to, come Don Pullen e George Adams. Unica eccezione è Danny Richmond che è, ormai, con Mingus da moltissimi anni. Ma Richmond è un po' come lui e con lui lotta contro il tempo per essere sempre ai massimi livelli espressivi. Quarta serata: Gaetano Liguori Trio Bosko Petrovich Quartel The Heath Brothers Elvin Jones Quartet Charles Mingus Group La quarta serata è stata un riepilogo generale e si è svolta al palazzo dello sport per consentire ad un maggior numero di persone di assistere ai concerti. E indubbiamente il palasport, stipato di gente, ha galvanizzato i musicisti che hanno suonato con più convinOollar Branrl zione, a riprova del fatto che il jazz, anche quello un po' datato, è adatto alle grandi platee. L'unica novità di quest'ultima serata è stara il trio del pianista Gaetano Liguori con Filippo Monico alla batteria e Roberto Del Piano al basso. Il trio italiano ha riscosso un meritatissimo successo malgrado l'attesa del pubblico per le grandi stars che dovevano esibirsi durante la serata. Liguori, nutrito sia di una solidissima educazione musicale 'novecentesca' sia del pit1 significativo pianismo jazz da Bud Powell a Ceci! Taylor, riesce ad accoppiare felicemente il feeling più aggressivo ad una ricerca strutturale molto elaborata e complessa, sorretto egregiamente dalla sua eccellente sezione ri emica. Dopo Liguori abbiamo ri 29 visto i pezzi forti di questa rassegna che hanno riscosso, si può dire, un successo crescente; da B. Perrovich, meno osteggiato della sera precedente agli Hearh Brorhers, meno gigioni e quindi più convincenti, fino a Elvio Jones che è stato, se questo è possibile, ancora più fisicamente poderoso. Il finale di Mingus, inoltre, ha definitivamente fatto esplodere l'entusiasmo del pubblico. C'è stara alla fine del suo concerto un'autentica ovazione alla quale Mingus ha risposto con un travolgente blues con un incredibile intermezzo cantato rabbiosamente dal sassofonista G. Adams. Mingus a parre, la rassegna ha lasciato un po' a desiderare in quanto ad essenzialità e a capacità stimolante, ma ha avuto anche dei punti di forza soprattutto nella massiccia presenza del jazz europeo che spesso viene troppo trascurato in questo tipo di manifestazioni. A Bergamo, con Rypdal, Mangelsdorff, Mantoliu, Petrovich e non ultimi i due italiani Mazzon e Liguori, il cui discorso non si esaurisce certo in una logica nazionale, abbiamo potuto trarre alcune conclusioni di vario genere suIla si tu azione del jazz europeo. Rimane comunque indubitabile che il discorso sulla gestione e sulla politica delle scelte di queste rassegne andrebbe riveduto o perlomeno aperto ad un dibattito più ampio e costruttivo, proprio perché il jazz, oggi, non è più un discorso chiuso ad una ristretta élite di addetti ai lavori, ma uno strumento fondamentale per le nuove generazioni che cercano nuovi spazi rifluendo dalle stanchezze e dalle mistificazioni della .rock-kultura.
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