ai meccanismi dell'esclusione, 'della violenza, dell'istituzione, della « follia » indotta e recuperata come emarginazione - da un lato - e come condizionamento - dall'altro -, maturò in consapevolezza d'un tratto. E altrettanto rapidamente - non a caso era il '68 e molti miti erano già stati smantellati o andavano crollando - con un, sol gesto il totem della malattia fu abbattuto. A far calare la riflessione su una dimensione fino ad allora misconosciuta, o quasi, dai non addetti ai lavori, era stato un libro d'autore amer-icano: quell'Asylumus che, scritto da Erving •Goffman nel '61, giunse in Italia, da Einaudi, solo 7 anni dopo. Dalle proprie investigazioni di sociologo, Goffman trasse un libro che fu, ed è una « bomba ». Il quadro viene fuori pagina per pagina, pezzo per pezzo: dalla spoliazione del « soggetto » appena mette piede nell'istituzione - ed è prima di tutto spoliazione fisica, quasi un rito che ti inizia al culto e ti predispone al trattamento - attraverso la spersonalizzazione progressiva - può essere la costrizione a mangiare solo con il cucchiaio, o il mettersi sull'attenti quando entra un ufficiale, o l'essere chiamati per nume- ·ro, invece che per nome - Si va avanti con il lavoro non pagato, o sottopagato - nobilitato con il nome di ergoterapia -, purché l'internato intenda che non di un diritto si tratta, ma di un gesto di generosità. E per controllare la risposta al metodo, e indurre al consenso laddove ci sarebbe da attendersi ribellione, c'è il sistema privilegi-punizioni. Cosi, con la pratica della mortificazione, in vista della distruzione e oggettivazione dell'individuo, l'istituzione traduce l'ideologia del potere dominante e si fa garante dei suoi interessi. « In America - dice Goffman - c'è la convinzione corrente secondo la quale una volta che l'uomo sia stato portato al « punto di rottura » non sarà più in grado di opporre resistenza ». Il medesimo discorso è applicabile a tutte le istituzio- ·ni totali (manicomio, carcere, esercito, comunità religiose... ). La maggiore attenzione dedicata da Goffman all'universo manicomiale ha l'effetto, ancor più dissacrante, di sconfessare il po• stulato della scienza psichiatrica la quale è deputata a gestire « l'aspetto sociale della malattia mentale, e non la malattia in sé». « Lo studio di Goffman - scrive Basaglia nell'introduzione - ha dunque spalancato le porte delle istituzioni totali smascherando l'ideologia scientifica - religiosa, custodialistica, pedagogica - che ne copre la realtà comune a tutte ». In Italia questa rottura era. stata espressa nel concreto: nell'ospedale psichiatrico di Gorizia, Basaglia e la sua équipe portavano avanti già da qualche anno ( 1961) la battaglia per la liberazione dei « matti » dalle catene, per l'apertura dei manicomi, per un modo antitetico di fare psichiatria. QuelI'esperienza fu divulgata con un libro L'istituzione negata Rapporto da un Ospedale psichiatrico (Einaudi, 1968) che non meno di Aslumus ebbe la capacità di coinvolgere larghi strati di persone in un problema fino ad a!Iora rimasto in un ambito chiuso, riservato all'attenzione degli operatori. Con questo documento, un libro ricco di fertile problematica, non certo un'agiografia, Basaglia formulava un'ipotesi, sottoponeva un metodo « rivoluzionario » alla critica e al dibattito: ancor oggi esso è aperto. E se L' Istituzione negata, produsse, come prima manifestazione, un ottimismo frettoloso, che fingeva certezze di obietti vi già raggiunti, laddove, come in seguito si sarebbe visto, c'era ancora molta strada da fare, ciò fu in certo senso giustificato dal grande contenuto di uguagiianza che il lavoro di Basaglia aveva in sé e che fu il risultato più immediatamente tangibile dell'ipotesi- della « Nuova psichiatria ». Il deviante non è colpito da un male oscuro e incomprensibile, ci disse Basaglia: è l'individuo che, schiacciacoto dall'universo capitalistico e dai suoi meccanismi, reagisce sfuggendo al controllo. E' allora che la società (con lo strumento della scienza, o dei tribunali, o della morale) deve interve• nire con la repressione, pena la rimessa in discussione dei rapporti di produzione indispensabili alla propria sopravvivenza, delle scale gerarchiche, pena la perdita del consenso. Concetti, questi, che saranno meglio definiti, teoricamente, con La maggioranza deviante, di Franco Basaglia e Franca Basaglia Ongaro (Einaudi 1971). In realtà nodi come la praticabilità della negazione del ruolo, la riluttanza o l'opposizione interna delle componenti paramediche, il rigetto del « diverso » da parte della realtà esterna, sono ancora ben lungi dall'essere sciolti. Di essi si fa espressione (1971) un libro di piccole dimensioni: La fabbrica della follia-Relazione sul mani• comio di Torino. Curato dall'Associazione per la lotta contro le malattie mentali, sezione autonoma di Torino, questo libro è una testimonianza agghiacciante della situazione manicomiale italiana, denunciata attraverso lo stereotipo dell'ospedale di Collegno. Osteggiati, prima, calunniati poi dagli stessi sindacati e anche dagli infermieri, i quali troppo spesso non riconoscono il proprio ruolo di vittime, a loro volta, del sistema, da cui accettano la delega del potere, invece di appropriarsi della coscienza di uno sfruttamento che li accomuna ai degenti, gli autori fu. rono accusati di aver voluto far soldi con il libro. Per aver denunciato, nei fatti, la trafila del malato mentale, - emarginazione, segregazione, tortura, distruzione - e l'ideologia che la guida. « Questo è un libro di denuncia e di testimonianza - cosi il gruppo di lavoro presenta La fabbrica della follia -. II suo scopo immediato è di portare aiuto a migliaia di persone chiuse in una istituzione il cui carattere repressivo ammantato di « scientificità » le priva di ogni difesa politica e giuridica; ma tale scopo si iscrive nella prospettiva di fondo della abolizione del manicomio come carcere e delle ragioni ideologiche e politiche generali che, nello ambito del sistema sociale dato, ne fanno una istituzione « necessaria ». Alla disperata aspettativa degli interessati non basta contrapporre la promessa di una palingenesi rivoluzionaria, ma si deve rispondere con azioni immediate che richiedono un duro, •frustrante, contraddittorio lavoro di tutti i giorni, compiuto con la consapevolezza de!Ia permanen• te insufficienza e provvisorietà di ogni risultato par• ziale ». Ciò è vero ancor oggi, malgrado i tentativi ininterrotti, le lunghe battaglie, gli scontri anche aspri, talvolta vittoriosi, più spesso perdenti, malgrado le diverse ipotesi a!I'interno di una volontà comune. Questi pochi titoli, nel panorama non vasto delle pubblicazioni italiane sull'argomento, possono rappresentare un primo approccio a un problema di così grandi dimensioni. Da essi una consapevolezza, soprattutto, si può derivare: che i meccanismi di controllo della malattia mentale riguardano tutti - e non solo un ristretto gruppo di operatori e una fascia più o meno ampia di internati - in quanto sono gli stessi che controllano, pronti a sbarazzarsi di noi se necessario, che le nostre azioni rientrino nella norma della soggezione al sistema dominante. 27
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