di una precisa scelta di linguaggio e di forma propri dei suoi numerosi. e passeggeri, accompagnatori. L'organico attuale pare ancora legato ad una formula libera, alla collaborazione occasionale, al cogliere del leader dalle fonti individuali dei suoi comprihiari protagonisti. Il percussionista opta, in "One By One" per un insieme collagistico convincente, quanto inevitabilmente sciolto nei brevi tratti di ogni composizione, con qualche frattura, ma con una frase di fondo abbastanza illuminante a condurre una danza diversa dalle altre. Insomma Yamashta spinge con effetto sicuro, e ben preordinato una struttura i cui ingredienti sono la cultura orientale, certo rock-jazzismo d'importazione inglese, una ritmica di base che vive dell'impulso afro-afronell'album è la splendida Hisako, tra i musicisti. a convincere maggiormente e. tra i solchi, segnalo una prima facciata davvero ottima, seppure non priva di un certo costruttivismo di maniera che contraddi!.tingue fatalmente ogni opera destinata a divenire "colonna sonora" (One By One è il titolo di un film, a soggetto automobilistico-agonistico di prossima uscita). m. b. KEVINCOYNE Blame lt on the Nlght (VIRGIN RE. CORDS) C'è chi parla malissimo di questo disco. dicendo che la Virgin si dovrebbe vergognare a mettere sul mercato prodotti simili. Voci false e tendenziose. oppure estimatori di John Den30 muza ver e Don McLean. Certo non siamo di fronte a un capolavoro. ma si tratta. perlomeno. di un disco dignitoso. Forse lo preferisco a MarJorle Razor Biade, più conciso, con una punta di ironia in più. Certo restano troppe le influenze che agiscono sulla musica di Coyne, pare non sappia decidersi, tra Jagger, Dylan, il Blues di Leadbelly (Take a Traln pare proprio una canzone del vecchio Leadbetter). il R&B e altre fonti meno importanti. Certo il suono è molto americano, ma non è country, per fortuna. non è mieloso, è incisivo, diretto, essenziale. Gli strumenti bene in vista, isolati, senza grandi orchestrazioni, ognuno nel gioco della ricerca del timbro scarno. Coyne è un po' scalcinato, tira via, non ama le sottili raffinatezze(?) di altri, resta sempre di ottimo gusto, anzi prediligendo il tono sommesso e falsamente umile. Comunque non credo di sbagliare dicendo che è l'unico, o quasi, cantautore inglese del momento. e non è privo di coraggio, con la scelta della voce più lamentosa possibile, nell'amore per il suono che passa lungo i muri, che non si apre in spazi ampi, ma ama, i suoi angoli bui, si compiace della sua ricercata deformità far~sca e del suo essere "insolito e originale". CARLABLEY "Troplc Appetite•" (Watt) MICHAEL MANTLER "NoAnswer" (Watt) p.m.r. L·etichetta Watt viene a sostituire la scomparsa JCOA (Jazz Composer's Orchestra Association), che pubblicava i lavori del nucleo di musicisti che ruotavano intorno alla "Jazz Composer's Orchestra" animata dai due titolari di questi nuovi dischi, e cioè Carla Bley e Mike Mantler. La JCO nacque nel 1964 dalla collaborazione di molti musicisti d'avanguardia che operavano a New York, riuniti nel Jazz Composer's Guild. Questo nucleo ha dato dei frutti importantissimi soprattutto rendendo possibile un clima di scambi continui tra i migliori musicisti dell'avanguardia newyorchese. Il merito principale di questo clima di continua creatività deve essere riconosciuto proprio a Mantler e alla Bley, infaticabili ed efficacissimi organizzatori oltre che eccellenti compositori e musicisti. Molte cose prodotte in questi ultimi anni sono state realizzate grazie al lavoro della JCO. Per esempio la "Liberation music orchestra" di Charlie Haden e la "Relativity suite" di Don Cherry, oltre naturalmente alle importanti opere firmate dalla coppia Mantler-Bley. L'indiscusso capolavoro di questo intenso e creativo lavoro è il colossale poema sinfonico jazz "Escalator over the hill", esempio unico di questo genere di esperimenti, uno dei capolavori dell'ultimo jazz. nel quale sono confluiti stimoli e tendenze diverse. con l'apporto dei più svariati musicisti, da Jack Bruce a Don Cherry, da John McLaughlin a Gato Barbieri. insieme a tantissimi altri. E' inevitabile rifarsi a questo capolavoro per comprendere "Tropic appetites" e "No answer". Il primo è firmato da Carla Bley e da Paul Haines rispettivamente per le musiche e per i testi, e ricorda molto da vicino "Escalator" firmato dai due stessi autori. Haines è un poeta e professore di francese a Nuova Delhi, e a lui si devono i continui riferimenti all'oriente. le cui immagini dominano questo "Tropic appetites". Non è l'oriente mieloso e fatuo della mitologia pubblicitaria, ma un continente disperato. povero e affamato. dalla cui miseria esce la dolcezza e la poesia della sua mistica. Un mondo riflesso in maniera continuamente diversa dalle musiche di Carla Bley. una compositrice sorprendente (e basterebbe "Escalator" per capirlo) che sa passare dal jazz al country, alla musica orientale e ai "songs" alla Kurt Weill. I solisti che compaiono nel disco sono Mantler, Dave Holland, Paul Motian. Howard Johnson e un sassofonista non specificato nel cui timbro però è troppo facile riconoscere "Gato" Barbieri. Carla Bley stessa partecipa come pianista a "No answer" insieme a Don Cherry e a Jack Bruce. Le composizioni sono tutte di Mike Mantler in un interessantissimo connubio con i testi di Samuel Beckett tratti da "How it is". Un disco più rarefatto e difficile dell'altro, che ricorda alcuni momenti meno facilmente comprensibili della "Jazz composer's orchestra". g. c. BUFFYSAINTE-MARIE Bufty (MCA RECORDS) Povera Buffy, costretta. da non so quale stupido produttore. a presentare un'immagine cosi vacua. banale e non azzeccata di sé. Un seno nudo che si intravede sotto la marinaresca giubba. che la copre appena. scialba immagine da Playboy, il sorriso e il saluto da entraineuse da due soldi. ballerina tutta fianchi per la gioia dei marines conquistatori al fronte. Povera Buffy, sangue pellerossa, la meravigliosa autrice di Unlversal Soldler, Mexico, Soldler Blue, Buffy come anti-Joan Baez. più dura. la voce bassa. caldissima. molto sensuale, capace di un folk forte. deciso. beatamente e scioccamente pacifista, con ricordi indiani, accenti abbastanza ostici all'orecchio abituato alle sciaperie country del devitalizzato folk bianco post-dylaniano. Un disco vuoto. privo di forza e senso. canzonette, musica leggera; qualche raro ricordo, nel timbro della voce. della Buffy dei tempi passati. nient'altro. Ma Buffy Sainte-Marie è un'altra donna. non ha niente a che vedere con questa signora. p.m.r.
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