Muzak - anno II - n.10-11 - agosto/settembre 1974

di Giaime Pintor I FESTIVAL ALEATOR Le regioni, gli enti locali, le organizzazioni di massa scaricano la responsabilità. Gli organizzatori gestiscono la "cosa" con l',1.1_t:iiceo dichiarato scopo del massimo profitto (salvo poi a non valere nulla nemmeno da un punto di vista efficientisticoneocapitalista).. I giovani vogliono la musica e la vogliono in un certo modo, non per buttar via un po' di soldi, ma per avere momenti reali di socializzazione, di star insieme e di star bene insieme: fra noi con la musica. Nulla di strano che, in questo quadro, il megafestival di Santa Monica sia andato a farsi benedire e che la cosa non sia piaciuta per nulla. Quello che sfugge (e preoccupa) è il fatto che mentre il questore di Forlì nega l'autorizzazione qui, altrove altri questori autorizzino festival identici (seppure non peggiori). E mentre la Regione Emilia Romagna (rossa) si oppone a un festival pop, per ragioni (badate bene) di ordine pubblico, la Regione Umbria (rossa anch'essa) finanzia e organizza un festival jazz. Forse per gli amministratori pubblici il jazz è più ordinato del pop, secondo una visione dei due fenomeni molto vicina al pensiero di tutti i reazionari nostalgici della giacca e cravatta e della ·sfumatura alta? Dimostra in realtà ed evidenza, l'episodio di S. Monica, l'assenza da tempo esistente degli enti locali e delle organizzazioni progressiste e di massa dalla gestione della cultura giovanile. Un'assenza che oggi rischia di divenire cronica e irreversibile smarrendo il valore di questo movimento o di inseguirlo in modo codino e, peggio, sostituendo a un "commercio" privato del fatto culturale un "commercio" pubblico. La crisi di gestione della cultura giovanile, la mancanza di una visione organica di questi problemi, è certo legata all'endemica musicofobia della kultura dell'ltalietta e alla gestione corrotta e insana delle istituzioni culturali, ma è anche (ed è il fatto più g~ave) legata ai vuoti lasciati da tempo da quelle forze che, per la loro collocazione progressista e per la stessa loro storia, dovrebbero invece farsi parte dirigente e egemone di questo movimento culturale, guidarlo, mutarne i segni negativi e valorizzare quelli postivi, gestirlo, stimolarlo, farlo uscire dal settorialismo corporativo (i giovani come classe a parte) in cui rischia di cadere. Anche perché, l'ho detto e credo che lo abbiamo ampiamente dimostrato, i cosiddetti organizzatori, industriali della cultura, non solo guadagnano su una mediazione e non su un lavoro reale (cosa peraltro capitalisticamente logica) ma non sanno neanche svolgere con efficienza il loro mestiere. Ma che dico efficienza! con animo meno da magliari, da venditori di Porta Portese. E' parlare in libertà e in modo sciocco dire (come pare abbia detto Francesco Sanavio, socio di Zard nell'organizzazione del Festival di Riccione) "ringraziate i contestatori se il festival è andato a monte!". I contestatori (parola allucinantemente idiota) esistono, certo. Ma il loro peso è decisamente inferiore a quanto vogliono far credere questi "accumulatori primitivi" del capitalismo culturale. La forza è, in realtà, quella di un meccanismo che essi stessi hanno involontariamente messo in moto. Ben sapeva (o avrebbe dovuto sapere) il Mamone dei tempi d'oro che prima o poi, da una parte gli interessi, le concorrenze, le mafie, dall'altra le realtà sociali mutate e cresciute, i desideri, la voglia di contare dei giovani, sarebbero balzati in primo piano a contrastargli il dubbio mestiere di commerciante di cultura. Questo mercato non è più mercato, o comunque non è più governabile secondo leggi economiche spicciole (tanto = tanto + il mio guadagno). L'organizzazione "capitalistica" della cultura è seriamente in crisi. Ed è su questa crisi che chi ha la forza (soprattutto sociale) dovrebbe far leva per far saltare definitivamente questo modo di vender cultura. Ed è da questa crisi che bisognerebbe partire per articolare un discorso che, superate le inibizioni "legalitarie" e i deliri "rivoluzionari", possa concretamente porsi ed abbia speranza di successo. Non siamo qui a proporre nessun "compromesso storico" per il governo del movement. Credo piuttosto che sia giunto il momento di rivedere tutto il problema dalle fondamente, senza ripararsi dietro l'alibi del "ognuno faccia il suo mestiere". E del resto che la faccenda vada integralmente rivista lo dimostra anche il secondo festival fallito sempre a Santa Monica (anche se con meno scalpore), quello di Stampa Alternativa. Questo dimostra, se non altro, che con il moralismo e la buona volontà non si conclude nulla. Tant'è appunto, che il colpo del contro-festival gratis non è riuscito nemmeno a chi di buona volontà sembra averne tanta e di moralismo ne potrebbe vendere a tonnellate senza rimanerne sprovvisto. E allora? E allora anche chi si proclama alternativo non può esimersi dal fare i conti con una realtà non risolvibile con petizioni di principio del tipo "la musica è nostra, riprendiamocela!", Non si tratta di sbeffeggiare gli organizzatori ufficiali, non si tratta di dimostrare a Zard (o a chi per lui) che "volendo" si può fare anche un festival gratuito e libero e anche con gruppi di prestigio e buona qualità (gruppi tedeschi e artisti Virgin pare si fossero offerti di partecipare al contro-festival di S.A.). Si tratta di mettersi a lavorare seriamente per fare in modo che i concerti si possano fare, per fare siano autogestiti ma reali, non lager ma nemmeno nuvolette nel cielo delle idee. E finché il problema non sarà affrontato alle radici sarà vana impresa sperare che gli organizzatori, colpiti da grazia divina, si ritirino in convento ad autofustigarsi per i loro guadagni passati o che alcuni "volenterosi" alternativi, senza una lira, senza un seguito e senza una linea precisa, riescano a sostituirli. In questo modo il "sogno" che vi abbiamo raccontato rischia di divenire un incubo: l'incubo di vedere la musica ridotta a merce nemmeno commerciabile, a pura follia, a caldo ventre materno abbandonato e rimpianto.

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