Lassastà lamècreatura La paura della donna della classe media americana nei confronti del nero è dovuta non tanto al colore della pelle o alle sue differenti caratteristiche somatiche che anzi è risaputo non disdegnerebbe affatto, nei suoi sogni segreti, conoscere più da vicino, quanto per i modi assai diversi di linguaggio, di espressione, di vita che rendono il nero o il pellerossa, l'immigrato europeo o l'asiatico « altro » dallo yankee e dal suo schema di vita sociale. E' questo il vero razzismo insito nei principi di sviluppo del capitalismo occidentale se non di tutta la civiltà bianca: quello cioè di riconoscere solo a se stessa la capacità di fare cultura, ovvero di sintetizzare in forme di comunicazione e produzione le più alte potenzialità di una intera umanità. Tutto il resto è inciviltà e pertanto va soppresso. Esempi di questo processo ne abbiamo anche troppi: stermini di popoli interi fin dai tempi più remoti sono stati perpetra ti in nome della civiltà; basti pensare ai recenti fatti del Cile, al bisogno del1' America di distruggere, attraverso i generali fascisti servi suoi, oltre l 'opposizione politica ogni forma di libera espressione di quel popolo che si andava organizzando in forme culturali autonome (pensate soltanto ali' incendio degli archivi di Violeta Parra coi mille nastri e documenti di cultura contadina e operaia cilena). Anche in Italia di esempi ce ne sono a migliai• dall'od:J artificiosamente generato nei confronti degli immigrati meridionali al nord, alla lingua ufficiale di forza imposta sugli idiomi locali, alla repressione della chiesa su ogni forma d'espressione non ortodossa e via dicendo. 10 Oggi che esistano due modi esattamente opposti di esprimere la cultura è ormai chiaro a gran parte della nostra generazione. C'è una cultura falsa prodotta da chi detiene il potere e finalizzata quindi ai propri interessi di classe: priva di contenuti umani anche se formalmente curata; c'è poi la cuitura che nasce dal basso, dalle classi subalterne, dagli sfruttati e che ha radici profonde nelle tradizioni e si rigenera continuamente nelle esperienze di vita e di lotta. Esiste da noi- come in ogni altro paese il teatro popolare, una visione della storia popolare, una religiosità popolare, una poesia popolare e non da ultimo un modo popolare di fare musica. Quando siamo nati come Canzoniere del Lazio, agli inizi del '72, con le grandi lotte operaie e studentesche alle spalle, la voglia di fare era il nostro impegno e il gruppo aveva una precisa fi. nalità: quella di conoscere, studiare e rimettere in circuito elementi di espressività autonoma contadina e operaia della regione. I nostri strumenti erano le voci, l'organetto, la chitarra, il violino, il flauto e il tamburello. In collaborazione coi compagni del Nuovo Canzoniere Italiano anche noi cominciammo a portare le nostre canzoni in giro per teatri e piazze del paese. La nostra musica non era né nei testi o nelle forme dissimile da quella che registravamo nelle osterie e nelle campagne, ma neppure era perfezionistica o accademica. Spesso nelle feste di piazza i protagonisti delle nostre storie si sostituivano a noi sul palco oppure lo svolgimento alcolico delle feste ci costringeva più a ballare che a cantare, più a partecipare che a portare messaggi e allora il nostro populismo da studenti andava dritto dritto a farsi fottere... nel frattempo scoprivamo col significato di strani riti e dietro ai simboli di testi strani modi di fa. re musica; di improvvisare armonie, ritmi, discanti che neppure ci immaginavamo. Da allora molte cose sono cambiate nello sviluppo del gruppo e della musica ma c'è una continuità precisa.
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