ci ricordiamo tutti « Sixteen Tons »; la scrisse Meri e Travis, un cantante di « country music » del Kentucky, subito dopo la guerra: « Hai scavato sedici tonnellate, e che ci guadagni? Un altro giorno di debiti e un altro giorno di vecchiaia. Quando muoio, San Pietro mi chiamerà: devo resti tu ire 1 ':in ima al magazzino della compagnia ». La « country music » dunque si contrappone all'altra musica perché è sempre nel suo complesso impegnata. Impi::- gnara, va detto, non sempre in senso progressivo: il Sud è la parte più retriva cl' America, e l'ipoteca reazionaria grava sempre più sugli strati popolari che sulla borghesia. Avvocati, medici, professori banno poco da temere dalla concorrenza dei loro colleghi negri; gli imprenditori industriali sono ben lieti di impiegare negri a salari di concorrenza. Sono i braccianti, i mezzadri, i manovali che si vedono messi in concorrenza con i neri per i posti di lavoro. Sono loro che subiscono il peso di una società spaventosamente repressiva, che vivono nell'insicurezza e nell'arbitrio, e recuperarono un senso distorto di identità solo contrapponendosi ai neri. Meglio di tutti, questo stato d'animo l'ha forse descritto Bob Dylan, quando ha parlato dei bianchi poveri in « Only a Pawn in their Game », « sono solo una pedina nel " loro " gioco ». La « country music » non va esente da queste ipotetiche razziste, e di conservatorismo religioso, anche se - come osservano Tony Russe! e Alan Lomax, forse il campo della musica è quello in cui il razzismo ha trovato meno spazio. Ma ne ha trovato: la canzone «country» si sono espresse contro il darwinismo, a favore dell'interpretazione letterale della Bibbia; contro la protesta giovanile, a favore della guerra del Vietnam; hanno espresso tutti i livelli più retrivi del superpatriottismo e dello sciovinismo razziale e sessuale. « Politicanti reazionari », scrive Jens Lune!, « Come George C. Wallace, Lester Maddox, Orval Faubu , si sono serviti della " country music " nelle loro campagne elettorali »; e anche il Ku Klux Klan ne ha fatto occasionalmente uso. A questo proposito va osservato però come i « reazionari » della politica meridionale abbiano sempre avuto un taglio fortemente populista, di contrapposizione ai moderati e liberali accusati di essere borghesi e settentrionali (ovvi~- mente, la sinistra non ha mai avuto il diritto di parola: vale la pena di ricordare che i cantanti di cui ho accennato prima sono tutti finiti in esilio o in galera); e quindi essi si rivolgono alla ricerca del consenso popolare, dei bianchi poveri e dell'uomo comune. Naturale quindi che usino questa musica che, pur essendo chiaramente proletaria e contadina in orgine, assume ormai un segno finto nazional-popolare di identificazione regionalistica meridionale, un po' come le nostre napoletane. Ma l'ambiguità resta. Non si può vendere sempre ai poveri un discorso che vada inesorabilmente contro i loro interessi diretti. Ne è un esempio, tra i tanti, Merle Haggard, forse uno dei più reazionari tra i cantanti « country» moderni. Le sue canzoni dicono « poi non fumi~mo la marijuana, noi non bruciamo le cartoline precetto; noi siamo ancora americani al cento per cento » e ancora, « quando parlate male della bandiera, sappiate che mi fate prudere le mani ». Ma una sua canzone, « Mama's Hungry Eyes » è tra le più amate e cantate dai giovani progressisti del sud: « Ricordo una baracca e lo sguardo triste pieno di fame di mia madre e l'avvilimento di mia madre, perché un'altra classe di gente ci aveva privati dei nostri diritti », dice Haggard, e dice la verità. In realtà, la « country music » è oggi sempre meno musica dei contadini e sempre più, nelle sue espressioni migliori, la musica del proletariato urbano di recente immigrazione. Molto del materiale che viene prodotto per questo mercato è paragonabile alla nostra orchestra Casadei: un campagnolo fasullo e sentimentale fatto per giocare sulla loro nostalgia del sud, delle propria terra e del proprio dialetto. Ma la vecchia tradizione di impegno della « country music », di rapporto con l'attualità concreta, produce ancora materiali sorprendenti. Cosl, proprio alla categoria dei meridionali inurbati appartiene una straordinaria autrice e cantante come Hazel Dickens, che scrive e canta in eccellente « bluegrass » tradi1ionale, canzoni sulla condizione operaia del sud: «Dicono i giornali e sentiamo alla radio di mandare anche i nostri figli in miniera; ma ns,i stateli a sentire, ricordatevi il disastro di Mannington, dove sono morti inutilmente 70 uomini sepolti vivi. Dio non vi perdonerà, mi avete ucciso il marito e adesso volete mio figlio». La Dickens circola più nell'ambiente della musica popolare e progressiva che non sul mercato della « country music » propriamente detta; ma è senz'altro più vicina ·alla musica che oggi la gente veramente suona nel sud. Così, mentre il « country » reazionario si avvale, ancora una volta, di cantanti di musica leggera falliti o quasi - eia Pat Beone e Marty Robbins - per le sue allucinanti invettive contro vietnamiti e neri, si può osservare che più lo stile musicale è vicino alle fonti tradizionali, più fuori da Nashville. Ho detto di Hazel Dickens. Potrei aggiungere lim-
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