Fu negli anni '66-6 7 che la mu,ica pop faceva le sue roi:ze prove, qui da noi. Anni di esperimento, cli cantine, di Equipe 8-1, Nomadi oppure: (mio Dio!) Adriano Cele:nrano. Anni di sofferenze, anche. Per riuscire ad accosrarci a un mondo che non comprendevamo, che ci sfuggiva ndle sue dinamiche storiche e sociali. La rivoluzione ciel Rock&Roll l'avevamo vis,ura cli stri cio: anche stavolta non avevamo capiro nulla. Guardavamo agli Americani con superiore sarcasmo. Loro aveva Elvis e i Teddy Boys. E noi? Seri, seri, avevamo Nilla Pizzi (che non ci interessava) e problemi per noi più importanti: Legge Truffa, Guerra Fredda, Tambroni e il luglio '60. La nostra generazione passerà alla storia come una delle ultime ad aver preso sul serio il mondo che ereditava. Fosse un bene o un male non si può dire con certezza. Fu un bene, sicuramente, per la dimensione ampia, per l'impegno preciso (o comunque « confusamente » preciso) che prendemmo, per il desiderio, il bisogno emulativo di studiare rutto. Fu un bene, in qual: che modo perché non ci lasciammo sedure da tentazioni irrazionalistiche, non ci lasciammo traviare dalle semplici scaramucce fra le generazioni. Fu un bene, crediamo, perché ci fece crescere sulle nostre gambe. Ma fu un male. Fu un male perché non capimmo che lì, in quel momenro, si giocava la crisi sociale e culturale di rutto l'occidente e ci rifugiammo dietro i fantasmi della cultura progressista e democratica. Fu un male perché non capimmo il valore rutto particolare che l'esrablishment dava a questa sottocultura e non fummo in grado di contrastarla. Fu un male, infine, perché molti anni dopo (nel riflusso degli anni '70) capimmo in ritardo che lo scontro è molco più ampio arricolaro e difficile di quanro presuntuosamente e (se lo consenrire) con coraggiosa inEnoistavamo aguardare Terenzio Mamiani Un ricordo nostalgico delle Stelle di Schifano coscienza avevamo creduto ubbriacari dal '68. E ugualmente non capimmo nulla, se non confusamente, del movimento pop che dai Bearles scendeva fino a noi. Non capimmo quello che significava per la società inglese: ma ne recepimmo (perché i tempi erano maturi) il discorso di fondo, la creatività come oggetto comune. Ecco, la creatività. Ma una creatività non felice, ma colpevole. Qualcuno fra gli organisti di cantina di quei tempi, ricorderà di aver tenuto nascosto al proprio insegnante di pianoforte classico Autoritratto Mario Schifano quegli esercizi degenerati e deplorevoli. In quesro clima, di spontaneità creatrice ingenua e allo stesso tempo sommersa da una tradizione di cultura sclerotica, fatta di Croce e di Puccini, di D' Annunzio e Guttuso, potevamo, forse, capire (o solo considerare) un'anomalia come le Stelle di Schifano? Mai, e non sarebbe sraro giusro. Le Stelle nacquero, come rutta l'opera di Schifano o le sue « ispirazioni », sono impressioni che noi non conoscevamo, sotto emozioni che ci erano negare, sorto influenze che consideravamo destinate a breve vira. Nacquero, in Italia, avendo a modello (nel senso migliore della parola) l'America di quegli anni, l'America « under » di quegli anni, di Andy Wahrol e dei Velvet. Ma noi, per la nostra ,storia, per quella cultura razionalistica che impestava ogni nostro atto, vivevamo la violenza in modo più palese e scoperto, e più palese e scoperta volevamo che fosse la denuncia, la risposta a questa violenza. Una delle ragioni ( tutco lascia pensare) della nostra incapacità musicale: cosa esprimere? Da noi la canzonetta regnava incontrastata, parlando di cuori e amori o, sorroforma di inno, di bandiere rosse e pacifismo militante. Al di là della musica (oggi, nonostante gli anni, quella musica comunica e, in qualche modo, ci esprime), le Stelle furono questo fenomeno. L'incomprensione di allora e la comprensione di oggi, vogliono forse dire che la loro musica fosse avanti di 8 anni? E', ci pare, alrra questione: a distanza di anni ci riappropriamo di quei mezzi di espressione e di lotta. Allora li rifiutammo perché, giustamente, li consideravamo astratti e inutili ( tant'è che utili non furono di fatto). Oggi li riaccettiamo, con le dovute cautele, perché quel modo di espressione è un ennesimo grido, un'ennesima occasione di lorra insieme a mille altre. Le Stelle di Schifano, a quasi 1 O anni di distanza, dimostrano che la nostra generazione non avevo capito nulla. Tranne una cosa: che non ci sono forme o fermenti di per sé Liberatori od espressivi, ma che ciò che li rende tali è il viverli, dall'interno il verificarli, comunemente il considerarli momenti imporranti ma non unici. Avevamo capiro che nulla è eterno e che nulla avviene al di fuori dei movimenti della società e del crescere « politico » dei suoi componenti.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==