Muzak - anno III - n.02 - maggio 1975

stanno ancora a guardare (da un'altra parte proprio), Irmin Schmidt sembra leggere il Castello di Kafka ma è anche lui sulla scena, da mezz'ora. Ed io tento ancora di fare capolino tra le nebbie del mio cervello ... qualcosa si insinua, il ritmo strano, terribile di una musica fatta forte sensazione fisica, palpabile. Allora, per la prima volta, mi distendo e mi guardo intorno, francesi dappertutto. Chiudo gli occhi e non ascolto più con il cervello, ma col cuore, come tutti gli altri del resto. Halleluwah: can over Babaluma E poi ci sono due modi di lavorare: per te, o per gli altri e Can ha scelto la seconda via, sacrificandosi per anni a vivere nel sottobosco della controcultura tedesca e lasciando le sue due prime usci te « Sound tracks » e « Monster Movies » alla tua immaginazione ed alla tua voglia di cercarle... sino al doppio« Tago Mago» quando il disegno si concretizza completamente e, logicamente, l'album lascia il tempo che trova, inosservato e misconosciuto tacciato di schizofrenia voluto dal sistema come incomprensibile ai più. Ed i santi ascoltatori del pop ed i loro mercificatori segreti e scoperti ed i savonarola italiani che gridano che questa non è avanguardia (quando mai l'avanguardia ha preteso di essere tale) mentre le storie narrate in questa musica sono la chiara presa per i fondelli del tutto bello armonico, paiono muoversi giusto un tantino al di là della pazzia più atroce e poi invece riconduno mente e corpo giusto nella loro dimensione umana, quella meditativa da una parte quella sensitiva dall'altra: son passi avanti nei canali di una esplosione di libertà emotiva che è facile 39 cogliere se si è puliti interiormente da ogni livore, da ogni odio o passione chè la musica va ascoltata in ogni occasione nello stato d'animo più giusto per essere colta in pienezza: l'amore. E da Tago Mago che narra in quattro facciate di ritmi durissimi ed apertamente rockeggianti nelle strutture più profonde si passa con evidente innocenza alla tensione meno sanguigna e ben più distesa di « Ege Bamyasi ». Dai commenti istruttivi ed ammonitori del Maestro di Soro Zen, Dogen: « Anche oggi, se la gente pensa a quante cose c'erano in passato, ciò non serve proprio a nulla. Tutto questo serve soltanto a perdere il tempo». La luce, quella cosa belle ed impalpabile resta, con la Musica e con l'idea e la presenza fisica di un Maestro sulla faccia terra, tra le cose più belle che abbiamo, e da dividere con gli altri e da tenere a freno in noi stessi ed è come sempre inutile parlare di discografie e consimili ... Sing Swan Song è il disegno divenuto lieve e piacevole, la pennellata delle percussioni morbide il tocco della chitarra e della tastiera ingentilito la voce di Damo Suzuki monotona e sacrale tutta l'atmosfera pregna di umori dolci e caldi ... suoni che fanno se stessi in fondo al ponte dell'armonia consentita. Tengo per ultima una quinta fase discografica alla quale rispondo a malavoglia, perché gli ultimi due episodi portano il gruppo ben oltre la percezione musicale normale e la susseguente descrizione razionale, ecclesiastica, da evitare e lasciare ad altri: quando il domandarsi incessantemente il perché delle cose viene meno nasce l'intuizione e l'uomo è restituito al suo stato originale, di libertà e di feconda presenza fisico - mentale: quando il chiedersi il perché della musica di questo o quello non avrà più ragioni, e saranno scomparsi i fini dicitori del pop nostrani, allora avremo colto, dei Can come di qualsiasi altra espressione artistica, la realtà tutta. Ma ci sono uomini che ti aiutano a liberarti subito dal tuo falso cervello e dalla educazione e dalla società: sono quelli che parlano chiaramente prima al tuo corpo inanzitutto, nello svincolarsi di esso da!Je pastoie e dalle paure di ogni giorno, nel sapere sfuggire alla violenza... Son Over Babaluma. Non si sa dove sia di casa questo strano posto ed i Can cantano, in italiano, « Come sta la luna » ed è un ennesimo invito ad andarci, sul pianeta della libertà. Maurizio Baiata Nota: che qualcuno parli di musica, per favore. Qualche volta, spesso, non ne vedo l'utilità.

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