Muzak - anno II - n.10-11 - agosto/settembre 1974

Non è ancora molto lontano il tempo in cui ai concerti jazz andavano quasi esclusivamente quei pochi signori di mezz'età che non si rassegnavano ad una vita totalmente priva di emozioni e che coltivavano il jazz come un hobby un po' originale, menu squallido e monotono di tanti altri. li jazz era, quindi, un compenso affettivo, uno sfogo da complessi e guai della vita quotidiana; una passioncella domenicale che oltretutto diventava una raffinata carta d'identità per poter appartenere ad una ristretta cerchia di addetti ai lavori. Ed è proprio _questa setta di jazzofili che si è lanciata in intricatissime diatribe sull'essen:w del jazz nel momento in cui certi caratteri familiari dello swing dei "maestri" venivano distrutti, ampliati e ricreati sotto nuove forme da un jazz che cercava nuovi spazi e nuovi contenuti. Questa situazione da qualche anno a questa parte sta rapidamente cambiando e la partecipazione in massa dei giovani alle manifestazioni jazz lo dimostra. E proprio in questo contesto va inquadrato l'enorme successo della seconda edizione di "Umbria jazz". Successo dovuto, seguendo la formula già collaudata lo scorso anno, alla presenza nel cast di nomi di livello eccezionale e al fatto che i concerti si svolgessero all'aperto, in luoghi stupendi, e fossero totalmente gratuiti. Una formula ideale, quindi, che non poteva non attirare migliaia di giovani che già da tempo si sono avvicinati al jazz cercando forme sonore più creaiive e meno mistificanti di quelle che il rock continua stancamente a produrre senza sapersi realmente rinnovare. Questo spostamento d'interesse del pubblico giovanile può essere spiegato proprio in base a questo stato di riflusso del rock che da un lato ha rivelato le sua matrici, che conducono inevitabilmente al jazz, dall'altro 36 estenuando formule già vecchie nel momento stesso in cui vengono riproposte, ha spinto moltissimi giovani a cercare sonorità più vive e spontanee in una musica (il jazz) priva di frastornanti specchi per le allodole; basata sul rapporto diretto pubblico-pubblico-musicista realizzato attraverso l'improvvisazione. A tutto questo va aggiunto che il jazz in molti casi ha sapientemente assimilato certe atmosfere provocantemente Iiberatorie, tipiche dei concerti pop-rock. Anche quest'anno, quindi (maggiormente che nella passata edizione) le piazze delle città umbre in cui si svolgono i concerti, si sono riempite, fino ai limiti di capienza, di giovani venuti da ogni parte d'Italia Cùn tende e sacchi a pelo, gli stessi che eravamo abituati a vedere ai concerti di Santana o di Zappa. La formula si dimostra adattissima, veramente all'altezza delle attuali esigenze, l'unica forse che può ancora restituire alla musica il suo giusto ambiente al di fuori di cancellate, di biglietti di ingresso e di controlli di polizia. Specialmente poi, dopo le disastrose esperienze degli ultimi concerti che hanno dimostrato la pericolosità dell'uso a scopo speculativo di un'arma a doppio taglio come la musica. Naturalmente anche "Umbria jazz" è basata su un preciso interesse economico. Un festival del genere, infatti, può incrementare notevolmente il turismo della regione a lunga scadenza, e negli stessi giorni della rassegna crea un imponente movimento di denaro (alberghi e ristoranti) che va a vantaggio dell'economia regionale e dell'azienda di soggiorno. Ma è forse il male minore, se si vuole allestire una manifestazione di levatura internazionale. Il rapporto con la musica, comunque. è stato rilassato e positivo e lo dimostra l'eccezionale entusiasmo col quale il pubblico ha accolto i concerti, seguiti con interesse e concentrazione senza la contestazione che coinvolge le strutture ,folle manifestazioni rock; contestazione che peraltro è arrivata anche al festival jazz di Pescara, ancorato ai consueti schemi organizzativi. Soltanto qualche isolato provocatore travestito da hippy "stonato" (probabilmente qualche maldestro fascistello) ha cercato di turbare l'atmosfera civile e responsabile che ha dominato per tutto il festival, ed è stato correttamente emarginato. L'unico incidente vero e prnprio è avvenuto quando, in maniera estremamente indelicata. una processione religiosa è passata accanto alla folla dei giovani che a Todi era in attesa dei concerti. Come era inevitabile qualcuno ha fischiato e questo ha provocahi I"intervento della polizia. Pare che in seguito a questo sia stato denunciato un giovane. A parte quest'incidente tutto si è svolto nella massima tranquillità. Le riserve sono poche e di scarsa rilevanza; forse l'eccessiva disponibilità del pubblico che ha accordato entusiasmo incondizionatamente a tutti i concerti, e forse anche l'orientamento leggermente troppo monocorde di tutto il festival; hard-bop e mainstream hanno dominato, a differenza dello scorso anno in cui il confronto degli stili era maggiormente approfondito. Ed ecco in breve la cronaca delle sei serate. I. giorno - Orvieto. L'apertura era prevista nella famosa piazza del duomo di Orvieto, negata poi perché troppo .vicina ad un ospedale. Il ripiego è stato comunque degnissimo: il parco del forte Albornoz, in cui i sono comodamente sistemati centinaia di giovani. L'apertura della rassegna è toccata ad un gruppo italiano, il quartetto del sassofonista Gianni Basso. con Renato Sellani al piano, Dodo Goya al basso e Tullio de Piscopo alla batteria, con l'aggiunta del trombonista Dino Piana. Basso è uno dei migliori sassofonisti italiani, caldo e c,>rposo, esponente di quel mainstream che ha dominato in tutta la rassegna. Un jazz tranquillo, discretamente intelligente che ha saputi.) conquistarsi numerosi applausi, e non credo che Basso e compagni siano abituati ad essere così calnrosamente applauditi eiacentinaia e centinaia di giovani, probabilmente poco esperti e privi di malizia, ma disposti ad apprezzare gli sforzi di seri e robusti professionisti. La prova di questa disponibilit'\ del pubblico è venuta con le suc- _cessive esibizioni di Gerry Mulligan, della . pianista Marian McPartland e della big band di Thad Jones e Mel Lewis. tutte legate ad un gusto ormai superato che riesce ad attuai izzarsi solo grazie alla indiscutibile classe e alla forte personalità dei musicisti in questione. Mulligan, privo di partners, ha suonato Cùn il gruppo di Gianni Basso riuscendo ad incantare il pubblico col suo fraseggio sottile e raffinato, con le morbide e rapide scale del suo sax baritono che mandavano in visibilio i jazz. fans della vecchia generazione. Lo stesso discorso vale per l'anziana pianista Marian McPartland che si è esibita da sola passando agevolmente dal ragtime ad atmosfere più tipicamente impressionistiche e infine alle melodie del solito immancabile Gershwin. Ha chiuso la prima serata la big band di Thad Jones e Mel Lewis, ormai, pare, ospiti fissi di questa rassegna; lo scorso anno si sono esibiti due volte e quest'anno addirittura tre, il che francamente è eccessivo ed ingiustificato. Tuttavia l'orchestra produce un sound piacevolissimo, certamente uno dei migliori sound orchestrali che si possono ascoltare in queslo momento, grazie anche alla presenza di solisti di indubbio valore come Billy Harper, Pepper Adams, Walter Norris e gli stessi Thad Jones e Mel Le-

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