Muzak - anno II - n.12 - ottobre 1974

A cura di: Giaime Pintor Un disco per uno L'economia classica ci insegna alcune cose. Fra queste c'è quella che il prezzo di un prodotto è dato dalla forza lavoro più le materie prime. Stranamente, si fa per dire, nel mercato dei dischi e della musica, le cose vanno molto diversamente. Prendiamo i dischi L. P., per esempio. Ammettiamo p_ure che lo Stato imponga forti tasse e che fra IVA e SIAE se ne vada una buona fetta del prezzo lordo del disco. C'è tuttavia un Ma, si dirà, questa è una conseguenza della rapida (anzi: vertiginosa) discesa del potere d'acquisto della lira. Non solo. In luglio, quando fu varato il decretone fiscale, si disse che !'IV A sui dischi sarebbe passata dal 12 al 30% (prodotti - ohibò - di lusso). Immediatamente, senza piangere troppo sul danno e sulla iniquità di questa tassa, cominciò la corsa al rialzo. Il disco sale a 4.500 lire. chiaro. Non ha nemmeno quell'alone di raffinate menzogne che circonda, gen<!- ralmente, il profitto. Qui si tratta di arraffare il più possibile, finché dura. E allora? Potranno a lungo, queste Case discografiche e questi rivenditori, impedire che qualcuno si organizzi, escano dei bootlegs, delle cassette pirata (tanto facili da farsi) o che ognuno si registri da sé, dal vivo o dalla radio, spendendo le poche lire ~el nastro vergine? O poelemento che, se non fosse scandaloso, Poi si viene a mormorare che l'IVA ri- tranno impedire la vendita dei dischi a rimarrebbe per molti versi misterioso. mane al 12%. Morale? Il disco rimane prezzi minori da parte di quei negozi Scandaloso, questa è la parola, va defi- -a 4.500 lire. Se in ciò non si celasse uno « non ufficiali» che preferiscono pernito il nuovo prezzo di 4.500 lire impo- scandalo grossolano, ci sarebbe da mettersi i ".ecchi prezzi? sto al disco. Scandaloso anche perché questa cifra corrisponde a quella spesa per i « beni oulturali • di una famiglia media della nostra Italia « spreconi » e avida di lussi. Dai dati ISTAT per il 1972 si rileva infatti che tale spesa ammonta a 14.735 lire a trimestre. Basta una semplice divisione per scoprire che in Italia si compra un disco al mese per famiglia. Ora, lo sappiamo, le statistiche sono ingannevoli. Fra numerini e numeroni ci fanno credere che siamo tutti uguali. E' come la storia del fantomatico pollo (uno a testa, per l'appunto): se uno ne mangia due e un altro non ne sente neanche l'odore non è cosa che interessi la statistica. E tuttavia, anche ammesso che la famiglia Agnelli compri un disco al mese come noi, con cosa compreremo e pagheremo gli altri cosiddetti beni culturali? 14 pensare a un mondo burlone e rovesciato, come quello di Alice dietro lo specchio. In realtà, si tratta di una cosa normale, su cui si spreca qualche riga, qualche « oh » di scandalo e poi tutto torna come prima. Le Case discografiche dicono ·che loro i dischi li vendono ai rivenditori sempre allo stesso prezzo (2.300/2.800 lire a seconda degli accordi, delle campagne, dell'ordinativo, etc.). Ma chi, se non le Case discografiche, ha permesso questa pazza e incontrollata baraonda? Chi è che segue da anni, da sempre, una politica raffazzonata e incoerente da società segreta, una politica in cui tutto è permesso, in cui si fanno dischi del tutto inutili e che non vendono una copia allo stesso prezzo di quelli che di copie ne vendono decine di migliaia? In realtà la situazione non ha nulla di La polemica su questi punti è sempre stata molto rozza. Si sparano cifre senza nessuna possibilità di essere reali. E non perché un disco, di per sé, non possa costare 200 o 1.000 o 2.000 lire, ma perché il costo di un prodotto (nella nostra società) è dato da migliaia di parametri. Non è infilandosi in polemiche a botte di cifre che si risolve o si fa chiarezza sul problema. E', crediamo, intervenire sulla globalità della questione con serietà e sincerità. Per noi è un impegno a breve scadenza condurre un' inchiesta su questo punto. E allora chi non l'ha ancora capito potrà (forse) rendersi conto che questo mondo, tutto e non solo quello discografico, è davvero un mondo dietro lo specchio: in cui chi non fa niente campa allegramente e il lavoro di molti serve a mantenere questi pochi.

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