Muzak - anno III - n.01 - aprile 1975

California Poker A dispetto delle condizioni sociali e dei bagagli culturali, esseri senza nome e senza passato si incontrano, si fiutano, stringono amicizia con brevi, impercettibili cenni di intesa. E' il caso qi Charlie e Bill, due fantocci come tanti altri nella variopinta, chiassosa umanità che alloggia in una delle mille sale da gioco di Las Vegas. Prima la gioia di una vincita, poi il furto e le percosse, ad opera di un giocatore piuttosto contrariato per il fato avverso: una rapida successione di avvenimenti e sensazioni contrastanti è più che sufficiente a saldare un così spontaneo legame. Eccoli insieme, dunque, i due eroi di California poker. Charlie scommette sempre, ovunque, e si misura senza sosta con se stesso. Il gioco è un'alienazione che lascia spazio alla fantasia e lui sembra esserne consapevole. Charlie è un « numero » che esaspera di continuo le cifre sociali e culturali attribuitegli, si contorce in un'agonia dolorosa quanto inutile, alla ricerca di un proprio io approvato e omologato da questa aberrante società radicata attorno ai fondamentali principi « competizione » e «lucro». Mentre Charlie è un diverso che tenta di espiare la sua condizione e i latenti moti di rivolta censurati, trasformati probabilmente in sensi di colpa, Bill è un normale, disorientato da una tragica serie di fallimenti esistenziali (matrimonio lavoro), improvvisamente sbandato perché strappato con violenza ad una narcotica routine. Accanto a Charlie, Bi! assapora gli effimeri piaceri dell'improvvisazione quotidiana e si inserisce di buon grando nel ménage schizoide dell'amico. I due si accampano in casa di una coppia di simpatiche putta43 ne, e tutti insieme alimentano una sinistra euforia senza vita. Non appena un turbamento dai nebulosi contorni comincia a farsi strada nella mente di Bill, questi prende per un braccio Charlie e lo trascina con sé in una privata « corsa all'oro » la cui posta in palio è la fiducia in se stessi, nell'ambito delle regole istitui te: carte, roulette, dadi, slot-machines, corse di cavalli e di cani, manifestazioni agonistiche di vario genere. Dietro ogni cosa può celarsi un avvincente confronto. E quindi giù, a precipizio, in un volo senza fine, a lottare affinché non si raggiunga mai il suolo. Una simile determinazione impone un risultato: dopo alcune prove interlocutorie, i due incappano in una giornata di grazia e fanno letteralmente tremare i tavoli in un casinò di Reno. Circondati di ammirazione e d'invidia, Charlie e Bill contemplano inebetiti una valanga di quattrini. Il primo, però, vorrebbe continuare, pérché la sua sete di rivalsa non può e non deve placarsi: la vittoria definitiva ed assoh. :ta vorrebbe dire fermarsi e riflettere. No, questo mai. Charlie sa che dietro l'angolo una nuova, stimolante sconfitta è Il ad attenderlo. Bill, invece, non ha parole. E' giunto al capolinea e, forse, ad una straziante presa di coscienza. Mentre molti aspettavano quel Thieves like us ( « Ladri come noi ») presentato con successo al Festival di Cannes nella primavera scorsa, Altman sfodera d'improvviso questo Kamasutra dei gioco d'azzardo: California poker ha tutto il fascino delle sue tipiche opere « non ufficiali » e accentua quel carattere antiletterario che già contraddistingueva il singolare Anche gli uccelli uccidono, il suo film più « clandestino », il più significativo. Ad incastro tra una satirico burlesque spigliato ma solo superficialmente dissacratorio (Mash ), una ballata dignitosa ma ovvia (I compari), una trasposizione geniale molto, molto sofisticata (Il lungo addio), il regista statunitense inserisce ancora una volta l'inquietante rappresentazione sentita e firmata a più dimensioni, che si coniuga nella finzione cinematografica come al di fuori di essa. Se questa grande stagione del cinema americano pu6 vantare, nella pluralità degli interventi, una sua storica nouvelle vague, lo deve in parte e soprattutto ad Altman: la sua oggettività fenomenologica, esposta in chiave esemplare, riafferma in modo perentorio prestanza ed autonomia dello strumento cinematografico. California poker è un happening privo di istanze preconcette, sprovvisto di esiti meccanici: vi si agitano tormenti e fermenti cresciuti poco a poco in un contesto necessariamente arido e spoglio. L'autore offre ai suoi protagonisti una connotazione disegnata con rapidi, lievi tratti e dà loro la massima chance: che si esprimano pure liberamente; ogni ipotesi sarà valida, ogni approdo legittimo. Saranno come vorranno, e perciò naturalmente emblematici. E, del resto, California poker si riallaccia al linguaggio dei news reel, che ebbero un ruolo determinante nella crescita del cinema americano: non si avvertono quasi forzature, nella dinamica di una vicenda pur così attratta dai suoi scarni elementi narrativi; ogni insofferenza, provocata da ampi vuoti di tensione, si consuma senza provocare danni nell'accettazione stessa di un'autenticità ora drammatica, ora « semplicemente »• avvilente. Elliott Gould (Charlie) e George Segai ( Bill) sviscerano il proprio temperamento, gli atteggiamenti più personali nell'invenzione contim,1a dei rispettivi personaggi. David Grieco

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