Muzak - anno II - n.13 - novembre 1974

In campo pop hanno cominciato gli Area. Oggi sono decine e centinaia di gruppi grandi e piccoli ad accordare la loro presenza a festival e concerti di inequivocabile connotazione politica: dalle feste dell'Unità alle manifestazioni internazionaliste, dai concerti organizzati dai Circoli Ottobre a1 pop-festival di Re Nudo, dalle manifestazioni radicali alle feste della gioventù socialista. Qualcuno dirà che era ora, altri rimpiangeranno i vecchi tempi accusando la pro• gressiva politicizzazione di tutto, altri ancora grideranno alla strumentalizzazione e via scandalizzandosi. Ma ci semb11a·chealcuni dubbi sorgano spontanei e per due ordini di motivi. Da una parte • insospettisce questd impegno massiccio dei mu: sicisti proprio nel momento di massimo logoramento dei circuiti ufficiali (vedi il recente fiasco del « grande » festival di Villa Pamphili) e tradizionali; d'altra parte sembra che anche le manifestazioni politiche, lungi dal creare nuovi modi e nuove iniziative, si limitano ad ereditare, in una logka di lento progresso, l'eredità, di quei circuiti logorati. Ci sembra cioè che né da una parte né dall'altra (né dai musicisti, cioè, né dai « politici ») ci sia un minimo di chiarezza su cosa voglia dire fare musica politica o fare musica in modo politico. Certo, rimane il fatto positivo che suonare nelle manifestazioni politiche (o para) dà alla musica già un senso più globale: la fa uscire dalle strettoie del ghetto per collegarla ai grandi fenomeni, che, lo vogliamo o no, ci sono intorno. Ma anche qui il fatto positivo rischia di divenir negativo se la musica viene usata in modo tradizionale, messa come fiore all'occhiello, come sovrappiù promozionale, a sostituire i vecchi baracconi del tirassegno o gli stand con i tortellini romagnoli. Non è, crediamo, svecchiando un po' le manifestazioni e i festival democratici che si ricuce un discorso dialettico con i giovani (per natura progressisti e democratici). Usando il Banco come un tempo si usava (e anche oggi si usa) Claudio Villa vuol dire semplicemente sprecare un 'occasione. Come è sprecare un'occasione, sempre, usare da parte delle organizzazioni, i musicisti come veicoli di finanziamento. E non perché non ci sia differenza fra dare i soldi a Zard o Mamone e darli invece a forze che, pur fra errori che si possono variamente giudicare, portano avanti un discorso di impegno sociale. Ma perché usare i musicisti solo come mezzi di finanziamento riporta la musica e con essa tutta la nascente nuova cultura in un'ottica commerciale e tradizionale: da nuova cultura si passa alla cultura (vecchia) rinnovata, il che è assai diverso. Quando poi le forze politiche (dalla sinistra cattolica alla sinistra extraparlamentare) si lamentano di una perdita di forze giovani, dovrebbero piuttosto mettersi una mano sulla coscienza e chiedersi che cosa fanno d1 concreto per la nuova cultura, quale apporto nuovo sono stati capaci di portare, quali valori propongono perché la parola democrazia e progresso non siano puri slogan, come pensano di rinnovare strutture e modi di pensare burocratici e elefantiaci. E la palla va adesso ai musicisti. Se sul problema non c'è chiarezza e in direzione di una cultura diversa e non ipotecata da necessità commerciali tutti si muovono goffamente e con notevoli ritardi, la colpa è anche di una mancanza di impegno fattivo e non parolaio da parte dei musicisti. Tutti sappiamo benissimo quali sacrifici compiano in Italia i musicisti, e sappiamo che molti muoiono letteralmente di fame, sommersi da cambiali e da frustrazioni. Ma questo, crediamo, dovrebbe essere lo stimolo a cercar nuove vie e non ad inseguire instupiditi le fortune dei pochi privilegiati, la carriera ecrinomicamente fortunata dei supergruppi italiani. Alcuni propongono di andare a suonare per le strade: giù i palchi e via i riflettori. Altri tendono a ritirarsi in meditazione, altri ancora si dicono disposti solo ad esperienze alternative· (o comunque non tradizionali). Ma c'è anche, di converso, da denunciare la pratica degradante, di pur ottimi e impegnati musicisti, costretti a far pagare le case discografiche (se ce l'hanno e se son disposte) per partecipare a festival nemmeno tanto importanti o di richiamo (per Villa Pamphili l'ineffabile Zard chiedeva fra le 100.000 e le 300.000 lire). Ecco su quale confusione, su quale rifiuto di prendere seriamente in mano la questione tanti commercianti possono beatamente guadagnare (le loro lacrime da coccodrilli sazi non ci ingannano, i dati da noi ·raccolti in più occasioni sono esemplari di un settore che la crisi sembra non toccare). Collegare musica e politica non significa dunque per i musicisti né fare comizi piti o meno elettorali né fare professioni di fede che lasciano il tempo che trovano, né accettare a pagamento di suonare dovunque sia. Avere un impegno oggi, significa collaborare, crediamo, a far crescere i terreni su cui far nascere i cento fiori di una nuova cultura, significa capire che la musica non è un fenomeno isolato, un'isola beata in un mare in tempesta ma che, suo malgrado, è costretta ad affrontare temporali e maremoti, a difendersi giorno per giorno e centimetro per centimetro spazi autonomi: per far crescere tutti, per aiutarci a rintracciare una umanità nuova, una nuova comunicazione, un impegno concreto e creativo. Per trascinare a nuova vita la sua autonomia e con la sua forza, tutte le altre forme di cultura e di morale che sono proprie di_· una concezione rinnovata d~l- mondo. 19

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