Muzak - anno II - n.13 - novembre 1974

Ottobre. Casa mia. - Fai un articolo per Muzak? - Come no, certo. - Dovresti scriverlo per mercoledì. Ma che dici davvero? E che, per scherzo? E di cosa devo scrivere? Di quello che ti pare, massima libertà. Allora siamo d'accordo, mi raccomando ... per mercoledì. Ciao. - Ciao. Ottobre. Rassegna della « Nuova Canzone» De Gregori, Venditti, Sorrenti e soprattutto e soprattutti l'ombra di Guccini. Viene, non viene? « Sl, viene ma non possiamo dire quando, ché se non succede come l'anno scorso. Migliaia di persone in mezzo alla strada, e il locale tiene duecento posti ... E' arrivata la polizia, m'hanno sfasciato le porte, l'ingresso... E poi io la polizia non ce la voglio ». Continuo a leggere il programma. Ll in mezzo io e Ivan della Mea. « Vi ho messo così, nella rassegna » parla sempre il proprietario del Folk Studio. Un compagno. Bravo. « Anche se voi non c'entrate con la nuova canzone, cosl oltre al vostro solito pubblico verranno a sentirvi anche ragazzi di quattordici -anni... ». Non ci avevo pensato. Noi, Giovanna Marini, Ivan della Mea, Fausto Amodei, Alberto d'Amico, Gualtiero Bertelli, io, il « Nuovo Canzoniere Italiano » insomma, eravamo la nuova canzone degli anni sessanta. Ma è quell'imperetto, quell'« eravamo » che solo adesso mi diventa chiaro. Era una nuova canzone un po' diversa. Niente radio, mai. Nien44 te televisione, mai. Dischi pochi, fatti male distribuiti a mano quasi sempre. Tutto questo senza nessun rimpianto. Era giusto. Era una « Nuova Canzone » tutta urlata fuori, per strada, nelle piazze, fabbriche occupate, scuole occupate, e poi ancora case, scuole, fabbriche che stavano per essere occupate. Arriva una ragazza, si avvicina alla cassa. « Se mi dite quando c'è Guccini il biglietto ve lo pago 10.000 lire». Rabbrividisco. Poi mi dico che sono un moralista. Poi negli anni '70 altri spazi. Scuole, fabbriche, case sempre meno occupate. Cambiano anche le canzoni. C'è poco da urlare fuori e molto da guardare dentro. Le parole diventano più sommesse; le musiche più sedute. A me, le mie, vi giuro, piacciono sempre tanto. Comunque canzoni sempre da ascoltare e mai da sentire soltanto. Il tentativo è quell1 di pensare, di ragionare, di inventare, anche di faticare, solo un poco, insieme con chi sente. Per questo ero convinto che la « Nuova Canzone » questo fosse, e di occuparne io, ancora, una piccola parte. E invece no. Canto, la sera che tocca a me, davanti a un pubblico sconosciuto. Ho appena mangiato del pesce guasto. Sono tutti ragazzi, giovani molto più giovani di sempre. Non tantissim1. Comincio. Il pesce mi torna su. Vado avanti. Mi sembra che mi guardino con curiosità, un po' straniti. Forse è colpa del pesce.. Mi fermo un momento. Qualcuno batte le mani. Pochi. Penso di dover parlare, di dover dire qualcosa. Non ci riesco. Per la prima volta non so che dire. Provo a parlare solo con le canzoni, una dietro l'altra, senza staccare mai, anche po' per la paura dei silenzi. Finisco. Se ne vanno applaudendo. Forse è solo per la fatica che ho fatto. Come se avessero visto davanti a loro uno che scaricava mattoni, tanti, frene• ticamente, e si sentissero in colpa per essere rimasti seduti. O forse la colpa è, ancora, del pesce. Ottobre. Casa mia. Mercoledì. Mercoledì! E l'articolo per Muzak? Non mi viene niente. La sera vengono alcuni compagni. C'è anche Ivan. Lui non ha avuto le stesse impressioni. Si parla ancora di canzoni, di musica. Soprattutto di musica di importazione, di concerti pop. I van è convinto di aver ragione. Non lui solo, ma tutti noi, il lavoro di ricerca e riproposta del canto e del materiale popolare, il lavoro del « Nuovo Canzoniere», dell'Istituto Ernesto De Martino, delle Edizioni del Gallo, cioè le nostre, la validità, l'importanza delle « nuove canzoni », quellè di un tempo e quelle di adesso che non so come chiamare. Altri compagni sono meno d'accordo. Scopro che in quel momento non mi frega niente delle canzoni vecchie, nuove o nuovissime, niente della musica, pop o no, ma ho ancora davanti le facce di quei ragazzi, un po' stralunate, un po' interdette. E mi frega ancor meno di aver ragione. Voglio capire. Che c'è dentro quelle facce, perché se è vero o no, e credo che sia vero, che la musica e non solo quella si sente e non si ascolta, perché sono, parlo sempre di loro, i giovanissimi (e mi viene in mente mio nonno che parlava di me e diceva: « questi giovani crescono sempre più in fretta ») così diversi, così fuori da me. Credo che la sensazione sia reciproca. M'hanno risposto (o mi so: no risposto?) che sono impressioni banali, da bassa sociologia, e che l'unità si trova o comunque si cerca nella classe, non nei « giovani » che cosl sono una categoria indifferenziata, generica. Non è così semplice. Adesso i giovani, tutti, sempre con minori differenziazioni, sempre di più sono investiti, travolti, e forse sconvolti da messaggi culturali o pseudo cuiturali che cadono dall'alto, spesso da altri paesi, come bombe. Ed è con questi che bisogna fare i conti, non solo con le strutture. Credo. Sento la radio, i dischi, parlo più di sempre. Le canzoni, le notizie, certi messaggi ti entrano in testa. Più di ieri. E' difficile. E' martedl della settimana successiva. Tutta questa roba mi viene fuori, lentamente, in una canzone. Non penso più a Muzak. Mercoledì. Muzak mi telefona. Sono in ritardo di una settimana, e l'articolo? Mi viene un'idea. Chiedo di pubblicare la canzone. Muzak dice di sì. Mi chiede di fare un breve cappello. Questo è il « breve » cappello. E questa è la canzone. La musica? Quella sa un pò

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