Muzak - anno II - n.10-11 - agosto/settembre 1974

54 I Arti<:ul,1 di Gi,ivanna Marini Quando uno, munito di registratore. se ne va in giro per il paese a cercare documenti di cultura popolare. e trova finalmente un vecchietto disposto a cantare o a parlare, incomincia uno strano fenomeno. Seduti in una comoda cucina di campagna, con il vino. il registratore, il compiacente vecchietto. e una raccolta di paesani pronti a incoraggiare, correggere. si casca in una specie di stato ipnotico dal quale non ci si risveglia che a registrazione ultimata. In questo stato uno non si accorge di quello che gli succede: me ne accorgo solo adesso che volevo raccontarvi un po' di queste sedute di registrazione, che veramente molto hanno di magico. Mi rendo conto, infatti, che ognuno dei protagonisti. chi raccoglie, e chi canta o parla. è dominato da una precisa volontà. Il vecchietto racconta, parla e canta, vuole farmi sapere come si stava ai tempi suoi e, spesso, vuole accontentarmi. e io sono lì concentratissima che aspetto, aspetto che lui dièà determinate cose, che non sempre dice, anzi. quasi mai. Aspetto con ansia un accenno critico, sociale. politico, una coscienza espressa che in qualche modo assomigli alla mia. aspetto segni precisi e consapevoli di cultura proletaria: note arcaiche, intervalli dichiaratamente insoliti, ritmi inconfutabilmente anomali rispetto alla ritmica classica. Insomma aspetto I' "altro", il "diverso" che rarissimamente arriva lì, mentre registro. Finalmente mi sono chiesta: ma perché sto sempre ad aspettare l'esposizione completa. rifinita, della "cultura proletaria" così come la immagino, addirittura una messa in musica e parole di concerti astrarti come li potrebbe elaborare un sociologo? Perché è difficile accettare il fatto che in ogni forma espressiva stanno, sì, gli elementi di una cultura. ma sono compresi anche gli elementi formali che quella cultura rinnegano. Per esempio: un contadino della Sabina mi canterà sei stornelli. Nel primo fa subito un salto di quarta, poi una seconda, e conclude alzando la nota finale di un semitono: perfetto, da manuale della cultura "altra", musicale. Aspetto il secondo stornello, niente. Sembra che abbia dimenticato quella bellissima quarta iniziale, e mi fa una terza sciapita degna di un "coro della Sat", scivola sulla seconda che diventa terza. dimentica l'alzata finale e mi ritrovo con una cosa a livello del "mazzolin di fiori". Impazzisco, vorrei correggere il mio contadino, spiegargli che non deve fare così, proprio lui, ecc. Per fortuna non lo faccio, ma torno a casa con la testa veramente confusa. Altre volte il vecchietto racconta, racconta, e si dilunga su storie e particolari che uno considera veramente superflui. Una volta in Calabria un gruppo di pescatori mi ha cantato una "passione" che durava più di un'ora, ogni verso era identico all'altro eppure prima di iniziarlo il capo

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