Muzak - anno III - n.02 - maggio 1975

o gl ~ rJ> z g gl ~ rJ> z DYLA BIJ T TRAC • CBS69097 disponibile anche su cassetto e stereotto DISTRIBUZIONE MESSAGGERIE MUSICALI • MILANO

Collettivo redazionale (Via Alessandria, t 19 - 00198 Roma • Tel. 8448483): Giaime Pintor (coordinamento redazionale). Maurizio Salata, Oanilo Moroni, Carlo Rocco (coadluvatorl). Chicco Ricci. Angelo Camerini, Collettivo di via Anfossi di MIiano. Fernanda Pivano, Roberto Silvestri, Renzo Ceschl. Antonio Belmonte, Gino Castaldo (jazz). Sandro Portorelli (folk). Mauro Radice (pop), Giovanni Lombardo Radice, Nancy Ruspoil, Mario Schifano, Danlel Calmi & Gianfranco Binari (HI-FI). Coordinazione editoriale: Lydia Tarantini - Impaginazione e grafica: Ettore Vitale - Fotografia: Piero Togni - Illustrazioni: Laura Cretara. Emerson, Lake & Banco Come si u.s.a. la multivisione Per favore pagatemi di meno Ma son passati trent'anni? Alla luce del sole 1975: sterminati tutti? Alla bandiera vanno tributati Bergamo Jazz Oltre la tempesta E noi stavamo a guardare Discografia Tangerine Dream Genesis: musica e paillettes Can: liberazione Mott the Hoople E' una perla Rava Inserto speciale Pink Floyd Dischi ... 411,..ft n, ••,,~ lii ••• Hanno collaborato: Gianni Nebbiosi, Giovanna Marini, Lorena e Francesco, Luigi Rivera, Filippo La Porta, Direzione del Festival Jazz di Bergamo, Circoli Ottobre, Teresa Tartaglia, Giorgio Conti (da Londra), Roberto Lanerl (dagli Usa), Agnese De Donato, Gianfranco Giagnl, David Grleco, Camlllo Coppola, Sergio Dulchln, Enrico Facconl, Stefano Ruffini, Terenzio Mamlanl. massimi onori Quando il pretore leggeva 'Pierino Porcospino Terzo Mondo Cinema Ritratto di Sonia Avanguardia in agonia Riviste e libri L.S. Buble Bee Undicesimo: ricordati di comprare i santini Interventi: Giovanna Marini e Gianni Nebbiosi La mangusta e il cobra in brac~io Super 8 Hi-Fi Planet Waves Posta 3 Edizioni: Publisuono • Via A. Valenzianl, 5 - 00184 Roma - Tel. 49563433648 - Amministrazione: Patrizia Ottavlanl - Pubblicità: Lydla Tarantini - Segreteria editoriale: Elvira Sallola - Direttore responsabile: Luciana Pensu11 - Abbonamenti (t2 numeri) Lire 5.000 ccp n. t/55012 Intestato a: Publisuono • Via Valenzianl, 5 . Roma. Un numero Lire 500, arretrato lire 800. Diffusione: Parrinl & C.. Piazza Indi· pendenza, tt/b - Roma - Tel. 4992. Linotipia: Velox • Via Tiburtina, 196 - Roma - Fotolito e montaggi: Cfc - Via degli Ausoni, 7 - Roma - Stampa: Agi (Arti grafiche della lombardla) gruppo Mondadori (Ml). D.M. Coli. Via Anfossi A.B. Giaime Pintor Fernanda Pivano Sandro Portelli Chicco Ricci Gino Castaldo M. B. e M. R. Terenzio Mamiani M. R. M.B. Maurizio Baiata Danilo Moroni G.C. Teresa Tartaglia Corsan Nancy Ruspoli Giovanni Lombardo Radice G.P. D.M. G. P. F. & L. Enrico Facconi Daniel Calmi 8 8 9 11 12 16 20 26 30 33 34 36 38 40 42 45 57 64 66 68 73 74 76 78 80 82 84 88 90 92 93 Muzak non accetta pubblicità redazionale. Gli articoli. le recensioni, le Immagini e la foto di copertina sono pubblicate ad unico e indipendente giudizio del collettivo redazionale.

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Emerson, Lake&Banco Sullo scenario suggestivo della laguna ... Veramente di laguna ne abbiamo vista ben poca: la mattina dal vaporetto e la sera camminando al teatro e ritorno mentre il tempo in mezzo veniva occupato da una siesta prolungata per ammortizzare la levataccia della mattina. Meno ancora di noi ne hanno vista i ragazzi del Banco del Mutuo Soccorso che hanno passato tutta la mattinata ad aggiustare la strumentazione per lo spettacolo del pomeriggio. I sei di Marino sono sembraci molco grati alla fortuna che li ha presi di buon occhio dopo canti anni di duro lavoro e hanno voluco ricambiare con tutta la professionalità possibile il pubblico benevolo concedendo ben tre bis. La cerimonia segnava l'entrata in vigore del contratto che il BdMS ha stipulato con la Manticore, la casa discografica di Emerson, Lake e Palmer e l'uscita del nuovo 33 per l'estero che comprende tutti brani già noti agli entusiasti del gruppo come Non Mi Rompete, L'Albero del Pane e Dopo ... Niente è pit1 lo stesso, tutti fedelmente cradocci in inglese. Luci basse per l'inizio con una traccia acustica suggerica da flauto dolce e chitarra classica e poi uno spot su Francesco Big in abito bianco completo di panciotto che si è prodotto in un recitativo da un palchetto sovrastante la scena. Lo spettacolo si è da qui in poi dipanato agevolmente culminando nel corso della serata in vari crescendo ad opera specialmente dei due Nocenzi fratelli tastieristi. Il pubblico è stato eccezionale specialmente dopo i recenti fatti occorsi per quasi tutti gli ultimi concerti: ovazioni a scena aperta continuate. Forse per quesco e forse perché Keith Emerson, ospite d'onore tra il pubblico è arrivato con un'ora buona di ritardo (sembra che avesse preso il treno per Vienna invece che per Venezia), il concerto del Banco è sembraco prolungarsi un po' oltre i limiti del prevedibile con una durata complessiva di quasi due ore. Quando abbiamo fatto notare la cosa a Vittorio Nocenzi, aurore delle musiche del gruppo, ci ha risposco nel suo accenco romano avallando la nostra tesi che con un pubblico così non avrebbero mai smesso di suonare e sono stati anzi felicissimi di offrire tutti i bis richiesti. Il BdMS continuerà per cucco aprile la tournée italiana per poi partire in un giro d'Europa col materiale del nuovo LP inglese. Il concerto era stato aperto da una nuova formazione italiana, Libra: distribuita 8 all'estero dalla Mocown (il terzo complesso dopo PFM e BdMS a firmare un contratto di distribuzione con l'estero). La band, alla prima esibizione in pubblico, è apparsa piuttosto spigliata offrendo quattro' brani dal suo LP Musica e Parole di prossima uscita in Italia registrato sia in italiano che in inglese. Strano che il cantante (e autore delle canzoni) Federico D'Andrea abbia scelto la versione inglese per presentare la sua fatica a Venezia ma evidentemente si sente più a suo agio nella musicalità di questa lingua e in realtà il suo è un gruppo che si basa un po' su un'impostazione ritmata d'impostazione lacin rock e le liriche in italiano costituiscono spesso un ostacolo per l'espressione di certi ritmi nati per una musicalità differente. La serata è terminata con la classica abboffata fra giornalisti e musicisti cui hanno fatto seguito rocchi salottieri fino verso le cinque del mattino. Ospite, oltre Mr. Emerson che si è allontanato quasi subito, David Zard in versione Grande Gatsby con un gessato grigio e un'aria contrita, si aggirava per la sala come l'ombra di Banko? Shakespeariana. Comesiu.s.a. lamultivisione C'era una volta una « controcultura » americana che viaggiava a velocità incredibile su bianchi cavalli ... ma è arrivata a Milano sulla groppa di un cammello, rovesciando immagini fisse nel tempo. Alla Besana di Milano dal 3 al 18 marzo c'è stata una mostra di « Artevideo e Multivisioni » realizzata per :onco della Carnei Award (la stessa delJe sigarette) e ospitata dal comune. Sociologi e « artisti » finanziati dalla Carnei hanno dato una rappresentazione di ciò che è l'unica vera cura alternativa: quella americana. Il lavoro più importante di tutta la mostra è stata la multivisione realizzata dal gruppo Intermedia 43, formato da Aldo Ricci, Paolo Giunchi e Gianni Lo Scalzo, ma oltre a questa c'erano anche 60 nastri video-tape di artisti americani ed europei, tutti di difficilissima interpretazione e troppo sperimentali, al punto da poterli considerare più dei giochi dei vari artisti che dei video-tapes per il pubblico. Il lavoro dell'Intermedia 43 ha voluto portare un contributo alla conoscenz;i di ciò che lo stesso Ricci considera l'unica forma autentica di cultura alternativa, cercando di trasmettere ciò che è la realtà americana. Forse è cosl, dalla multivisione tutto è uscito, ma non l'alternativa americana. In primo luogo la considerazione più immediata è l'assoluta staticità e mancanza corale di stimoli per una partecipazione che rompesse minimamente il soli co rapporto opera-pubblico, che cioè cercasse di essere « alternativo » anche nella rappresentazione del programma. Niente di tutto ci6, neanche un briciolo di fantasia e creatività. La multivisione è stata fatta unicamente in funzione di quelli che l'hanno realizzata, assorbendo e anzi spingendo al massimo tutte le nuove e vecchie tecniche visive nella ricerca di effetti spettacolari e raffinati privi di qualsiasi contenuto sia politico che culturale. Per realizzarla sono state usate circa 2.000 diapositive su 12.000, 24 proiettori carousel per la proiezione simultanea in dissolvenza, 3 proiettori per la proiezione continua di immagini fisse, e il controllo automatico mediante una

centralina con il comando di tutto il programma registrato su nastro magnetico perforato, e (paga la Carnei) due tecnici fatti venire apposta da... gli U.S.A. of course. Ci si poteva quindi aspettare qualcosa di appetibile e se non altro tecnicamente su livelli americani, ma, purtroppo o per fortuna?, niente di tutto ciò, anche sul piano tecnico-visivo è stato fatto di meglio con molti meno soldi in Italia. Gli argomenti trattati saltavano senza nessun senso logico dai campus alla creatività alternativa, dai comics ai murali, dal divismo alla droga dagli indiani e blacks alla musica e underground, il tutto accompagnato da musiche vecchie e mai legate a situazioni del movement degli anni '60. Doveva essere insomma un contributo per meglio capire dov'è e cos'è l'alrernariva americana ma è stara semplicemente 1~ rappresentazione dell'amerikanizzazione del gruppo Intermedie -O che evidentemente soffre ancora di un complesso d'inferiorità se per muovere le apparecchiature ha avuto bisogno di chiamare due tecnici made U.S.A. La cosa più interessante la si è vista la sera dell'inaugurazione della mostra, quando, presenti assessori, sociologi, psicologi e artisu van, una trentina di persone ha pensato cli farla anziché vederla questa benedetta cultura alternativa. Con strumenti a percussione e una breve azione teatrale inventata al momento hanno rotto il grigiore della serata, animandola e portando un messaggio di creatività in chiara contrapposizione ai video-rape e multivision non in quanto rali ma in quanto portatori di un di corso rutto tecnico ed elitrario che relega l'uso di questi strumenti d'intervento a pochi artisti che « si sono fatti due palle cosl » ma che hanno perso il gusto di creare per comunicare. li vol~ntino firmato « Consulta milanese cli cultura alternativa », a cui hanno aderito vari gruppi teatrali e politici, distribuito nel corso di questo « fuori programma » denuncia la gestione culturale del comune di Milano che « offre spazio e soldi ad esponenti di una cultura parassi tari a e non rappresentativa della realtà» e chiede la stessa possibilità di intervento per « le esperienze prodotte dalla alternativa cittadina, visto che quella americana è entrata nei circoli ufficiali ». Sicuramente dati i temi della mostra alla Besana l'intervento della « Con su I ta » è stato quello più centrato rispetto ad un'alternativa di vita e di espressione. Per favore pagatemdiimeno Per tutti coloro che, suonatori, menestrelli o popparoli più o meno rotali, chiedono cifre pazzesche e da capogiro. Per coloro che senza il 9 cachet (non quello per il mal di testa ... ) si rifiutano di sollevare la propria chitarra. Per tutti coloro, alternativi e compagni, che guadagnano per serata (da soli e senza strumenti) una cifra che un apprendista prende in un anno. Per quegli individui certi della loro intangibilità e tanto alternativi che credono che l'arte (cosl la chiamano, anche se poi si riduce a vendutissimi inni di squadre calcistiche neanche tanto brave), essendo un valore spirituale, vada strapagata come i tartufi in dicembre e le ostriche a capodanno. Per tutti questi raccontiamo una storia. E' la storia di Enzo del Re, musicista spontaneo, libero « battitore » della musica di protesta, con una vena satirica popolare, con la certezza che la musica serva e che, se non serve a nulla, tanto vale non farla. Non entriamo nel valore di merito di questa musica: altri potrà più agevolmente scoprire quanto del Re si inserisca nella tradizione menestrellistica, o in quella dei cantastorie. E' certo che quella che egli rappresenta, reinventa, ricuce è una cultura povera, come tale strettamente legata alle situazioni reali, alla lotta, al\a presa di coscienza, ai problemi dei poveri e degli oppressi. Non vogliamo essere populisti (questa accusa è sempre Il pronta sulla lingua dei cosiddetti « operatori culturali ») e non diremmo, quindi, che le ballate di del Re sono un fatto di rinnovamento o di nuova cultura: un ponte verso l'avvenire, verso una cultura non più merce ma di nuovo espressione e comunicazione. Cerro si è che il modo di essere musicista di Enzo è più vero, più autentico, più alternativo (se vi piace questa parola sputtanata dall'industria culturale) di chiunque altro, o di molti altri. Esiste un unico disco, Il Banditore, che Del Re si è inciso per conto suo, pagandone tutte le spese e che vende in contrassegno a 1.500 ( miilecinquecento) ( 1). E' un disco diseguale, con difetti abbastanza seri di registrazione, ma è un esperimento che ci deve far riflettere. La musica di Enzo non ha bisogno nella sua semplicità di strumentisti, e nemmeno di strumenti. Lo porrete vedere, nel corso dei suoi molti concerti in giro per l'Italia e in circuiti non tradizionali, con un semplice sgabello di legno o una sedia. Alrri strumenti: la bocca (che sa far suonare in mille modi) e la voce. Certo, il suo arsenale percussionistico non è quello di Stomu Yamash'ta, ma è impressionante lo stesso. Ma l'altra cosa impressionante· è il succitato cachet. Enzo del Re prende, indipendentemente dal luogo e dall'incasso, la paga sindacale (L. 9.500), un forfait che lui chiama per le medicine (una sorta di cassa mutua, di L. 3.000) il rimborso del viaggio di andata (quello di ritorno diviene, nella sua attività febbrile, un viaggio di andata verso un altro concerto). In un recente concerto organizzato dal Comitato Vietnam di Milano, i compagni stupiti dalla richiesta di circa 20.000 lire gliene hanno date 30.000. Lui le ha prese, poi ha versato 10.000 lire per la sottoscrizione. Ma non si creda, ciò svilirebbe la sua figura, che del Re faccia ciò per parti ro preso o per snob. Egli è integralmente questo personaggio: mangia poco, dorme dove capita, e si agita continuamente per I' [calia, assicurando la sua presenza dovunque appena appena gli sia possibile. A questo punto che dire? Che del Re è un pazzo? Forse. e certamente questo diranno i padrini della controcultura ufficiale. Ma rimane il fatto che fra i pazzi di quesra specie e i furbi di quell'altra noi, maledettamente ingenui, continuiamo a preferire i pazzi, che poi sono le uniche persone con le quali si riesce a ragionare. (I) li disco può essere richiesto a: Circoli 011obre, via Mameli, 51 - 00156 Roma.

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Contrappunti aifatti Giaime Pintor Masonpassati trent'anni? Milano, 16 aprile: uno studente viene assassinato da un fascista a colpi di pistola. 17 aprile: in una manifestazione di protesta antifascista un lavoratore viene maciullato da un camion di carabinieri lanciato alla carica. 12 feriti da arma da fuoco: le forze « dell'ordine » sparano ad altezza d'uomo. Se non avessimo vissuto anche noi questi anni, penseremmo di essere nel '48, nel '50 o, addirittura nel '60. Quando uno stato non è capace di difendersi dalla teppa fascisra. Un corpo dell'esercito nazionale e nato dalla Resistenza, un corpo tradizionalmente « lealista », impazzisce (si fa per dire) e spara sulla folla. I fascisti, la maggioranza silenziosa, i nuovi centurioni, hanno licenza di uccidere. I tentativi di strage, in funzione elettorale, si moltiplicano. Quando tutto ciò accade non basta deprecare, condannare fermamente, bisogna agire concretamente. Ma quando la magistratura continua ad avocare per affossare. Lo stato latita. I vari Viola scoprono brigate rosse a ogni piè sospinto. Il questore di Roma non muove un dito per impedire che i fascisti terrorizzino la città. Il governo (ma quale?) ciancia cialrronescamente di violenza di ogni colore e propone misure liberticide. Quando abbiamo tutto ciò di fronte, la speranza che si agisca concretamente viene a mancare e subentra lo sconforto. Il ministro Gui non è Scelba. Ma la sua polizia non sembra aver capito anIl cora contro chi deve agire. Moro non è Tambroni, ma il clima che si sta creando oggi esige una risposta dura, che ci ricordi, che ricordi a tutti questi amletici governanti la risposta del luglio '60. Il fascismo non passerà. Ma è triste dover ripetere questa frase mentre si celebra il trentennale della Liberazione, di quel 25 aprile 1945 in cui i fascisti furono ,< fisicamente » spazzati via, moralmente condannati, politicamente sconfitti. L'antifascismo oggi non è una vuota parola d'ordine. Non è, non può e non deve essere, il cartello elettorale di nessuno. Deve e pu6 essere, invece, la base comune su cui tentare di rifondare il Paese, le sue scelte, la sua politica. Deve e può essere il sentimento, l'azione comune di un vasto schieramento democratico e di massa: uno schieramento che faccia udire la sua voce dalle fabbriche, dalle scuole, dalle piazze e, perché no?, dal parlamento se ne sarà capace. Si è fatto tanto rumore (e tanto polverone elettorale) intorno alla questione del voto ai diciottenni. Credevamo che fosse il riconoscimento di una partecipazione responsabile dei giovani. Ma partecipazione responsabile, assunzione di status politico a tutti gli effetti, non libertà di essere ammazzati per strada da squallidi burattini, da carogne prezzolate, prive tanto di ideali quanto di intelligenza. Il fascismo, vecchio e nuovo, non è un'ideologia, non è una visione del mondo. E' la negazione di tutto ciò, è la violenza cieca e vuota, l'irrazionalismo demente. Per questo è tanto più pericoloso. Perché oggi, come ieri, esso non è che il braccio armato di ben altri interessi, di una ben delineata visione del mondo: quella che ha paura che qualcosa cambi, che il mondo avanzi. Ma passerà lo sdegno. Si celebrerà solennemente il ,25 aprile e la Repubblica fondata sulla Resistenza. Il fascista che ha assassinato Claudio Varalli riparerà all'estero e non sarà mai più preso. Il carabiniere che guidava il camion che ha investito Gianni Zibecchi sarà assolco perché « acciecaro » dalle molotov. Il nuovo centurione che ha ucciso un dirigente di Lotta Continua a Torino avrà tutte le attenuanti e sarà rimesso presto in libertà (di uccidere). L'inchiesta sui carabinieri che hanno sparato ad altezza d'uomo sollecitamente aperta e altrettanto sollecitamente archiviata. E gli Ardizzone, i morti di Reggio Emilia, i Franceschi, i Ceccanti, i Serantini, i Ceruso, i Varalli, i Zibecchi, i Micciché, rimarranno i fiori del paternalismo zuccheroso dei vari Giorgio Bocca. Ma forse il vaso sta traboccando e il movimento, le masse sapranno ritrovare unità, decisione e fermezza nella risposta al fascismo e ai suoi tragici burattinai.

Una decina d'anni fa, quando gli studenti della California si stancarono di frequentare università mUJ!tiversità dove si comunica• va attraverso schede perforate, l'identità era riconosciuta non dal viso e neanra da un numero (che oltre tutto era il numero della polizza di assicurazione), si dormiva in pensionati che erano in realtà enormi alveari da incubo e cosl via non si limitarono, come credono molti, a fare il drop out per « prendere l'acido » ma condussero la loro protesta sia facendo proposte concrete per una rivoluzione politica sia sviluppando con nuove proposte concrete lo stile di vita denunciatario già in atto in America dai lontani Anni Cinquanta quando cominciarono le prime rivolte al neo fascismo di Joseph McCarthy. Via via che i gruppi dei drop ou ts si allargarono si delinearono anche i vari canali Allalucedelsole Fernanda Pivano America anni '50: le comuni alternative inventano uno sfruttamento anti-inquinamento dell'energia solare. della loro protesta. La sot• tocultura iniziatica delle droghe, del rock e della povertà volontaria si identificò con sempre maggiore chiarezza in giovani che rinunciando alla proprietà e al potere, e dunque al denaro e alla competizione necessaria per pro· curarselo, si ritraevano sempre più in una società eso• terica saldamente costituita dentro la società, un guscio dentro il guscio alla maniera Zen. In Comune questi gruppi avevano l'esigenza incalzante di respingere l'autorità del Sistema; e i modi di respingerla furono innumerevoli, basati sull'edonismo o sul misticismo, sull'attivismo rivoluzionario o sul qualun• quismo, sul riformismo o sull'ascetismo. Uno dei modi fu quello di sottrarsi alle « regole » riunendosi a vivere in agglomerati anarchicotribali: a volte in città, a volte nei villaggi, a volte in campagna a seconda di dove si vP.niva a costituire un nneleo ambientale che consentisse la loro sopravvivenza. Come comuni, cioè come centri di raccolta di adepti della Nuova Cultura o come comunità, cioè come centri di raccolta di persone riunite da una stessa intesa artigianale o professionale o artistica, i gruppi secessionisti si trovarono, fatta ta• buia rasa dall'aborrita società di provenienza, a dover mettere le basi di una società da non aborrire; e uno dei primi moloch col quale dovettero fari i conti fu la tecnologia. Il problema nacque in pari misura per le comuni rurali e per quelle cittadine, quale che fosse il tri p da loro scelto per la propria individuazione e insieme al probelma nacque l'utopia di raggiungere una autonomia economica che consentisse oltre alla sopravvivenza anche una autentica indipendenza. P~rleremo altrove dei ris11L

tari che questi sforzi produssero nelle comuni a sfondo rurale ecologico; e altrove parleremo delle proposte di una tecnologia alternativa, sempre viste in funzione dell'autonomia economica. Ora, come in un omaggio, vorrei ricordare i pionieri di dieci anni fa che per mesi hanno preferito leggere alla luce del kerosene piuttosto che servirsi della luce elettrica e rendersi complici dell'inquinamento dell'aria provocaro dai generatori di energia elettrica studiati dal Sistema. Uno dei problemi centrali di quegli anni, tra quelle minoranze seccessioniste, fu proprio quello di trovare fonti di energia elettrica non inquinanti. I pionieri del disinquinamento trovarono nelle biblioteche manuali ingialliti di ditte (come la Le-Jay) che negli Anni Venti avevano prodotto mulini a vento, nei cimiteri dei macchinari trovarono vecchie, arrugginite ruote Pelton ad acqua, nelle tradizioni non scritte studiarono il modo di sfruttare il metano contenuto nel concime animale per azionare generatori elettrici; ma soprattutto si impegnarono a produrre elettricità sfruttando l'energia solare direttamente, su basi puramente ecologiche, immagazzinandola sia per scaldare l'acqua sia per scaldare le case. La prima comune a procurarsi il 75% del riscaldamento necessario con un generatore di energia prodotta direttamente dal sole fu Drop City, fondata il 3 maggio 1963 nei dintorni di Trinidad in Colorado da un gruppo di artisti, scrittori e designers che volevano sperimentare l'uso delle cupole geodesiche di Buckminster Fuller (delle quali perle remo altrove). Fu un successo imprevisto e per molti imprevedibile, confortaro da antichi tentativi (forse conosciuti, forse sconosciuti dai nuovi sperimentatori): i primi tentativi di riscaldamento solare risalgono, credo, al 1949, quando Maria Telkes e Eleanor Raymond progettarono la Casa di Dover, nella quale l'energia solare veniva assorbita da una vasta zona di lastre di metallo annerito coperte da doppie lastre di vetro, il calore veniva trasportate dall'aria che circolava tra le lastre di metallo e veniva immagazzinato chimicamente in grandi serbatoi dai quali l'aria calda veniva sospinta da un ventilatore. Un progetto successivo fo quello del 1959 di Harry E. Thomason che nella sua casa di Washington coprì il· tetro con uno strato di materiale isolante, coprendolo a sua voita di lastre annerite di alluminio ondulato e coprendo poi queste di uno spesso strato di vetro. Il calore veniva trasportato dal tetto mediante acqua corrente (incanalata nelle ondulazioni dell'alluminio e raccolta nella cantina) e convogliata in grandi bidoni pieni di pietre dai quali un ventilatore lo sospingeva in forma di aria calda in tutta la casa. Sono due esempi. Si potrebbe parlare del progetto dell'architetro francese Jacques Miche!, che ideò un muro di cemento coperto da un doppio strato di vetro sul fianco della casa: di giorno l'aria entra tra la parete e il vetro, si alza via via che è scaldata dal sole e rientra in casa, mentre di notte la superficie interna della parete irradia nella stanza il calore immagazzinaro durante il giorno. Si potrebbe parlare degli esperimenti fatti nel Massachusetts con un forno solare, dove un grande numero di specchi puntati sul sole hanno provocato una temperatura di 5000 gradi centigradi sufficiente a fondere l'acciaio. Si potrebbe parlare del forno solare di Monr Louis, in Francia, dove è srara prodona una fonte di energia di 75 Kilowatts. Si potrebbe parlare delle lenti Fresncl usate nelle ricerche dell'Università dell'Arizona per convogliare la luce solare in un tubo d'acciaio e di lì pomparla in un centro di immagazzinaggio. Si potrebbe parlare degli esperimenti di Aden B. Meinel e Marjorie P. Meinel, due scienziati dell'Università dell'Arizona che usando il sistema delle lenti Fresnel hano calcolato di poter costruire un centro di energia solare di 1000 megawatt. Si potrebbe parlare di Peter E. Glaser e della sua ditta Arthur D. Lirtle, col suo progetro di mettere in orbita sopra l'Equarore un pannello di cellule solari di 7 chilometri quadrati, la cui energia si potrebbe trasformare in radiazioni di microonde orientare sulla terra. Si potrebbe parlare della casa di Rickmanswonh progettata nel 1956 da Ed Curtis, diventata un modello britannico; si potrebbe parlare della casa di Milton Keynes in Inghilterra o delle case sui Pirenei, dove dal 1956 il

Centre National de la Recherche Scientifique ha installato il laboratorio di Odeillo a 1300 metri di altezza e dove l'architetto Jacques Miche! e l'ing. Robert stanno facendo esperimenti da fantascienza. Si potrebbe parlare del progetto della Facoltà di Architettura dell'Università di Cambridge che nel 1973 venne finanziata dal governo per fare una casa sperimentale riscaldata con le radiazioni solari. Si potrebbe. Ma a misura che gli esperimenti sono diventa ti ufficiali e a misura che i finanziamenti sono diventati governativi è nato un nuovo aspetto del problema: quello di raggiungere riscaldamenti ricavati direttamente dall'energia solare non per disinquinare la aria ma per fare economia di petrolio; ancora un passo, e con l'ingigantirsi dei finanziamenti governativi il problema sembra diventato quello di raggiungere un'indipendenza economica-politica dai Paesi arabi detentori del Nuovo Potere petrolifero. Forse è a questa luce che si può ricordare il Congresso tenuto a Roma nel 1961 col titolo « Nuove Fonti di Energia » e poi quello già spettacolare tenuto nel 197J all'UNESCO di Parigi col titolo « Il Sole al Servizio dell'Uomo». Forse vale la pena di ricordare che Werner Von Braun, Maharishi della tecnocrazia americana, nel 197J ha ricevuto dalla NASA 30 milioni di dollari per fare ricerche sul1'energia solare e prevedeva di ricevere duemila milioni, sempre di dollari, per le ricerche da condurre nel 1974. E' per uscire da questa luce che preferiamo restare nel1'ambito della nostra squattrinata Drop City e dei nostri se si vuole ingenui sperimentatori alternativi, per una tecnologia alternativa, per una socteta alternativa, per un Pianeta alternativo non più inquinato dagli escrementi animali non servono a concimare ma servono soltanro ad uccidere. In questo ambito i finanziamenti, quando ci sono, vengono dalle Lorien Eterprises e gli Eroi sono Steve Baer o Day Charoudi. Steve Baer (lo stesso che fondò la Zomeworks Corporation, di cui parleremo altrove) immaginò una serie di bidoni anneriti pieni d'acqua disposti lungo la parete della casa di fronte al sole, tali da attingere il calore durante il giorno e conservarlo durante la notte. Day Charoudi immaginò invece un raccoglitore di energia solare che sembra una favola per bambini e se si vuole sembra l'uovo di Colombo. La sua sommità, che ha un diametro di tre metri, è costituita da uno specchio concavo fissato su una lastra di fiberglass; il suo fuoco è un termostato d'automobile che fa funzionare un sistema di 14 contrappesi in modo che lo specchio, come un girasole, sia continuamente rivolto verso iI sole . Il sole raccolto e intensificato dallo specchio viene convogliato e immagazzinato in un canale di olio; e questo permette alla luce solare di una giornata, immagazzinata in una cisterna di olio surriscaldato, di venire usata per riscaldare una casa o per azionare una pompa d'acqua o per far funzionare i frigoriferi. Secondo Charoudi un raccoglitore di energia solare costa 400 dollari e una produzione di massa abbasserebbe questo costo a 100 dollari, mettendolo alla portata della maggior parte delle comuni. Ci sarà qualcuno disposto a fare una produzione di massa per una massa così esigua? Il problema è sempre lo stesso. Ed è sempre la stessa anche la morale: guai a chi tenta di uscire dalla grande massa.

MATCH: 0'@9®9@'9 ! ••• I I ! I GIANNINEBBIOSI mentre la gente se crede che vola LP ITGL14002 CANZONIEREDEL LAZIO lassa sta la me creatura LP ITGL14003 DONATELLO il tempo degli dei LP ITGL 14004 ALBEROMOTORE il grande gioco LP ITGL 14001 messico lontano 45giri ITG 401 COLOMBINI E SALVADORI il passato se ne va 45giri ITG 402 DISTRIBUZIONE DISCHI RICORDI o r.,• EDIZIONI MUSICALI Oli'ìli!.Oli'ìl~@ , , I P.za Mirabello 1 - 20121 Milano Tel. 650 498 • 651.753

1975: sterminatiutti? S::ndro Portelli « Oggi uno stile ' country ' di maniera è presente in cantanti e gruppi C.S. N&Y, Kris Kristofferson, e altri...» e ieri? La vita del country dalla nascita creativa all'agonia per mistificazione. ·r J. La corsa sfrenata della macchina di Bonnie e Clyde era sottolineata da una musica inconsueta, apparentemente semplice, ma trascinata, sorprcndememente legata al paesaggio. i chiamava « bluegrass », e la suonava il grup• po di Earl Flatt e Lestcr Scruggs, due caposcuola del genere. li « bluegrass » è una delle forme recenti di quella che si chiama in genere « country music » - ovvero, e non per caso, musica di campa• gna, musica contadina. Con « Bonnie and Clyde ,, culminava un processo abbastanza vasto di recupero di questa musica; in poco tempo, il cosiddetto « country » usciva dal ghetto di musica per bifolchi meridionali in cui l'aveva relegato il gusto filisteo dell'America perbene. Musicisti di successo come Country Joe Mac Donald e Bob Dylan scendevano a Nashville, capitale del Tennesse e della musica « country » per rivistare in questa chiave il loro repertorio. Elementi di stile « coumrv » andavano ad ornare la ;nusica di gruppi del tutto e tranei a quel mondo. I asceva il cosiddetto « countrv rock ». Ma quando succ~devano tutte queste cose, la musica « country » aveva già decenni di swria. Prima di tutto, era stara la musica contadina tradizionale dei bianchi delle regioni più disperate d'Americ.J. Nei monti Appalacchi del Tennesse, Kentucky, Virginia, condannati al sottosviluppo, all'isolamento, alla speculazione degli agrari e delle compagnie minerarie, il folklorisra inglese Cccii Sharp aveva trovato all'inizio del '900 una straordinaria creatività musicale, basata su un ricco patrimonio di musica popolare inglese arcaica: melodie modali, da cantarsi a voce singola, sema accompagnamento; suggestive polifonie religiose aperte alla improvvisazione Ji ciascun membro del coro. Piì.1 a sud, la mu ica era la espressione principale dei « bianchi poveri » cli terre esaurite dalla chiavitù, massacrate dalla guerra civile, tormentate dal razzismo e della repressione di una religiosità arcaica e letterale. Negli anni venti, ai folkloristi si sostituì l'industria discografica. I « talent scout » della RCA, della Columbia, della Brunswick percorrevano le regioni montuose e le campagne isolate, fermandosi nei villaggi per registrare i musicisti locali, con uno scrupolo ed una meticolosità che i ricercatori universitari non si erano mai sognati. Per e~empio, Frank \Xlalker, della Columbia, « metteva annunci in anticipo sui gioranli locali. Poi selezionava i musicisti migliori e sceglieva le canzoni da registrare. Poi faceva fare qualche prova ai prescelti per abituarli ai microfoni e per scioglierli; cercava di comportarsi in modo molto informale, alla mano, cli solito sistemandosi nei piani superiori di qualche vecchio palazzo, mettendo tende alle pareti per l'acustica, e cercando di creare un'atmosfera casalinga. A volte si portava un po' di liquore di montagna, per sciogliere le gole ». La elezione dei cantanti e delle canzoni, chiaramente, avveniva in base a criteri estranei a quelli della cultura locale; ma si deve tenere conto che questi dischi venivano spesso rivenduti quasi esclusivamente sul posto, direttamente per il mercato rurale. Li commissionavano a volte dei commercianti locali, o venivano venduti per posta fino ai casolari più isolati. La musica era già diversa da quella che aveva colpito Sharp: accanto al violino, lo strumenro più antico nell'uso tradizionale perché si adattava meglio alle scale modali, c'era adesso la chitarra, che invece tendeva ad inquadrare la musica nei ritmi e nelle armoni-: convenzionali; e CO· imnciava ad emergere il banjo, portato dai negri, che aggiungeva un 'impronta rit• mica marcata, del tutto assenti: nelle ballare di origine

inglese e nella polifonia religiosa. Le voci erano ancora le stesse: acute, aspre, di testa e più spesso di naso, con il tipico timbro contadino del sud; le armonie molto compatte. Il mercato rurale permise dunque in qualche modo a questa musica di resistere senza eccessivi danni dal primo impatto con l'industria culturale: i discografici non facevano che vendere ai contadini la loro stessa cultura, al massimo tendevano a far circolare un po' di più alcuni stili locali, favorendo lo scambio. Rari i falsi; e non a caso proprio un « falso » fu il primo grande successo nazionale, il« Wreck of the Old '97 » di Vernon Dalhart, un cantante di musica leggera fallito che incise il disco più venduto degli anni '20 nella « country music », raccontando la tragica storia di un disastro ferroviario. Con il 1929, la crisi economica tagliò radicalmente il potere d'acquisto dei contadini e dei minatori del sud K Kristofferson (che m qualche posto stavano trasformandosi in operai: tessili in Georgia e Carolina, metallurgici alla Ford di Atianta, alle acciaierie di Birmingham). Cosl alle straordinarie fiori ture di grandi talenti locali (molti dei quali incisero due, tre dischi per poi sparire, e venire « ritrovati » 50 anni dopo, proprio come i grandi del blues), si vennero sostituendo i primi « divi » nazionali, capaci di concentrare su di sé tutto il poco restante potere d'acquisto del proletariato rurale meridionale. Per esempio, la Carter Family, che introdusse l'uso ritmico della corda bassa della chitarra che poi caratterizzò lo stile di Woody Guthrie, degli Almanac Singers, e di decine di cantanti « folk » urbani. I Carter can17 cavano canzoni disperate sulla Depressione: « Me ne vado in paradiso / dove non c'è la crisi », dicevano; e inni religiosi; e canzoni imparate dai negri, come il « Coal Miner's Blues»: « Ho il blues, il blues del minatore, perché la galleria sta per crollare e io ci lascer6 la pelle ». I Carter usavano ancora uno stile tradizionale assai pulito; la loro innovazione creativa avveniva all'interno della cultura popolare, senza badare alla commerciabilità. Questa fu invece la grande caratteristica di Jimmy Rodgers, il primo vero caso di « divo » della « country music ». Rodgers era un musicista di genio: ferroviere e figlio di ferrovieri, aveva imparato molto dai neri, ed era riuscito a fare una prima operazione di innesto del blues sul « country », anticipando il Presley di 25 anni dopo. Ma la sua era un'operazione, come è stato scritto, di « garbata devitalizzazione ». Mentre tutti i cantanti di « country music » si lamentavano per la depressione e spesso parlavano delle condizioni materiali della loro gente, Rogers cantava « No More Blues»: « Non mi mancano i soldi, mi posso comprare un paio di scarpe, che bisogno c'è di avere i blues? » Con Rogers, si perfeziona la divaricazione tra la « country music » dell'industria discografica e della « show business » centrato attorno alle stazioni radio di Nashville, che gradualmente si distacca dalla realtà per affrontare i suoi argomenti con il taglio della musica leggera e con uno stile edulcorato, e la musica contadina e proletaria che la gente del sud continua ancora a cantare senza preoccuparsi di inciderla in disco. Molte di queste canzoni sono rimaste: quella di Dave McCarn (che ne incise anche qualcuna), che raccontano gli scioperi degli operai tessili; quelle di Ella Mae Wiggins, uccisa dalla polizia .a Gas tonia mentre picchettava la fabbrica; quelle di Aunt Molly Jackson ( « i padroni vanno sui cavalli bianchi e noi camminiamo nel fango; la loro bandiera è stelle e strisce, la nostra ha li colore del sangue » ); di Jim Garland ( « Compagni, state a sentire, vi racconterò la storia di come fu ucciso il miglior militante che il nostro sindacato abbia mai avuto » ); di Sara Ogan Gunning (« Odio il sistema capitalista; mi ha dato tanto dolore e ha ucciso tutti i miei cari » ). Ma anche la musica dell'industria discografica è meno disimpegnata, meno vuota, delle canzonette sentimentali di Tim Pan Alley e dei musicals di Broadway. Sa che chi la compra sono proletari, e deve parlare di cose che li riguardano, magari per mistificarle. Cosl, accanto al sempre più invadente amore canzonettistico, si parla ancora della depressione, delle tasse, della povertà, dei raccolti, dei delitti e dei disastri ferroviari, delle inondazioni, qualche volta anche degli scioperi. Per esempio, forse

ci ricordiamo tutti « Sixteen Tons »; la scrisse Meri e Travis, un cantante di « country music » del Kentucky, subito dopo la guerra: « Hai scavato sedici tonnellate, e che ci guadagni? Un altro giorno di debiti e un altro giorno di vecchiaia. Quando muoio, San Pietro mi chiamerà: devo resti tu ire 1 ':in ima al magazzino della compagnia ». La « country music » dunque si contrappone all'altra musica perché è sempre nel suo complesso impegnata. Impi::- gnara, va detto, non sempre in senso progressivo: il Sud è la parte più retriva cl' America, e l'ipoteca reazionaria grava sempre più sugli strati popolari che sulla borghesia. Avvocati, medici, professori banno poco da temere dalla concorrenza dei loro colleghi negri; gli imprenditori industriali sono ben lieti di impiegare negri a salari di concorrenza. Sono i braccianti, i mezzadri, i manovali che si vedono messi in concorrenza con i neri per i posti di lavoro. Sono loro che subiscono il peso di una società spaventosamente repressiva, che vivono nell'insicurezza e nell'arbitrio, e recuperarono un senso distorto di identità solo contrapponendosi ai neri. Meglio di tutti, questo stato d'animo l'ha forse descritto Bob Dylan, quando ha parlato dei bianchi poveri in « Only a Pawn in their Game », « sono solo una pedina nel " loro " gioco ». La « country music » non va esente da queste ipotetiche razziste, e di conservatorismo religioso, anche se - come osservano Tony Russe! e Alan Lomax, forse il campo della musica è quello in cui il razzismo ha trovato meno spazio. Ma ne ha trovato: la canzone «country» si sono espresse contro il darwinismo, a favore dell'interpretazione letterale della Bibbia; contro la protesta giovanile, a favore della guerra del Vietnam; hanno espresso tutti i livelli più retrivi del superpatriottismo e dello sciovinismo razziale e sessuale. « Politicanti reazionari », scrive Jens Lune!, « Come George C. Wallace, Lester Maddox, Orval Faubu , si sono serviti della " country music " nelle loro campagne elettorali »; e anche il Ku Klux Klan ne ha fatto occasionalmente uso. A questo proposito va osservato però come i « reazionari » della politica meridionale abbiano sempre avuto un taglio fortemente populista, di contrapposizione ai moderati e liberali accusati di essere borghesi e settentrionali (ovvi~- mente, la sinistra non ha mai avuto il diritto di parola: vale la pena di ricordare che i cantanti di cui ho accennato prima sono tutti finiti in esilio o in galera); e quindi essi si rivolgono alla ricerca del consenso popolare, dei bianchi poveri e dell'uomo comune. Naturale quindi che usino questa musica che, pur essendo chiaramente proletaria e contadina in orgine, assume ormai un segno finto nazional-popolare di identificazione regionalistica meridionale, un po' come le nostre napoletane. Ma l'ambiguità resta. Non si può vendere sempre ai poveri un discorso che vada inesorabilmente contro i loro interessi diretti. Ne è un esempio, tra i tanti, Merle Haggard, forse uno dei più reazionari tra i cantanti « country» moderni. Le sue canzoni dicono « poi non fumi~mo la marijuana, noi non bruciamo le cartoline precetto; noi siamo ancora americani al cento per cento » e ancora, « quando parlate male della bandiera, sappiate che mi fate prudere le mani ». Ma una sua canzone, « Mama's Hungry Eyes » è tra le più amate e cantate dai giovani progressisti del sud: « Ricordo una baracca e lo sguardo triste pieno di fame di mia madre e l'avvilimento di mia madre, perché un'altra classe di gente ci aveva privati dei nostri diritti », dice Haggard, e dice la verità. In realtà, la « country music » è oggi sempre meno musica dei contadini e sempre più, nelle sue espressioni migliori, la musica del proletariato urbano di recente immigrazione. Molto del materiale che viene prodotto per questo mercato è paragonabile alla nostra orchestra Casadei: un campagnolo fasullo e sentimentale fatto per giocare sulla loro nostalgia del sud, delle propria terra e del proprio dialetto. Ma la vecchia tradizione di impegno della « country music », di rapporto con l'attualità concreta, produce ancora materiali sorprendenti. Cosl, proprio alla categoria dei meridionali inurbati appartiene una straordinaria autrice e cantante come Hazel Dickens, che scrive e canta in eccellente « bluegrass » tradi1ionale, canzoni sulla condizione operaia del sud: «Dicono i giornali e sentiamo alla radio di mandare anche i nostri figli in miniera; ma ns,i stateli a sentire, ricordatevi il disastro di Mannington, dove sono morti inutilmente 70 uomini sepolti vivi. Dio non vi perdonerà, mi avete ucciso il marito e adesso volete mio figlio». La Dickens circola più nell'ambiente della musica popolare e progressiva che non sul mercato della « country music » propriamente detta; ma è senz'altro più vicina ·alla musica che oggi la gente veramente suona nel sud. Così, mentre il « country » reazionario si avvale, ancora una volta, di cantanti di musica leggera falliti o quasi - eia Pat Beone e Marty Robbins - per le sue allucinanti invettive contro vietnamiti e neri, si può osservare che più lo stile musicale è vicino alle fonti tradizionali, più fuori da Nashville. Ho detto di Hazel Dickens. Potrei aggiungere lim-

rod Workman, che parla del « black lung », il polmone nero che è la malattia dei minatori; e Mike Paxton (che fa dischi sul normale circuito commerciale): « Ho fatto il minatore tutta la vita, come faccio a imparare un altro mestiere? Ho i polmoni neri, ma non lo dirò a nessuno ». Alcuni giovani cantanti impegnati politicamente, come Mike Kline, fanno canzoni e dischi alternativi in stile « country » sulle lotte dei minatori e dei contadini, o come Sue Kahn, riprendono i I repertorio tradizionale più progressivo. E nelle manifestazioni che si sono tenute attorno al nuovo movimento democratico per il controllo di base del sindacato minatori, è riapparsa ancora la vecchia Sarah Ogan a cantare, -lO anni dopo, « aprite gli occhi minatori, e guardate che cosa ci ha fatto questo sporco capitalismo». Resta da dire degli sviluppi più specificamente musicali. La « country music », attraverso le riedizioni dei dischi degli anni 20-30, ha avuto un'influenza determinante sul « folk revival » urbano: almeno un terzo del primo repertorio di Joan Baez era preso di peso da una raccolta di dischi « d'epoca » edita dalla Folkways nel 1952. Sulle stesse fonti si formavano i New Lost City Ramblers, senz'altro il miglior gruppo di musica popolare del revival. E Pete Seeger imparava dai dischi e dal!' insegnamento diretto dei grandi musicisti tradizio,,ali, come Uncle Dave Macon. la sua tecnica di banjo che ha poi diffuso in tutto il mondo. Influssi ancora più clamorosi la « country music » li ha avuti sul rock and roll delle origini. Se si ascolta il primo Elvis Presley, quello di «Old Shep», « When My Blue Moon Turns to Gold Again», « How's the World Treating You », « A Fool Such as I», si riconoscono immediatamente le sue matrici nella musica di Jimmy Rodgers, Ray Acuff, Hank Williams. Proprio la fusione dei due grandi stili musicali meridionali, la « country music » e il blues, ha formato il rock che si è imposto fino a che i Beatles e i Rolling Stones non lo hanno « annerito» privilegiando le fonti afroamericane nel loro stile. Oggi uno stile « country » di maniera è presente in cantante e gruppi di vario genere e origine, come Crosby Stili Nash & Young, Kris Kristoffersen, ed altri ancora. E' difficile dare un giudizio su questa musica senza rendersi conto che l'operazione di recupero dello stile « country » è tutta in superficie e assai scarsamente originale, più di maniera che altro. D'altronde, una « country music » edulcorata _:_ stilisticamente e politicamente - ha avuto una certa voga con personaggi come Johnny Cash. Assai più diretto il recupero dello stile « country », e specialmente del più moderno « bluegrass », nel caso di una serie di gruppi che fanno musica politica e intendono rivolgersi sul serio a un pubblico popolare vero. Per esempio, il gruppo della « Human Condition », la cui leader, Beverly Grane, ha scritto le migliori canzoni femministe in America, e che suona una musica assai tagliente e aggressiva nei suoi momenti migliori, soprattutto nell'uso dei timbri vocali. O infiniti gruppi e gruppetti a circolazione poco più che locale, che trovano nella musica contadina del sud uno strumento espressivo flessibile e abituato all'impegno. Ne voglio citare uno, del tutto sconosciuto, di cui ho sentito un nastro che mi ha colpito: quello di Patrick A. Haggard, di Tacoma, nello Stato di Washington (il più lontano possibile dal Sud ... ), che suona straordinarie, poeticissime canzoni che per una volta fanno capire anche a chi è estraneo a questi problemi che cosa vuol dire essere omosessuale e rivoluzionario. E suonano da maestri, da grandi musicisti. ] nfine, che cosa suonano adesso nel Sud e nei quartieri degli immigrati meridionali i contadini e i proletari? Direi che la musica che fanno più di tutto è il « bluegrass », uno sviluppo della tradizione contadina avvenuto dal suo stesso interno. Alan Lomax sostiene che il « bluegrass » è lo stile orchestrale popolare di cui la « folk music » americana era priva, paragonabile ai grandi complessi strumentali tradizionali dei Balcani. Mentre Nashville aggiungeva lacrimose chitarre hawaiiane e lamentosi sottofondi d'orchestre d'archi, musicisti di talento come Bill Monroe, Earl Flatt, Lester Scruggs aggiungevano una nuova carica ritmica alla loro musica, inventavano (Monroe) un originale uso del mandolino come strumento ritmico oppure (Scruggs) un modo nuovo di suonare il banjo a tre dita che ha rivoluzionato tutta la tecnica di questo strumento. A volte si è introdotto, in modo non oppressivo, l'uso dell'elettrificazione e una sezione ritmica con la batteria e il contrabbasso; altri gruppi meno professionali invece recuperano i I violino tradizionale. Questa è la mu ica che si suona adesso nel ud ( « bluegrass » è una parte del Kentucky, che ha dato il nome a questo stile) e in gran parte delle città industriali. nonostante Je stazioni radio e l'industria discografica di Nashville non privilegino affatto questa musica. E' un segno della continuità e della creatività della cultura popolare, uno dei pochi dati progressivi in una situazione culturale estremamente depressa.

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