Muzak - anno III - n.01 - aprile 1975

Dovendo, questa, diventare una rubrica fissa del giornale sarà necessario spendere qualche parola per presentarla. Il titolo (e quindi l'argomento) è stato scelto rifacendosi al libro « Le canzoni della cattiva coscienza » di Liberovici, Straniero, Jona e De Maria; un eccezionale saggio, pubblicato dieci anni fa, che analizzava e denunciava il ruolo della canzone di consumo come strumento di coercizione massificatoria; di persuasione incisiva e deleteria, celata da una falsa ideologia di evasione, di obbligatorio e irriducibile « take it easy »; di ami-impegno, insomma, a tutti i costi. Quel discorso meriterebbe senza dubbio di essere ripreso e continuato alla luce dei più recenti sviluppi dell'industria della canzone. Tanto più che c'è ancora molta riluttanza a riconoscere nella « canzonetta » e nell'impero economico che ne è alla base, il veicolo di un preciso messaggio per lo più profondamente reazionario. Ne deriva che per « cattiva coscienza » s'intende da un lato la responsabilità politica a livello generale che è alla base di tutti i fenomeni che si sviluppano in seno alle strutture sociali, e dall'altro l'ignoranza o la passività incosciente e qualunquista degli operatori musicali, compositori, produttori, cantanti, e del pubblico stesso. Tutti spettatori-complici di questo processo. La « canzonetta », in questo contesto, assume una precisa connotazione politica. In primo luogo come espressione « poeticamente » perfetta del malcostume, della deficienza e della arretratezza delle istituzioni, di esigenze indotte e non spontanee della collettività, delle forze culturali più retrive e deteriori. In secondo luogo la canzone di consumo essendo portatrice di messaggi e quindi protagonista dei mass-media, diventa non solo uno specchio fedele della situazione sociale ma anche e soprattutto elemento attivo della sopraffaLa cattiva • coscienza zione, dell'annullamento dei cervelli, della distruzione delle forze culturali spontanee; in una parola della conservazione. Può essere un errore, quindi, trascurare questi fatti. La rubrica, vuole essere appunto un momento di riflessione su quanto avviene nell'ambito della musica leggera in Italia. Per rendersi conto dell'utilità di questo tipo di analisi, è sufficiente soffermarsi su alcuni problemi sociali filtrati dalla logica canzonettistica. Proviamo, ad esempio a vedere attraverso l'ottica della canzonetta, la figura della donna nella società contemporanea. E riguardo a questo problema non si può evitare di prendere come personaggio emblematico Lucio Battisti, che oltretutto è tanto più pericoloso tanto più è ambiguo e sfuggente, a differenza di personaggi tutto sommato più schietti come la Berti o Reitano. Come vede la donna Battisti? Diciamo intanto che nella canzone, tradizionalmente, le figure di donna si possono ricondurre essenzialmente a due filoni. Al primo va ricondotta la donna-moglie. Generalmente è un personaggio anonimo, sul quale non ci si sofferma per descriverne gli attributi fisici; tutt'al più si rileva la delicatezza dei tratti del viso. E' comunque anonimamente completa, una donna da amare tutta la vita, si suppone vergine per evitare contaminazioni col secondo tipo, diametralmente opposto. E' fedele, sana, ottima casalinga e madre promettente; un solido pilastro per la futura unione che deve durare, si spera, anche dopo la morte. Nel secondo filone è inclusa la femmina-oggetto, essenzialmente una macchina provocantemente sessuale, da usare a piacimento. E', naturalmente, senza cervello, ma soprattutto « senz'anima ». La si pu6 anche ridurre a brandelli, in senso etico, perché questo tipo di donna non ha dignità nè è capace di soffrire; è nata per esaltare la virilità del maschio, contentissima di esserne poi umiliata. Apparentemente Battisti non rientra in questa schematizzazione tradizionale. Per Battisti la donna spesso prende l'iniziativa, scatenando complessi edipici e d'inferiorità nel ragazzo innocente, eternamente sul punto di essere iniziato ai piaceri del sesso. Oppure è una rompiscatole esasperante che passa la vita a sabotare la libertà astrale della mente del suo uomo. In realtà Battisti ha semplicemente rispolverato un'idea più ancestrale e morbosa di donna, rispetto all'immag_inepiù consueta. Nella sua simbologia le sue donne si riducono ad una femmina-madre monotipica, che rappresenta il legame con la terra, ma anche con l'animalità e quindi con i misteri del sesso (nascostamente rifiutato come cosa primitiva e oscura). E' una donna solida, esperta, sicura, contrapposta ad un uomo lacerato dai dubbi, insicuro, poeta e filosofo, tendente verso i vasti orizzonti e la libertà del pensiero. Se vogliamo, quindi, si tratta di una versione addirittura più sottilmente reazionaria di quella più consueta. Continuando ad infierire su Battisti, che oltretutto meriterebbe qualcosa di più che queste blande vergate critiche, vorrei citare un brano incluso nell'ultimo LP che si chiama « Anima latina ». Il brano in questione è « Due mondi », manco a farlo apposta riferito alle due sfere cosi nettamente contrastanti dell'uomo e della donna. E' forse il suo prodotto più esplicito in materia. Il brano è cantato a due voci che si alternano. Quella di Battisti come al solito ammaliante, ambigua, purtroppo fascinosa, che parla di universi, di luce, di « terre dove i frutti son di tutti ... », e della sua mente che come una vela « prua verso l'altra gente, vento, magica corrente ... » Negli intervalli entra una voce femminile, fastidiosa querula, anche un po' stonata, che ripete senza mai arrendetsi « voglio te, voglio te ... ». E poi ancora lui replica stizzito: « l'amore è qualcosa di più del vino, del sesso che tu prendi e dai. Sarei una cosa tua, amore, gelosia, amor di borghesia. Da femmina latina a donna americana non cambia molto sai... ». Pare la confessione di un complesso narcisista e anche sospetto fascista. Una presunta confessione che non ha bisogno di commenti tanto queste frasi sono false, stupide e bigotte, e non sarebbe grave se Battisti non avesse il seguito che ha. Kappa

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