Muzak - anno III - n.02 - maggio 1975

« Avrei voluto che cremasse solo al pensiero di essere [madre e come fanno gli altri l'avrei sposara primo o poi perché non debba credere al [ sospetto di averla amata senza affetto quello che non ha capito lei » da « Un altra donna » dei Cugini di Campagna Una lunga consuetudine nostrana al Kitsch, ha inrrodotto massicciamenre nella « canzonetta >> l'uso di uno specialissimo linguaggio pseudo-poetico. Un linguaggio ai margini della so110cultura, che esisre soltanto in questi tristi spartiti; ma che assume capacita deteriori tendendo ad identificarsi con la voce stessa di alcuni canali dei mass-media. Così che problemi, tutto sommato imporranti, vengono I ras formati linguisticamente in luoghi comuni. da canticchiare con il rpico automatismo indot lo e inconsapevole dei prodotti con,umistici . .Pen,ate all'ingruenza di un automobilista che nell'atresa snervante tra un semaforo e l'altro, canticchi canzoni che parlano di azzurri orizzonti, di voli della mente, di prati infinitamente spaziosi e liberi. Ci fa venire in mente quella splendida gag di Franco I ebbia vecchio rile ), laddove, dopo un elenco di campi di conce111ramento di ogni tipo, arrivava un ebreo che allegramente cantava « come è bella la vita, come è bella la vita nei campi». La verità è: che si tratta di anomalie, di distorsioni di un linguaggio estraniato e inutile. Le parole delle canzoni non hanno alcun senso, e sono co truite nppositamentc per sfuggire ad una recezione analitica. Tanto è: vero che qualsiasi persona, che si soffermasse per un attimo sul senso di quello che sta, inconsciamente canticchiando, resterebbe sorpresa dall'allucinante idiozia, dalla provocatoria stupidità di certi testi. Dico provocatoria perché è una stuLa cattiva • coscienza pidità che, qualche volta, fa guadagnare milioni, alla quale non si fa caso abbastanza. Basti pensare alla consumatissima tecnica in uso nel cabaret, di leggere come ~e fossero poesie, dei resti di canzoni in voga. L'effetto è immediaw. Sia di comicità, sia di sorpresa, nel riflertere un attimo su questi cesti, privati del supporto melodico che I i trascende e I i confonde. Negli ultimi rempi poi, con-, sideranclo che la stupidirà nella canzone è sempre esistita, si è aggiunto un nuovo ve Ilei tarismo poetico ancora piì, sottile ed efficace. A poco a poco la « routine » canzonettistica ha fagocitato certe caratteristiche che appar- ~engono alla lunga e fertile genia dei camauturi. Sono loro infatti che, in fasi diverse, hanno curato i loro te,ci quasi a livello di vera e propria poesia ( riuscendoci a fa,i alterne). Dal l'uomo-davanti-allo-specchio di Gino Paoli, con i suoi amori inutili e perdenti, fino all'intellettualismo di De Gregori, o al populismo di Venditti. Sono canzoni sempre al limite tra la poesia mu icata, e: b musica poeticizzata. Ma da questo lungo albero genealogico di cantanti, si è staccato un filone che ha fatto da pome, con la parte piì1 piata dell'industria della canzone. E' il filone, per intenderci, Batti• sti-Baglioni, veri e propri vati cli questa pop-poesia alla italiana. Credo che tutti ricordino in particolare << Emozioni » di Bactisri, la canzone della grande svolta. « Emozioni )) è una pseudo-poesia manifesto, il capolavoro del riadattamento dei luoghi comuni poetici della canzone. C'è tutto: la proiezione dei propri sentimenti nella natura, lo smarrimento, la tristezza, la vira che sfugge, l'istinto al 44 ,uicidio, il ritrovare sè stessi, un barlume di speranla, e infine: (capire tu non puoi) l'isolamc:1110, l'indicibilità cli questi stati d'animo chc:, tut1'al piì,, possono c:ssere definiti per noi poveri mortali, emozioni. E dopo Battisti, l'ineffabile, le metafore da manuale, la immortalità dell'anima, entrano in prepotenza nella canzone. J un che dipenda da lui, benintc:so, ma diciamo che ha indicato una strada, ha creato un precedente illustre. C'è Baglioni, che nella sua ultima fatica, precisamente nel « mattino s'è svegliato », parla di prari che si sposano al sole, sentieri veri come il cielo o come l'aria, mattino che si svegliano e si disperdono sul cielo; ma poi si tradisce con un « ... e mi accorgo che voglio te ... )>. Ancora piì, astratto e inafferabile è Renato Zero con « [nventi le mie forme ... » E poi tutte le miriadi di complessini che parlano d'amore ma con tanta tanta poesia. Infine anche Orietta Berti ha capito l'andazzo, e smerrendo per un attimo i panni della bella e florida popolana, si è « sofisticata » dedicando addiritrura una canzone al « rirmo della pioggia >) di dannunziana memoria. I ienre può piì1 swpirci ormai, nemmeno che Reirano faccia canzoni che parlano di sesso. E' una consuetudine che logoro e appiattisce la potenzialità creativa ciel linguaggio, che rende a meccanizzarsi, a perdere la sua intrinseca capacità di nnnovamenro. Viva la faccia, allora, della Loredana Bertè, che sfacciarameme, in una canzone tratta dal suo L.P. « Streaking», ci conduce tutti per mano verso una sospirata liberazione sessuale, traumatizzandoci, urlando in maniera agghiacciante e provocanre, al termine cli una canzone che parla di oscure e cavernose bocche, una parola che a lungo è stata bandita ingiustamente: << cazzo ». Kappa

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==