&M) E che gli ami vengano tirati su con forza: il prodotto c'è ed è ben costruito, pulito, levigato quanto basta per risultare lucido e tagliente. A chi giovi, non è dato sapere, ma questo suono va a riconciliare soprattutto decadenza ed heavi metal con furbizia consumata e uno sguardo al futuro. Supenramp, dunque, ma non alla prima uscita dislografica, chè già due albums dignitosi l'hanno preceduta... ma come accade nelle favole... la goccia dèll'accorgersi di loro giunge solo adesso alle nostre labbra, avvelenando il tutto con lo spettro del costruito intelligentemente, dell'imposto più dallo staff tecnico di una casa discografica, che dall'idea, dall'afflato interiore dei musicisti. Opera dislocabilc razionalmente tra le maglie della rete già tesa dei Gencsis e dei Jcthro, questa « Crimc of thc Century » si presenta con pizzi e merletti al posto giusto, ed è facile prevederne un futuro più che roseo. Costruzioni alla base scarne e semplici, ritmi imprcssion1st1c1 che vengono a rispolverare mcllotron e Moodies, quel po' di violenza che non dispiace, e poi la sospensione lieve del tema, presente in ogni pezzo, giusto per farti pensare un po', dopo tanto delirio. E' il caso, soprattutto della seconda facciata, cui va ascritto il gusto intelligente di una progressione quasi suitistica, nonostante la presenza di diverse composizioni... ed è la poledrica « If Everyone Was Listcning » ad uscirne inizialmente, con Richard Davies (voce e keyboards) e Roger Hodgson (voce, chitarra, piano) a colorarne la disensiva atmosfera... poi la « Crime of The Century » che dà il titolo all'album ed il suo disegno: voce, pianoforte, ancora voce, batceria crimsoniana. stcel guirar, ancora percussioni in primo piano ed un'armonia eterea, fragile cd impura che va concretizzandosi col tempo, merito del pianoforte e della buona tecnica individuale dei protagonisti. Davvero Genesis a far capolino di nuovo, con aperture :he si fanno da lievi sinfoniche ad inquietanti e «decadenti» ... è il crimine del secolo. Nella misura in cui vengono meno le sezioni d'archi e le lepidezze, e quando il suono torna nelle mani di un rock discreto ed elegante (clisabettiamo ), la prima facciata ne esce con le ossa ancora sane, ma sarà forse quel cantato da imberbi « garcons gabrieliens » a scondire il tutto ... ed a scuocere un piatto di spaghetti, per giunta all'inglese, nato già freddo ed insipido, per i cuori affamati di sensazioni vere e sane perfettamente a punto per altri, e sappiamo purtroppo chi sono gli altri. Baker Gurvitz Army (Janus) M. R. Esce dalle file dei Cream p,u malconcio degli altri: ha speso troppo per una causa persa all'arrivo di Jimi e da condurre sino in fondo per forza di cose, per giustificare la gente inglese del Rainbow, per condurre, a tre, la danza di morte del rock blues anglosassone. Ha lavorato sempre per gli altri, più che per se stesso, questo Ginger Baker percussionista caposlipite di una ~enerazione autoctona e genuina, musicista com• patto, scrio, drogato. Non riusciva a cogliere il suo io al di là dello sforzo fisico, di una ginnastica sempre più pesante e forzata, di una routine pericolosa ed inutile ... anni a passare sotto le bacchette ed i risultati svitati delle incisioni «africane», sino a giungere a questa nuova formazione cioè al concretizzarsi di tante idee collagistiche messe insieme a viva forza e con buoni risultati. La paura di metter sul piatto « Baker Gurvitz Army » era tanca, perché ci si aspettava un Baker chiuso nella prigione definitiva della follia personale e non più per la gente, il drumminga divenuto incomprensibile od altro: nulla di tutto questo e le frasi di due facciate di album giungono davvero a confortare. Più bella, forse, la seconda parte: per una maggiore solidità di insieme, John Norman Mitchell keyboards e sintetizzatori, Adrian 57 Gurvitz basso e voce, Ginger Baker percussioni e tastiere. Sono composizioni dalla veste insolita: intessuta del classico sound inglese, retaggio ancora degli anni '60, ma dipinte riccamente e poi spogliate di ogni orpello, portate innanzi alla platea pulitamente e con la grande eleganza di un rock di prima classe, senza sbavature, senza battute d'arresto. « Mad Jack », « 4 Phil », « Since Beginning ,, è una strada da percorrere di getto, dandosi ancora una volta, anima e corpo, a quel rock che si vuole morto per forza ... e le frasi di Since Beginning ritornano giuste all'orecchio limpide e «cream» anche troppo, forse, magicamente godibili. Poi la prima parte: maggiormente pretenziosa, specie nell'uso delle tastiere e delle armonie vocali e « Memory Lane » cd « Inside Of Mc», la figura di Ginger ad uscire qui di prepotenza ... Phil Scaman, suo mocstro allo strumento batteria, gratificato nella splendida « Help Me» più che in ogni altra parte dell'opera. C'è di che raccoglierne davvero in senso positivo e qui Ginger rimane davvero nell'insieme del gruppo, per ognuno. Bisogna smettere di vederlo tirato giù dal palco con le bacchette in mano e le braccia che ancora vanno avanti ... Baker non è ammattito, e non esiste motivo per sottolinearlo, vuole in ogni caso dire che Airforce è passato, ed anche Salt. per non accennare al resto. O.K.' sei uno di quei musicisti che non si fanno bastonare! Taj Mahal: Mo' Roots (Columbia) M. B. Taj Mahal va al canjun, al reggae come qualcuno avrà detto, ma la prova non si fa alta e ad ogni riga pare di sentire un bluesman avvinazzato fino in fondo e confuso. lontano insomma da quel Giant Sten (un passo gigante!), doppio album in cui alterna a mosse più tradizior.ali una ricerca vocale che, se da un lato reinventa le negro songs, dall'altro ne colpisce un nuovo modo espressivo, trasferendolo in lin,11uagitioattuale ed efficace.
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