Muzak - anno III - n.02 - maggio 1975

E'unaperla Rava Avere dei musicisti di calibro internazionale in I talia è una cosa piuttosto rara. Sempre meno, questo è vero, ma siamo ancora molto lontani da una consuetudine. Le cause sono tante e complesse. Innanzitutto il provincialismo culturale, e complesse. Innanzitutto il provincialismo culturale, e la conseguente carenza di scambi che possano stimolare un continuo rinnovamento. Ne derivano una tendenza endemica al ritardo e quindi un atteggiamento di retroguardia che producono la limitatezza e l'isterilimento delle nuove proposte. Bisogna sottolineare, inoltre, il conservatorismo e il conformismo delle strutture, ampiamente diffusi, che isolano ed emarginano qualsiasi tentativo di apertura, di discorso non-ortodosso. Questi sono solo alcuni dei motivi che rendono precaria e faticosa la ricerca di un equilibrio amsnco-espressivo, e la testimonianza più esplicita di questa situazione è la presenza di numerosissimi musicisti, validissimi sul piano tecnico-strumentale, ma che sono totalmente privi di idee, o di altri nella cui esperienza artistica si verifica esattamente il contrario. E se questo è vero in generale, lo è tanto più nel jazz, nel cui ambito il ritardo è, se vogliamo, ancora più grave e deprecabile. Anche se bisogna rilevare che sta venendo alla ribalta una nuova generazione di jazzisti tecnicamente preparati e ricchi di idee, che certamente, come già stanno facendo, modificheranno radicalmente la attuale situazione. In ogni caso, la storia biografica e artistica di Enrico Rava, rimane per molti sensi decisamente un'eccezione; un'esperienza unica e irripetibile. Si potrebbe attribuire questa particolarità al fatto che Rava, in fondo, è un musicista cosmopolita, tanto atipico quanto meno pu6 essere considerato italiano. Ma questa ottica rischia di risultare estremamente riduttiva e parziale, fino al punto da sviare il discorso da quella che è l'autentica personalità di Rava. Non che si debba sottovalutare l'esperienza internazionale, ma piuttosto inquadrarla come un elemento formatore; come una risposta ad una esigenza di arricchimento e di confronto, che si affianca, però, ad altre spinte, ad altri contenuti che vanno al di là del semplice fattore geografico. Al di là di questa dialettica, Rava resta un personaggio d'eccezionale interesse; in assoluto uno dei migliori trombettisti del momento. Alterna la sua vita tra I' America del nord, l'America del sud e l'Europa, e nella sua musica ci sono evidenti tracce di questa elasticità ambientale. E' attratto tanto dal 'free jazz' quanto dal jazz-rock, come anche dalle melodie e i ritmi del sud-america, oltre naturalmente alle suggestioni più disparate del jazz passato. E questa molteplicità di interessi e di ispirazioni è sorretta da una lunghissima carriera di ricerca e di approfondimento che lo ha portato frequentemente ad incontrarsi con nomi del calibro di Steve Lacv e Gato Barbieri. Ha militat~ inoltre nella Jazz Composer's Orchestra, nelle cui fila ha collaborato alla famosissima opera-jazz 'Escalator over the hill'. Da qualche anno la risonanza del suo nome è sufficientemente vasta da permettergli di incidere dischi e di compiere tournées a suo nome. Lo scorso anno ha organizzato un lungo giro di concerti che lo ha portato in tutta Italia col suo quartetto. Insieme a lui erano Massimo Urbani al sax, certamente uno dei migliori jazzisti italiani malgrado la sua giovanissima età, e una fa. volosa sezione ritmica: Culvm Hill e Nestor Astarita, 42 rispettivamente al basso e alla batteria. Nel complesso una formazione che si è rivelata ideale per Rava. Urbani, da un lato, è stato un partner eccezionale compensando con la sua irruenza il lirismo, spesso più pacato, della tromba di Rava, realizza11doun duetto ad altissimi livelli, sorretto dalla spinta propulsiva di C. Hill e di Astarita. Affiatatisi in questa tournée italiana i quattro hanno registrato a Roma un disco veramente straordinario, di cerco uno dei migliori mai registrati in Italia, che verrà pubblicato tra breve nella collana 'Jazz a confronto' che ormai si avvia a diventare un discorso organico e completo. Il disco mostra pienamente le possibilità inventive ed espressive di Rava in tutte le sfaccettature della sua personalità, e, ovviamente, dei suoi straordinari compagni. I brani composti quasi tutti dallo stesso Rava a Buenos Aires sono molto diversi tra loro, tutti comunque ricchissimi di idee e di momenti creativi molto alti; legati tra loro da una logica interna, da una intrinseca capacità di coesione che non lascia il minimo spazio a cedimenti di tensione espressiva. In un brano la tromba dialoga col basso, sospesa in una atmosfera atemporale, nella quale il suono diventa liricamente essenziale ed incisivo. Altrove si confronta col sax evocando i classici duetti 'free'. Altrove ancora i due fiati si inseguono su un tempo frenetico di candomblé uruguayano, o spinti da un tiratissimo ritmo rock. Volutamente in un altro brano si intravede lo swing angoloso di Thelo- .nious Monk, e così via. Dulcis in fundo, a chiudere il disco, c'è « Vento rosso», un brano che Rava ha concepito come colonna sonora dell'omonimo racconto di Raymond Chandler, l'autore di 'Un lungo addio' e

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==